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IL CASO

Al Bashir, ultima beffa all'inutile Corte penale

La Corte penale internazionale ha emesso due mandati internazionali di arresto per Omar Hassan al Bashir, presidente del Sudan, per crimini contro l’umanità. Ma lui, come altri capi di Stato africani, continua imperterrito a viaggiare per il Continente, facendosi beffe della Corte, organismo ormai del tutto inutile.

Esteri 17_06_2015
Il presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir

Due volte all’anno l’Unione Africana organizza un vertice a cui sono invitati tutti i capi di Stato e di governo dei Paesi membri. Uno si svolge ad Addis Abeba, Etiopia, sede dell’organizzazione, e uno in un altro Stato del Continente, a rotazione: quest’anno è toccato al Sudafrica che ha ospitato il summit a Johannesburg dal 7 al 15 giugno. Come sempre, tra i leader convenuti c’era anche il presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir, accolto calorosamente e con tutti gli onori riservati a personaggi del suo rango. 

Al Bashir in realtà non dovrebbe recarsi in uno Stato come il Sudafrica che ha aderito alla Corte penale internazionale, Cpi, perché nel 2009 la Corte ha emesso un mandato internazionale di arresto nei suoi confronti, accusandolo dei crimini di guerra e contro l’umanità compiuti nel Darfur; mandato a cui ne è seguito un secondo nel 2010 allorché la Cpi ha deciso di accusarlo anche di genocidio, sempre per i crimini commessi in Darfur, teatro dal 2003 di uno dei più cruenti conflitti armati africani. Finora, però, il leader sudanese del mandato di cattura non si è preoccupato, continuando a viaggiare almeno entro i confini continentali e nei Paesi amici del Medio Oriente, forte del sostegno dei colleghi africani e della stessa Unione Africana. Quest’ultima, infatti, rifiuta di collaborare con la Corte e di recente le aveva chiesto di non prendere più in esame casi riguardanti capi di Stato africani in carica. Inoltre diversi leader africani hanno accusato la Cpi di razzismo e di atteggiamento discriminatorio con la motivazione che tutti i casi finora esaminati dalla Corte riguardano degli africani: il che peraltro è vero. Tra gli africani indagati figura anche il leader kenyano Uhuru Kenyatta, per cui nel 2009 è stato avviato un procedimento per accertarne l’eventuale coinvolgimento negli scontri post elettorali del 2007-2008 in Kenya, Paese di cui tuttavia è divenuto presidente nel 2013, dopo di che la Cpi ha deciso di lasciar cadere le accuse nei suoi confronti.

Anche al Bashir dopo l’incriminazione è stato rieletto due volte alla carica presidenziale: l’ultima lo scorso aprile. Inoltre, il 12 dicembre del 2014 il procuratore generale della Cpi Fatou Bensouda ha annunciato la sospensione delle indagini sui crimini di guerra in Darfur spiegando di non aver avuto altra scelta, vista la totale mancanza di collaborazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Dunque al Bashir è volato a Johannesburg sicuro dell’accoglienza e di non correre rischi. Però la Cpi ha colto l’occasione per ricordare al Sudafrica i suoi doveri: già non avrebbe dovuto invitarlo, adesso era tenuta ad arrestarlo. In preda a imbarazzo, il governo sudafricano si è deciso a chiedere ad al Bashir di non lasciare il Paese in attesa che l’Alta corte di Pretoria si pronunciasse in merito alla richiesta della Cpi, ma di fatto non gli ha impedito di partire: e solo diverse ore dopo che il suo aereo, nel pomeriggio del 15 giugno,  era decollato, quando già il leader era stato accolto in patria come un eroe, l’Alta corte ha emesso un ordine di cattura nei suoi confronti.  

È del tutto improbabile che per aver lasciato libero al Bashir il Sudafrica subisca delle sanzioni e non è escluso che il Paese decida invece di uscire dalla Cpi, come già stanno pensando di fare altri Stati. Piuttosto il comportamento del governo sudafricano, che fa seguito ai tanti episodi che in passato hanno dimostrato come l’Unione Africana non tenga affatto conto della Cpi, «suona come una campana a morto per l’organismo», almeno in Africa, e «stabilisce un precedente, a garanzia di impunità, per altri leader africani che potrebbero essere soggetti alla giurisdizione della Cpi a causa delle loro azioni». Così si è pronunciato il quotidiano sudafricano Cape Times, riecheggiando il giudizio di Sidiki Kaba, presidente dell’assemblea degli Stati membri della Cpi, che aveva espresso «grande preoccupazione per le conseguenze negative per la Corte nel caso il Sudafrica rifiutasse di adempiere al proprio dovere di procedere all’arresto». Il corrispondente della Bbc a Pretoria, Nomsa Maseko, ha sintetizzato il clima creatosi dopo la partenza di al Bashir: »così come si sono svolti i fatti, è evidente che il presidente al Bashir ha lasciato il Sudafrica con il beneplacito dell’Unione Africana». 

L’episodio conferma ancora una volta l’impotenza e la sostanziale irrilevanza, finora, di un organismo che fu voluto e acclamato come un evento storico, decisivo e indispensabile per assicurare alla giustizia chi si rende responsabile di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. In realtà la Corte può intervenire solo se e quando uno Stato non voglia o non sia in grado di agire per punire tali crimini, soltanto gli Stati che vi hanno aderito sono tenuti a rispettarne le richieste; e, soprattutto, non disponendo di proprie forze di polizia, dipende dagli Stati membri per procedere agli arresti né ha strumenti reali per rivalersi su di loro e sanzionarli qualora non rispettino le sue decisioni.