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"Al lupo! Al lupo!": il governo ci plagia con la sua narrativa

Avete presente la favola di Esopo? Raccontatela con toni diversi e produrrà effetti opposti. Lo stesso accade oggi con il virus: il potere mette l'accento su alcuni aspetti, generando il panico. Se invece ne sottolineasse altri, il clima sociale sarebbe più disteso. Ma non preoccupatevi, tutto cambierà con il vaccino...

Attualità 14_11_2020

C’era una volta un pastorello che di notte doveva sorvegliare le pecore affidate a lui dal padre. Ma il pastorello si annoiava a morte durante quelle lunghe veglie. Allora si inventò uno scherzo. Nel cuore della notte si mise a gridare: «Al lupo! Al lupo!». Tutti gli abitanti del villaggio si svegliarono al suono di quelle grida e accorsero in suo aiuto. Il pastorello al vederli sopraggiungere si mise a ridere a crepapelle. Gli abitanti del villaggio, accortisi che era tutto uno scherzo, se ne tornarono contrariati alle loro case. Lo scherzo era riuscito così bene, a parere del pastorello, che costui lo ripetette la notte seguente. Il copione fu il medesimo: alle grida di aiuto provenienti dal pascolo tutti accorsero trafelati. Nuovamente la burla provocarono accessi di risa nel pastorello e nuovamente gli abitanti del villaggio, compreso che era un tranello inventato per prendersi gioco di loro, fecero ritorno alle loro abitazioni molto arrabbiati. Anche nelle notti seguenti il pastorello gridò «Al lupo! Al lupo!» e, ogni volta, i poveri abitanti del villaggio accorsero da lui per aiutarlo, ma invano. Finchè una notte il lupo venne per davvero, il pastorello si sgolò gridando «Al lupo! Al lupo!», ma nessuno venne, credendo che fosse l’ennesimo scherzo del pastorello, il quale, ahilui, fu mangiato dal lupo. Fine.

Raccontiamo questa versione stringata della celebre favola di Esopo in un altro modo. C’era una volta un pastorello che di notte doveva sorvegliare le pecore affidate a lui dal padre, uomo burbero e duro di cuore. Il pastorello era un ragazzo dall’intelligenza vivace ed acuta, sprecato per quel lavoro che lo vedeva impegnato nelle ore notturne tra l’olezzo delle pecore. La sua mente brillante partorì una simpatica burla, tanto per vincere la noia di quelle ore notturne. Una notte si mise a gridare: «Al lupo! Al lupo!». Tutti gli abitanti del villaggio si svegliarono al suono di quelle grida e accorsero in suo aiuto. Il pastorello al vederli sopraggiungere si mise a ridere a crepapelle. Gli abitanti del accortisi che era tutto uno scherzo, se ne ritornarono contrariati alle loro case, troppo rozzi e ignoranti per apprezzare l’originalità e l’humor della burla inventata dal geniale pastorello. Questi, anche per punire giustamente tanta insensibilità, ripetette lo scherzo nelle notti seguenti ottenendo lo stesso risultato: gli abitanti del villaggio accorrevano e se ne andavano a casa sempre più arrabbiati, prova inconfutabile della loro invincibile ottusità. Una notte però il lupo venne per davvero, il pastorello si sgolò gridando «Al lupo! Al lupo!», ma nessuno venne credendo che fosse l’ennesimo scherzo del pastorello, il quale, ahilui, fu mangiato dal lupo. Accortisi la mattina seguente della tragedia, gli abitanti del villaggio insieme al padre di lui si dolsero immensamente della grave perdita e maledissero la loro diffidenza che aveva causato la morte del povero e geniale pastorello. Fine.

