Affidamento o consacrazione, nelle Scritture la risposta
La Cei comunica che l’1 maggio affiderà l’Italia a Maria. Bene, ma solo a metà. Perché molti fedeli, e prima di loro la Madonna, chiedono una consacrazione. Ma questa è avversata da certi ambienti teologici. Eppure sono le Scritture a parlarci di una discendenza della Donna, indicando che è Dio stesso a volere che la consacrazione a Lui passi attraverso Lei. Perché i vescovi resistono alla volontà divina?
«Raccogliendo la proposta e la sollecitazione di tanti fedeli, la Conferenza Episcopale Italiana affida l’intero Paese alla protezione della Madre di Dio come segno di salvezza e di speranza. Lo farà venerdì primo maggio, alle ore 21, con un momento di preghiera, nella basilica di Santa Maria del Fonte presso Caravaggio (diocesi di Cremona, provincia di Bergamo). La scelta della data e del luogo è estremamente simbolica».
È questo il comunicato che la Conferenza Episcopale Italiana ha emesso nella giornata di ieri. Il cardinal Gualtiero Bassetti, in un breve video, ha sottolineato che l’iniziativa vuole essere la risposta alle richieste di numerosi fedeli: «Spesso è il gregge, il popolo cristiano che spinge i pastori, com’è avvenuto in questo caso», ha sottolineato il cardinale.
Si tratta di oltre 300 lettere, rivolte direttamente a lui, in qualità di presidente della Cei, il cui contenuto è così sintetizzato da Bassetti: «Perché non dedicate al Cuore Immacolato di Maria la nostra Nazione, tutte le persone che soffrono per questa epidemia, tutti coloro che lavorano negli ospedali... perché non affidarli tutti a Maria, la Nazione intera?».
Siamo contenti che i vescovi italiani abbiano deciso di rispondere al grido del popolo di Dio, loro affidato; però, siamo contenti a metà. Anzi, un quarto. A metà, perché il cardinale sta bene attento a non utilizzare quel termine che in moltissime petizioni che gli sono arrivate era scritto, nero su bianco: consacrare. Molte persone hanno esplicitamente chiesto di consacrare, non di dedicare o affidare. E non è una questione di lana caprina, come vedremo. E poi, metà della metà, perché quello che i fedeli hanno domandato, lo hanno fatto non per qualche strana idea peregrina, ma in risposta a quello che la Santissima Vergine continua, in numerose apparizioni riconosciute dalla stessa Chiesa, a chiedere da decenni: consacrare e consacrarsi al suo Cuore Immacolato.
Da un po’ di tempo a questa parte, negli ambienti teologici e gerarchici, pare che si stia bene attenti a scansare l’idea di una consacrazione alla Madonna. La ragione? Più o meno le solite che sentiamo ripetere dalle correnti mariologiche minimaliste: ci si consacra solo a Dio, occorre evitare di porre figure “parallele” a Dio e a Gesù Cristo, etc. Quindi niente corredentrici, niente mediatrici, niente consacrazioni mariane. Questa terminologia popolare è tutt’al più tollerata, ma occorre evitarla accuratamente negli atti e negli insegnamenti ufficiali.
Apripista della corrente teologica che porterà di fatto ad eliminare la terminologia di una vera e propria consacrazione a Maria, può essere considerato il teologo gesuita Juan Alfaro (1914-1993). In una sua comunicazione alle congregazioni mariane del 1963, il teologo spagnolo spiegava appunto che «una consacrazione propriamente detta non si fa se non a una persona divina perché la consacrazione è un atto di latria, il cui termine finale può essere unicamente Iddio». La consacrazione alla Madonna dev’essere considerata in senso largo, o improprio, «come riconoscimento della nostra dipendenza da lei, come affermazione della sua dignità suprema fra le persone create». In sostanza un affidamento.
È chiaro che una tale incomprensione non poteva che avviare quel processo, nemmeno troppo lungo, che ha di fatto portato a sostituire il termine “consacrazione” con quello di “affidamento”. Diffidata la consacrazione, si è consacrato l’affidamento.
Eppure, la fede dei semplici continua a persistere nel fare atti di consacrazione di se stessi, della propria famiglia, delle attività alla Madonna, forte del suo istinto soprannaturale e della conferma del Cielo stesso, per bocca della Vergine Maria e di molti santi, dal Montfort, a Padre Pio, a san Massimiliano Kolbe.
La consacrazione indica un doppio movimento: di separazione e di totale appartenenza; consacrare una chiesa significa sottrarla all’uso profano, per dedicarla esclusivamente al culto di Dio (sarà bene ricordarlo più spesso); la consacrazione religiosa, indica una separazione dal mondo per appartenere esclusivamente a Dio. E così via.
Allora è chiaro che il termine a quo è una realtà profana, mondana, che si intende lasciare, e il termine ad quem è Dio stesso, il suo servizio, la sua adorazione. E così sembrerebbero aver ragione quanti ritengono che la consacrazione possa essere solo a Dio.
Il punto è però che Dio stesso ha stabilito che tale consacrazione a Lui passi attraverso la consacrazione a Lei. È fondamentale capire che questa volontà divina, che si va esprimendo con chiarezza in questi tempi travagliati della storia dell’uomo, è rivelata nelle Scritture stesse, al punto da costituirne l’incipit e la conclusione. Esistono due stirpi, due discendenze antagoniste (cfr. Gen 3, 15) - quella della Donna e quella del serpente - tra le quali è stata costituita un’inimicizia radicale e perpetua; l’una insidiata, l’altra insidiatrice; eppure l’una vittoriosa, l’altra sconfitta. È solo chi appartiene alla stirpe di Lei a poter vincere la stirpe del serpente.
Poi la Donna “ritorna” nel capitolo 12 del libro dell’Apocalisse, rivestita di sole. Attenzione al versetto 17: «Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù». Ricompare quella stirpe, quella discendenza, che - anche questa volta - non è designata come stirpe di Dio, di Gesù Cristo, ma come discendenza/stirpe della Donna.
In questi due brani, Dio, in un certo senso, si mette sullo sfondo e lascia che il suo popolo, i figli da Lui redenti, siano definiti come stirpe/discendenza della Donna: e solo chi è discendenza della Donna è anche discendenza di Dio. Quello che scandalizza certi teologi è di fatto fondato nelle e legittimato dalle Sacre Scritture. E che questa Donna sia la Santissima Vergine risulta chiaramente dal Vangelo di Giovanni, prima alle nozze di Cana di Galilea (cfr. Gv 2, 4), e poi, in modo ancora più pregnante, sotto la Croce (cfr. Gv 19, 26). Basti accennare al fatto che l’atto del discepolo di accogliere tra i suoi beni, o tra ciò che gli è proprio, la Madre, richiama quello dell’accoglienza di Cristo. Il verbo utilizzato in Gv 19, 26 - λαμβάνω - è il medesimo che troviamo in Gv 1, 12 («A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio»).
La consacrazione a Maria risponde dunque pienamente a questo progetto divino: solo chi appartiene alla stirpe della Donna viene sottratto a quel mondo che è sotto il potere del maligno, e viene a Dio (cfr. 1Gv 5, 19); anzi, viene da Dio: «Chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca» (1Gv 5, 18). Esattamente il linguaggio di Genesi 3 e Apocalisse 12. Solo chi accoglie Maria come Madre, si lascia cioè generare da Lei, accoglie Cristo e viene generato da Lui. Perché i vescovi continuano a opporre resistenza alla volontà di Dio?