Agenda woke, arrivano i tagli delle grandi aziende
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Da Google a Microsoft, da Tractor Supply a Zoom, alcune delle più grandi aziende del mondo hanno operato tagli al personale per l’agenda DEI, ossia “diversità, uguaglianza e inclusione”. Un’agenda non solo ideologica ma anche costosa.
Rispettare le pretese del popolo woke è solo uno spreco di soldi e di buonsenso. Ce lo raccontano diversi giganti della Big Tech. E non solo. L’ultimo passo indietro di un certo rilievo arriva da Microsoft. L’azienda fondata da Bill Gates ha licenziato il team dedicato all’agenda DEI (diversity, equity and inclusion), ossia “diversità, uguaglianza e inclusione”, dopo aver investito milioni di dollari nelle varie iniziative imposte nel 2020 a tutte le grandi aziende. Motivazione: «Nuove esigenze aziendali».
Business Insider ha riferito che, in seguito ai licenziamenti, sia tra i dipendenti che tra l’opinione pubblica, l’azienda è stata oggetto di grandi critiche per non ritenere più di primaria importanza la DEI. Tali e tante da costringere la multinazionale d’informatica a giustificarsi e dichiarare che su «diversità e inclusione l’attenzione è incrollabile e si mantengono ferme le aspettative, dando priorità alla responsabilità e continuando a concentrarci su questo lavoro». Al netto dei licenziamenti, però.
Sembra che l’agenda woke, quella che era piombata sulle scrivanie di tutti gli amministratori delegati delle più grandi società al mondo con un’irruenza tale da indurre, in pochi mesi, ad allargare gli uffici e fare spazio anche a nuovi dipendenti specializzati in “diversità, uguaglianza e inclusione”, il prossimo anno non verrà aggiornata per portare avanti gli sforzi verso un mondo più equo e inclusivo. Lo fa sapere proprio quella Microsoft che, un mese dopo la morte di George Floyd († 25 maggio 2020), si era impegnata, con l’amministratore delegato Satya Nadella, a raddoppiare il numero di manager, collaboratori e dirigenti afroamericani, entro il 2025, per insegnare al mondo l’inclusività. E a rivedere tutte le dinamiche interne all’azienda. Non si sa quanti dipendenti siano stati realmente licenziati: quel che è certo, però, è che Microsoft è in buona compagnia. A inizio anno, la stessa mossa era stata messa in atto da Zoom e alla fine del 2023 anche da Meta e Google. Una decisione accompagnata da una tonnellata di scuse per dire che non si intendono rivedere le priorità. «Zoom rimane impegnata nella DEI e garantisce che i suoi principi rimangono saldamente radicati nel DNA dell’intera azienda», ha dichiarato, per esempio, l’azienda di comunicazioni video proprio mentre rimuoveva le posizioni.
Anche Tractor Supply – storica azienda statunitense che vende prodotti per agricoltori, allevatori, proprietari di cavalli e giardini e che nel 2023 ha venduto articoli per 14,6 miliardi di dollari – ha annunciato, lo scorso giugno, che avrebbe eliminato tutti i ruoli di “diversità, equità e inclusione”. E non solo. Ha deciso, infatti, di ritirare gli obiettivi imposti dall’agenda e anche quelli sulle emissioni di carbonio; non invierà più dati alla Human Rights Campaign, la più grande organizzazione Lgbt americana e smetterà di finanziare i gay pride per tornare a «concentrarsi sulle priorità dell’America rurale e sulla vera conservazione del territorio».
Alcune settimane fa, anche la John Deere, una delle principali aziende al mondo in fatto di produzione di macchine agricole, ha ritirato molti impegni legati all’agenda DEI. Il colosso dei trattori con sede a Moline, Illinois, ha aggiunto che «l’esistenza di quote di diversità e l’identificazione dei pronomi non sono mai state e non saranno una politica aziendale». Pare che i suoi clienti non abbiano preso troppo bene l’adesione al wokismo.
Anche Snap, Tesla, DoorDash, Lyft, Home Depot e Wayfair hanno ridimensionato i loro team DEI. Pfizer e BlackRock hanno cambiato le loro politiche e, secondo Indeed, a metà del 2023 gli annunci di lavoro relativi alla tutela di “inclusione e uguaglianza” nelle grandi aziende sono diminuiti del 44% rispetto allo stesso periodo del 2022.
Tutto era iniziato nel 2020, quando le massicce campagne di protesta del movimento Black Lives Matter, dopo il caso Floyd, ottennero, tra le altre cose, l’ingresso delle politiche DEI con tanto di creazione di staff ad hoc e di vocabolario nuovo da adottare nelle aziende. Le più grandi conobbero allora la pressione di mostrarsi apertamente dalla parte giusta. Da allora, alla JPMorgan, la più grande banca al mondo, i dipendenti devono evitare termini che richiamano il genere come “ore lavorative” e “manodopera” e utilizzare, invece, “ore di lavoro” e “forza lavoro”. In luogo di “lista nera”, l’azienda raccomanda “lista di non consentiti”; e ha chiesto di eliminare l’espressione “trattamento con guanti bianchi”, perché rimanderebbe ai maltrattamenti degli afroamericani. Anche i “pow-wow” aziendali – le riunioni importanti – sarebbero un’espressione capace di turbare i nativi americani ed è per questo da evitare.
Il glossario della DEI copre anche la geopolitica e suggerisce ai dipendenti di fare riferimento alla “guerra in Ucraina” e di astenersi dal chiamarla “conflitto”. JPMorgan è fiera del suo impegno per le istanze wokiste. Ha dedicato persino una pagina web per l’agenda DEI. D’altronde, nel 2020, mentre le violente rivolte di Black Lives Matter infuriavano in tutto il Paese, la banca annunciava un impegno da 30 miliardi di dollari per «promuovere l’inclusione economica tra i clienti neri, ispanici e latini». Quindi, non solo per i dipendenti. E per adesso non ha cambiato idea.
Invece, secondo Devika Brij, Ceo di Brij the Gap Consulting che lavora con aziende come Nike, Visa, Pinterest, Meta anche come consulente in materia di politiche di inclusione e uguaglianza, i suoi clienti hanno tagliato i budget destinati alla causa per il 90%.
Il cambio di passo è il sintomo dell’abbandono della politica woke? Woke è una buzz word, cioè una parola modaiola, che significa letteralmente «sveglio». Nei dizionari di lingua inglese è stata introdotta nel 2017, più o meno, e dovrebbe raccontare di un risveglio richiesto all’umanità da un letargo nei confronti di un’ingiustizia globale, per imporre le categorie nuove che, in un taglio netto con il passato, saranno utili a riparare uno status quo giudicato malsano. La sua fine era stata prevista già nel novembre 2021 dal giornalista Bret Stephens, che ne aveva scritto sul New York Times. Oggi non sappiamo se le sue previsioni si realizzeranno, ma certamente le grandi aziende ci stanno raccontando che l’ideologia woke inizia ad essere insostenibile anche per loro.