Come il lettore avrà notato il fatto narrato dalle due versioni è il medesimo: un pastorello finge che ci sia un lupo che vuole mangiare le pecore del suo gregge, gli abitanti del villaggio accorrono in suo aiuto eccetto proprio in quella occasione in cui il lupo sopraggiunge veramente e mangia il giovane. Cosa c’è di diverso tra le due versioni? Alcuni particolari che ritraggono il pastorello e gli abitanti del villaggio in modo differente. Nella prima versione, il pastorello paga giustamente per il suo scherzo stupido, facendo comprendere al lettore che, chi mente sempre, poi, allorchè dirà la verità, non verrà creduto. Nella seconda versione il pastorello risulta essere vittima della stupidità e diffidenza della sua gente. Il pastorello in breve da colpevole diventa vittima, da stupido diventa acuto e, al contrario, gli abitanti del villaggio da vittime diventano colpevoli e da persone per bene diventano stupidi ed indifferenti. È sufficiente raccontare lo stesso fatto in modo diverso.

Dunque rilevante è la narrativa. Veniamo ai nostri giorni. Qual è la narrativa dominante oggi sul Covid? Una narrativa terrorizzante e ansiogena, costruita dal governo e dai media in modo incredibilmente omogeneo: i numeri dei positivi salgono quotidianamente, così come i decessi, gli ospedali sono sotto pressione e le terapie intensive si stanno saturando. Il popolino assorbe acriticamente questa narrativa e la replica intatta e spesso senza colpa: il sig. Rossi, infatti, non è tenuto ogni giorno a spulciarsi tutti i dati scientifici, a verificare percentuali e curve. Insomma il sig. Rossi fa il lattoniere mica l’epidemiologo. Un aneddoto: una signora, borse della spesa in mano, viene intervistata per strada da una giornalista di un Tg di una rete pubblica. La signora si lamenta che sono tutti in giro. E lei? Esempio perfetto della inculturazione massificante sul Covid provocata dai media e che ha prodotto qualche milione di obbedienti replicanti che, lo ripetiamo, spesso lo sono loro malgrado. Tanto perfettamente replicanti che imputano agli altri colpe che loro stessi stanno compiendo.

Torniamo al potere della narrazione. Oggi il registro è stabile sul tono «drammatico». Basterebbe cambiare narrativa mettendo l’accento su altri fatti (la percentuale degli asintomatici e pauci sintomatici, quella riferita ai decessi e ricoverati, la curabilità di questo virus, etc.) e lo stato d’animo collettivo si rasserenerebbe. Ma così non è: i toni della narrazione sono foschi e spietati. Invece domani, perché così si è già deciso, la narrativa virerà sul tono «fiducioso». Infatti il vaccino ci salverà tutti. Poco importa se non sarà efficace, se forse arrecherà più danni che benefici, se non basterà per tutti, se ci vorranno mesi per avere una copertura vaccinale estesa. Si è già stabilito che il vaccino è il salvatore e così dovrà essere. Sarà sufficiente mettere l’accento sugli aspetti positivi e occultare quelli negativi, così come si sta facendo oggi ma alla rovescia.

Ecco quindi le due narrative antitetiche: oggi tutti noi possiamo morire, domani tutti noi possiamo salvarci. Questa narrativa ovviamente influenzerà il percepito collettivo sul fenomeno Covid, ossia l’approccio psicologico della gente alla pandemia. Attualmente, come già accennato, lo stato d’animo generale è di grande apprensione; verso dicembre-gennaio alla notizia delle prime vaccinazioni (ne basterà una, a dire la verità, anche fatta a Timbuctu) la narrativa di regime, informata da toni positivi, inizierà a rasserenare gli animi, ma elementi di preoccupazione rimarranno ugualmente; verso marzo-aprile si innescherà un climax, un crescendo vertiginoso verso la luce che parrà avere il suo culmine in estate, ma così non sarà perché l’apogeo della felicità sarà raggiunto verso l’autunno inoltrato, quando, se così accadrà, la copertura vaccinale sarà assai estesa (ma, parallelamente, durante questi mesi si svilupperà una narrativa sempre più preoccupata per la crisi economica).

Qual è dunque – è proprio il caso di dirlo – la morale della favola? Poco importano i fatti, importa come li racconti.