Algeria, la Caritas chiude perché "non autorizzata"
La Caritas Algeria ha chiuso del tutto e in via definitiva tutte le sue attività a partire dal 1° ottobre. Viene considerata una Ong "non autorizzata" in base ad una legge del 2012. Si tratta, ufficialmente, di una questione burocratica, non si traduce in una persecuzione della Chiesa. Ma le autorità stesse tradiscono un'intolleranza di fondo.
La Caritas Algeria ha chiuso del tutto e in via definitiva tutte le sue attività a partire dal 1° ottobre. Lo ha annunciato l’arcivescovado di Algeri con un comunicato che l’agenzia Fides, nel riportare la notizia, sottolinea essere «scritto in tono asciutto e privo di recriminazioni polemiche«. Il comunicato, firmato da monsignor Paul Desfarges, arcivescovo emerito di Algeri e Presidente dell’Associazione diocesana di Algeria, spiega che la decisione drastica è stata presa con rammarico in ottemperanza alla richiesta delle pubbliche autorità algerine. L’arcivescovo di Algeri, monsignor Jean-Paul Vesco ha dichiarato che la Caritas è stata ritenuta una «organizzazione non autorizzata»in base a una legge del 2012 che prevede che tutte le organizzazioni no profit registrate presentino nuovi documenti (nel 2018 era stata avanzata dal governo una proposta di escludere le organizzazioni religiose che però non aveva avuto seguito). «Naturalmente – si legge nel comunicato – la Chiesa cattolica resta fedele alla sua missione caritativa al servizio della fraternità», in unione «con tutte le persone di buona volontà». Il testo si conclude con un ringraziamento a «tutte le persone che hanno contribuito nel corso degli anni, e in diverso modo, a far vivere questa opera al servizio dei più vulnerabili e del popolo algerino».
Gli abitanti dell’Algeria sono per il 97% di fede islamica e, precisa Fides, la Caritas per 60 anni si è prodigata per loro e per gli emigranti irregolari che raggiungono il paese per attraversare il mare Mediterraneo alla volta delle coste europee, «senza mai assumere toni o sostenere mobilitazioni di impronta politica».
Tuttavia, è sempre Fides a riferirlo, le comunicazioni del Ministero dell’Interno algerino contenevano riferimenti, seppure generici, al fatto che la Chiesa cattolica stesse “coprendo” una organizzazione non autorizzata, coinvolta in attività “fuori legge”. Mancano specifici riferimenti ad articoli di legge violati e fonti locali ipotizzano che il provvedimento sia stato preso nell’ambito di una politica di restrizioni adottata di recente nei confronti delle organizzazioni non governative straniere, considerando la Caritas come una delle tante Ong presenti nel paese senza tener conto del fatto che rappresenta il braccio caritativo della Chiesa Cattolica nei confronti della quale, secondo le autorità cattoliche locali, il governo algerino non mostra di nutrire sentimenti di ostilità. Intervistato dal quotidiano on line Aleteia, anche don Cesare Baldi, che è stato direttore di Caritas Algeria dal 2009 al 2019, ha detto di ritenere che quello delle autorità algerine non è un atto di persecuzione nei confronti della Chiesa Cattolica e che il dialogo consentirà di chiarire le questioni oggetto di controversia: «fattori formali e burocratici – ha detto – possono aver accresciuto delle tensioni e dei malintesi. È importante mantenere un livello di attenzione e di tatto nei Paesi in cui manca una consistente tradizione cristiana». Sembra invece che non ne tengano adeguatamente conto i cristiani evangelici. La loro attività di proselitismo non è infatti gradita al governo che reagisce con ritorsioni che però coinvolgono anche le altre comunità cristiane.
L’Algeria non è comunque il primo Paese in cui gli enti cattolici, essendo i cristiani una minoranza, sono mal tollerati, subiscono controlli, limitazioni e accuse che li mettono in cattiva luce. Governi e popolazione apprezzano le loro attività che integrano, e persino sostituiscono, sistemi scolastici, sanitari e assistenziali locali insufficienti e mal gestiti, ma al tempo stesso temono le conseguenze del messaggio e della testimonianza cristiani che insegnano e fanno apprezzare uguaglianza, pari opportunità, rispetto umano e libertà personali in contesti caratterizzati da strutture sociali e politiche basate su discriminazioni e servitù istituzionalizzate. Succede in diversi paesi a maggioranza islamica, ma non solo. In India, ad esempio, la crescente influenza degli integralisti indù mette sempre più in difficoltà gli istituti cattolici, e in generale cristiani, che con le loro iniziative destinate indiscriminatamente a tutti incrinano il sistema delle caste offrendo anche ai dalit, i fuori casta, e alle popolazioni tribali assistenza e opportunità di promozione sociale. In Africa una delle situazioni più difficili, in paesi non islamici, è forse quella dei cattolici eritrei. Lì il governo, fondandosi su un regolamento del 1995 che limita le attività delle istituzioni religiose, invece di chiudere gli enti cattolici li nazionalizza. Nel corso degli anni è toccato a istituti scolastici e a strutture sanitarie.
In Algeria i cattolici sono circa 5mila, suddivisi in quattro diocesi. Salvo alcuni convertiti autoctoni, si tratta principalmente di cittadini stranieri: studenti, titolari di borse di studio offerte da atenei algerini, e lavoratori, impiegati soprattutto nel settore petrolifero. Tra il 1994 e il 1996, durante la guerra civile scatenata dagli integralisti islamici e combattuta dal 1991 al 2002, sono stati uccisi 19 religiosi cattolici: sei suore, i sette monaci trappisti di Tibhrine, rapiti e massacrati, quattro Padri Bianchi, un sacerdote e il vescovo di Orano, monsignor Pierre Claverie, ucciso da una bomba nel 1996 insieme al suo autista. Sono stati tutti beatificati nel 2018.