CLIMA
Alaska di ghiaccio
Lo storico
viaggio
di una petroliera
sui mari
ghiacciati
dello stretto
di Bering.
Cultura
14_01_2012
Mentre in Italia l’inverno è per il momento relativamente mite, è da dicembre che sui versanti esposti a nord delle Alpi (Francia, Svizzera e Austria ma in qualche caso anche Italia, specie tra Valle d’Aosta e Alto Adige!) nevica tantissimo, come non accadeva da trenta anni. In Alaska freddo e neve stanno dando preoccupazioni, la località di Cordova nei giorni scorsi è stata letteralmente seppellita da 5 metri e mezzo di neve.
Sempre in Alaska lo stretto di Bering è ghiacciato ed una città dell’Alaska soffre il freddo in attesa dell’arrivo di una petroliera russa, la Renda, che, insieme all’unica nave rompighiaccio della Guardia Costiera degli USA, la Healy, (le altre due sono in riparazione), da decine di giorni stanno navigando lentamente. La Healy e la Renda procedono vicine-vicine con il rischio continuo di un incidente, la rompighiaccio apre la strada e la petroliera segue in un mare ricoperto da uno strato gelato spesso dai 10 ai 70 centimetri; spessore destinato ad aumentare navigando verso Nord. E’ un viaggio storico, è la prima volta che il carburante arriva in quella zona, in questo periodo invernale, attraverso le acque coperte dai ghiacci dell'Alaska occidentale.
La loro missione è consegnare 1,1 milioni di litri di gasolio e 300.000 litri di benzina ai cittadini di Nome (popolazione 3598), dove le tempeste hanno impedito l’arrivo del combustibile in autunno. La cittadina moderna di Nome è stata fondata durante la Corsa dell’oro in Alaska, nel 1898, da tre cercatori d’oro (chiamati “I tre svedesi fortunati”, anche se solo due erano di origini svedesi e uno era norvegese). La grande miniera d’oro che si sviluppò vicino a Nome fece crescere la popolazione fino a 10.000 abitanti, facendone per alcuni decenni il centro più popoloso dell’Alaska.
L’esperto climatologo prof. Giampiero Maracchi, ex-CNR, in un’intervista su un quotidiano subito ha colto l’occasione per far scrivere che si tratta di eventi estremi dovuti ai “cambiamenti climatici”; probabilmente perché in quella zona l’estensione del ghiaccio è superiore alla media trentennale non ha usato il termine “riscaldamento globale”, che sarebbe suonato contraddittorio ai comuni lettori.
Ma si tratta davvero di una novità? La coincidenza vuole che la città di Nome è quella che ha visto le gesta del cane Balto, ripreso da un famoso cartone natalizio. Il 19 Gennaio 1925, scoppiò a Nome una forte epidemia di difterite e le scorte di antitossina mancavano a causa di un'epidemia scoppiata nel 1918. Il primo caso ufficiale di malattia si ebbe però il 20 Gennaio 1925. Fu convocato un consiglio di emergenza e si dichiarò Nome in stato di quarantena. Fu ordinato un milione di fiale di antitossina, ma la scorta più vicina che consisteva in trecentomila unità (9 kg in tutto) si trovava a Nenana, distava seicento miglia da Nome.
Il mare anche allora era del tutto ghiacciato e le condizioni meteo non permettevano agli aerei di atterrare, per l'impresa venne organizzata una staffetta di venti mute di cani. Le ultime 53 miglia vennero coperte con il cane di nome Balto, considerato dal proprietario buono solo per portare la posta per brevi tratti. Lo sforzo ebbe successo e le medicine giunsero a Nome il 2 Febbraio 1925, dopo aver percorso 674 miglia in 127 ore ad una temperatura di circa -40° (per le attuali temperature clicca qui). Balto, come ultimo della staffetta, fu il cane che passò alla storia con un cortometraggio girato in quello stesso anno e con una statua nel Central Park di New York (per la storia integrale clicca qui). Sotto la statua è stato scritto:” Dedicata all'indomabile spirito dei cani da slitta che trasportarono sul ghiaccio accidentato, attraverso acque pericolose e tormente artiche l'antitossina per seicento miglia da Nenana per il sollievo della ferita Nome nell'inverno del 1925. "Resistenza -- Fedeltà – Intelligenza”».
Dal punto di vista climatologico quindi nessuna novità di un evento estremo ma visto in quell’area, la vera novità è che gli USA, forse proprio per il convincimento che ormai i ghiacci si stanno sciogliendo, hanno un solo rompighiaccio mentre al contrario, la Russia dispone di 25 navi rompighiaccio polari (tra cui otto quelli pesanti). Finlandia e Svezia hanno sette navi rompighiaccio ciascuno. Il Canada ne ha sei. L’evidenziarsi della carenza ha sollevato delle polemiche.
Ma perché rischiare di portare il combustibile per nave e non con un ponte aereo? Altrimenti il costo del trasporto avrebbe comportato un prezzo del combustibile troppo alto, assurdo. Secondo gli esperti i costi di spedizione avrebbe aggiunto $ 3 o 4 dollari al prezzo di un gallone di benzina, che si avvicina già ora, per la carenza, a 6 dollari al gallone. Il problema era discusso già ad inizio dello scorso dicembre.
Ma 9 $ al gallone sono circa i nostri 1,8 € al litro! Per un italiano è normale ciò che per uno statunitense è assurdo, per loro quei prezzi sono “non accettabili” anche se la situazione è dovuta a una causa meteorologica imprevedibile. Negli USA il prezzo medio di un gallone di “gasoline” ad inizio dicembre era a New York circa $3.60, in Missouri solo $3.017 (considerando 1.3 il rapporto Euro/Dollaro e 3.78 quello Gallone/Litro, sono circa a NY 0,73 €/Litro e nel Missouri 0,61€/Litro, per i prezzi clicca qui).
La gran parte dei mass-media raccontando la storia ha descritto “emotivamente” la finta eccezionalità dell’evento climatologico e sorvolato sui numeri relativi al costo dei carburanti.
Per avviare uno sviluppo economico del nostro Paese che lo veda di nuovo competere sui mercati, il primo passo non sarebbe ritornare ad analizzare la realtà oggettiva? Siamo sicuri che il carico fiscale “ambientale” sui carburanti, imposto indistintamente a tutti i cittadini in Italia rispetta, l’art. 53 della Costituzione della Repubblica Italiana che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”? Ed aggiunge: Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Per avviare uno sviluppo economico del nostro Paese che lo veda di nuovo competere sui mercati, il primo passo non sarebbe ritornare ad analizzare la realtà oggettiva? Siamo sicuri che il carico fiscale “ambientale” sui carburanti, imposto indistintamente a tutti i cittadini in Italia rispetta, l’art. 53 della Costituzione della Repubblica Italiana che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”? Ed aggiunge: Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.