Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

APPROPRIAZIONE INDEBITA

Addio a Elena la battagliera, l'altra metà di Sakharov

Da Boston a Mosca: la vedeva
del famoso dissidente russo, il fisico Premio Nobel per la Pace Andrej
D. Sakharov (1921-1989), sarà sepolta accanto al marito. Tanto
lei era polemica, ironica, estroversa, quanto lui era cordiale, schivo, taciturno. La scomparsa della Bonner chiude davvero un'era.

I coniugi Sakharov

Nel suo vecchio appartamento moscovita di via Chkalov, riconquistato dopo il lungo esilio di Gorkij (ora, come prima della rivoluzione, Nizhnij Novgorod), Andrej Sakharov era cordiale, ma schivo, taciturno e poco incline a parlare di se stesso. Elena Bonner era esattamente il contrario: polemica, ironica, pronta a cogliere qualsiasi occasione per parlare delle sue battaglie e difendere coloro di cui aveva assunto la protezione. Credo che nella sua vita non abbia mai smesso di combattere. Aveva quattordici anni nel 1937 quando il padre, funzionario del Komintern, fu arrestato e la madre venne rinchiusa in un gulag.

Dovette battersi per completare gli studi, per essere arruolata come infermiera durante la Seconda guerra mondiale, per fare una modesta carriera negli ospedali sovietici, per ottenere la riabilitazione dei genitori dopo la morte di Stalin, per curare gli occhi malati, per ottenere dal Kgb la documentazione da cui avrebbe appreso che il padre era stato fucilato nel 1938. Apparteneva a una famiglia ebrea e armena che aveva creduto nella rivoluzione e servito lealmente lo Stato sovietico.

Nei corridoi dell'Hotel Lux di Mosca aveva visto l' aristocrazia della Terza Internazionale. Quando cominciò a difendere i dissidenti, negli anni Sessanta, lo fece con lo stile di quei nobili a cui tutto può essere tolto fuorché l' orgoglio della propria stirpe e il diritto di parlare. L' incontro con Sakharov avvenne nel 1970, nelle aule di un tribunale dove entrambi, ormai divorziati da qualche anno, difendevano con la loro presenza un militante dei diritti umani accusato di crimini contro lo Stato. Fu una delle loro prime battaglie giudiziarie.

Sakharov era ancora un grande scienziato, noto e rispettato per il suo ruolo nella costruzione della bomba a idrogeno, ma era stato radiato dall' Istituto di fisica dell' Accademia delle scienze e si era oramai interamente dedicato, con grande imbarazzo del regime, alla denuncia delle malefatte sovietiche. Dopo il loro matrimonio nel 1972 divennero una coppia formidabile e, per le autorità sovietiche, un continuo grattacapo. Il regime impedì a Sakharov di andare a Stoccolma, nel 1975, per ritirare il Nobel per la pace, ma permise che Elena lo rappresentasse. Negò alla figlia di Elena il permesso di uscire dal Paese per raggiungere il marito emigrato negli Stati Uniti, ma quando i due Sakharov proclamarono lo sciopero della fame, il regime finì per cedere. La fine dell' esilio fu annunciata da un episodio che sembra uscito dalla fantasia di Gogol.

Erano stati privati del telefono per impedire qualsiasi contatto esterno, ma un giorno, nel dicembre del 1986, suonò alla loro porta un tecnico che aveva con sé un apparecchio telefonico e l' ordine d' installarlo. Il giorno dopo il telefono squillò. Era Mikhail Gorbaciov che comunicava ad Andrej Sacharov il diritto di rientrare a Mosca. Quando Elena Bonner mi raccontò la storia della liberazione, i suoi poveri occhi opachi (era stata operata più volte anche in Italia) avevano un divertente luccichio ironico. Da allora divenne irrefrenabile. Quando veniva all' ambasciata d' Italia non perdeva l' occasione per parlare di diritti umani e civili. Andrej, nel frattempo, la guardava sorridendo e cercava bonariamente di calmarla. Dopo la morte di Sakharov nel dicembre 1989, Elena reagì con altre battaglie, altri viaggi e un forte impegno per Memorial, l' associazione che i due coniugi avevano contribuito a fondare per restituire ai russi il loro passato.

Difese Boris Eltsin durante il putsch del 1991 e la crisi del 1993, seguì attentamente la sorte dei suoi armeni durante la guerra con l' Azerbaigian per il Nagorno-Karabach (un'enclave armena in territorio azero) a continuò a scrivere, dare interviste, lanciare proposte e proclami. Fino a quando l' età e gli acciacchi non la costrinsero a trovare rifugio nella casa della figlia, in America, dove è morta all' età di 88 anni dopo una vita interamente spesa in battaglie politiche e civili.

Dal Corriere della Sera del 20 giugno 2011