PROTESTE
Algeria e Tunisia, la rivolta non è di solo pane
L'aumento dei prezzi dei generi alimentari ha fatto da detonatore a una crisi ben più profonda.
Attualità
11_01_2011
Può darsi che la repressione in atto e la riduzione dei prezzi dei generi alimentari promessa servano a fermare ancora una volta in Algeria e in Tunisia l’ira popolare, ma i drammatici sviluppi delle ultime ore a Tunisi non lasciano presagire nulla di buono. La rivolta è stata scatenata nei giorni scorsi da un elevato aumento del costo di prodotti essenziali quali olio, grano e zucchero e dalla reazione inclemente delle forze dell’ordine che in entrambi i paesi hanno ucciso numerosi manifestanti. Ieri anche il Dipartimento di Stato Usa ha condannato la brutale repressione delle forze di sicurezza in Tunisia.
In ogni caso riportare i prezzi a livelli sostenibili, diminuendo imposte e dazi, è un rimedio che non incide sulle cause profonde della rivolta che sono, qui come in tutta l’Africa, la povertà diffusa e la mancanza di prospettive di cui soffrono milioni di persone prive di lavoro con la percezione di essere abbandonate dalle istituzioni e anzi di subire condizioni di vita tanto difficili per colpa di chi detiene il potere e controlla l’apparato statale.
A 50 anni dalla fine dell’epoca coloniale, si può dire che, nella maggior parte dei casi, le classi dirigenti africane hanno tradito gli ideali di libertà, giustizia, uguaglianza e rispetto dei diritti umani assimilati negli anni della dominazione europea, in nome dei quali si sono combattute le guerre d’indipendenza: inevitabilmente, con essi, per centinaia di milioni di persone sono venute meno le speranze di sviluppo economico e sociale.
Benché in condizioni migliori rispetto all’Africa subsahariana, anche le popolazioni islamiche del Maghreb fanno i conti con i fattori strutturali che, come ha scritto negli anni 90 l’inascoltata studiosa camerunese Axelle Kabou, hanno reso i giovani africani “una generazione oggettivamente privata di avvenire”. L’affermazione di Axelle Kabou, che apre il suo libro intitolato E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo?, è in certi casi vera nella più tragica delle accezioni. In Swaziland, ad esempio, la speranza di vita alla nascita è passata dai 60 anni del 1990 agli attuali 46, secondo le stime ONU; ma Medici senza frontiere la colloca addirittura a 31anni.
Assai più elevata rispetto alla media continentale che oscilla tra 53 anni per gli uomini e 56 per le donne, la speranza di vita dei giovani tunisini e algerini li costringe a guardare avanti e un livello di istruzione migliore alimenta in loro aspettative maggiori rispetto ai loro coetanei di altri stati africani. Ma le risorse economiche male amministrate e andate a beneficio di una ristretta minoranza, benché ingentissime nel caso dell’Algeria ricca di petrolio, lasciano milioni di giovani scolarizzati senza lavoro. Sono loro i protagonisti delle manifestazioni di protesta in Algeria e Tunisia dove, come nel resto del continente, rappresentano da due terzi a tre quarti della popolazione.
Negli anni 90 questa situazione ha spalancato le porte alla diffusione dell’islam fondamentalista che in Algeria, con il Fis, Fronte islamico di salvezza, e il Gia, Gruppo islamico armato, ha sferrato la più cruenta delle sue guerre. Il bilancio di 150.000, forse 200.000, morti include il massacro della popolazione civile su cui i fondamentalisti hanno infierito spietatamente: come si ricorderà, davano la caccia alle bambine per strada e le sgozzavano perché andavano a scuola e facevano irruzione nelle case uccidendo famiglie intere accusate di non compiere le devozioni nel modo appropriato.
Si deve alla reazione durissima dei governi il contenimento del terrorismo che tuttavia conta in queste regioni numerose cellule armate di militanti che intrecciano le loro attività con quelle di bande criminali dedite al traffico transcontinentale di droga e di esseri umani, rendendo sempre meno sicuri i territori della fascia subsahariana sottostante, da una sponda all’altra del continente. Particolarmente temuto è il gruppo Al-Qaeda per il Maghreb islamico, ex Gspc, Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento nato in Algeria durante la guerra civile, che proprio in questi giorni ha messo a segno due azioni: in Mali, con un attentato presso l’ambasciata di Francia a Bamako, ad opera di un terrorista tunisino, e in Niger, anche in questo caso nella capitale, Niamey, con il sequestro di due francesi poi giustiziati.