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CIRINNA'

Accordo Pd-Ncd, nasce la legge Alfano-Galantino

Il presidente del Consiglio Renzi accetta le condizioni poste da Alfano (stralcio delle adozioni e maggiore differenziazione tra unioni civili e matrimoni): voto di fiducia su maxi-emendamento, sarà tagliato tutto il dibattito. Ma una spinta decisiva all'accordo viene dai vertici della Chiesa italiana, che hanno messo in soffitta la Nota del cardinal Ratzinger del 2003.
- E il giudice s'inventa la "famiglia bestiale", di Tommaso Scandroglio

Famiglia 23_02_2016
Il Senato

Unioni civili a una svolta, accordo fatto nella maggioranza di governo. Salvo sorprese dell'ultimo istante domani verrà presentato un maxi emendamento al ddl Cirinnà che stralcia la stepchild adoption (adozione del figliastro), aggiusterà gli articoli 2 e 3 per evitare l’equiparazione al matrimonio, e verrà sottoposto al voto di fiducia. In questo modo sarà votato anche dall’NCD di Angiolino Alfano e tra giovedì 25 febbraio e martedì 1 marzo dovrebbe essere approvato dal Senato. Sempre che non abbia qualche esito il ricorso alla Corte Costituzionale di una cinquantina di senatori per essere stato violato l’articolo 72 della Costituzione, che impone il passaggio di ogni disegno di legge dalla Commissione competente.

In ogni caso da un punto di vista politico l’accordo è dato per fatto, e così il ddl Cirinnà si trasforma in ddl Alfano-Galantino, essendo questo l’obiettivo congiunto voluto sia dal leader dell’NCD sia dal segretario della Conferenza Episcopale: sì alle unioni civili (distinte dal matrimonio), no alle adozioni. Grande sponsor il presidente del Consiglio Matteo Renzi che ancora ieri ha ribadito che la legge si deve fare subito, e per questo è disposto anche a “sacrificare” le adozioni, visto che non ritiene di potersi più fidare dei 5 Stelle, che hanno fatto saltare l’accordo per il ddl Cirinnà integrale la scorsa settimana. “Sacrificare” si fa per dire, perché è scontato che una volta approvate le unioni civili ci penserà qualche giudice italiano o la Corte Europea a provvedere l’integrazione. È solo questione di tempo.

Ma se Renzi è l’attore principale, una mano decisiva gliel’ha data il segretario della CEI che ha garantito il via libera alle unioni gay, se prive dell’adozione e di alcune attribuzioni matrimoniali. È questo senz’altro il dato più interessante, soprattutto se messo a confronto con l’atteggiamento della CEI nel 2007, che promosse il Family Day per bloccare i Di.Co., una versione castigata delle attuali unioni civili. Un cambiamento radicale che, curiosamente, interessa soltanto i vertici della Chiesa italiana dato che la base, il popolo, oggi ancora più numeroso di nove anni fa è contrario a questi riconoscimenti senza se e senza ma.

Come si giustifica un tale cambiamento? La ragione più gettonata dice che sono cambiati i tempi, ovvero la società italiana, per cui ormai bisogna fare i conti con una realtà sociale profondamente mutata. Tesi suggestiva ma un po’ difficile da dimostrare visto che le coppie omosessuali conviventi in Italia risultano essere 7500 su oltre 24 milioni di nuclei familiari. Ad essere cambiato in realtà è l’atteggiamento dei vertici della Chiesa italiana, che appaiono oggi più inclini al compromesso politico oltre che a una visione della Chiesa decisamente più liquida.

Esemplare da questo punto di vista è la sorte della famosa Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2003 intitolata “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”. La Nota, partendo dal significato del matrimonio e analizzando le unioni omosessuali da diversi punti di vista – incluse le gravi conseguenze per il bene comune della società - arriva a chiedere a tutti i fedeli di opporsi al riconoscimento di tali unioni. E in particolar modo afferma che il parlamentare cattolico «ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge». Per dovere di cronaca, la gran parte dei senatori cattolici (del Pd e dell’Ncd) voterà invece a favore del ddl Alfano-Galantino, con la benedizione delle gerarchie.

Questo documento fu peraltro la base su cui anche i vescovi italiani fondarono la Nota in occasione del dibattito sui Di.Co. nel 2007. Negli ultimi anni però sulla Nota del 2003 è calato il silenzio, e le cose hanno preso un’altra piega come abbiamo visto. Improvvisamente la Nota è riemersa in occasione della conferenza stampa in aereo di papa Francesco al ritorno dal Messico. Alla domanda di una giornalista che chiedeva se fosse ancora attuale, il Papa se l’è cavata affermando di non ricordare bene questo documento, per poi soffermarsi sulla necessità di una coscienza ben formata.

Una battuta che è bastata al solito Alberto Melloni (che evidentemente legge il Papa nel pensiero) per affermare su Repubblica che «in questo modo ha garbatamente riconsegnato (la Nota, ndr) al suo posto nella storia del magistero delle congregazioni romane». Ergo: «Nei prossimi giorni nessuno, dunque, potrà più usare quello strumento d'età ratzingeriana per operazioni volte a impedire una mediazione che in materia di unioni civili è indispensabile non solo per fare una legge discreta, ma per fare una società "buona"».

Siccome è dell’«età ratzingeriana» (per dire l’età della pietra) sarebbe dunque inutilizzabile, come se il Magistero avesse la scadenza come le mozzarelle. Ma Melloni non è solo: pochi giorni prima a tentare di demolire scientificamente la Nota ci aveva pensato il professore Francesco D’Agostino, presidente dei Giuristi cattolici nonché uomo di fiducia della CEI ed editorialista di punta di Avvenire.

In una lettera aperta ai membri del Consiglio centrale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, D’Agostino scrive infatti che si tratta di «un bel testo» ma che «si tratta però – ahimé – di un testo del 2003, quando si poteva ancora parlare di progetti di riconoscimento legale delle unioni gay». Oggi invece le unioni sono già realtà e quindi il documento non sarebbe più valido.

A parte il fatto che in Italia siamo ancora in fase di progetto, per cui il testo ratzingeriano sarebbe ancora valido, a D’Agostino deve essere sfuggito che nella Nota si fa riferimento esplicito anche a quei Paesi dove il riconoscimento delle unioni gay è già avvenuto, con le indicazioni del caso. Inoltre il giudizio dell’allora cardinale Ratzinger poggia sulla verità della Rivelazione, fa riferimento al progetto creatore di Dio, al fine che Dio ha stabilito per il rapporto uomo-donna. Tutte cose che hanno valore perenne, figurarsi se scadono dopo 13 anni.  

In una cosa si può convenire con D’Agostino: il linguaggio della legge naturale non è più compreso nel mondo. Ma per onestà bisogna aggiungere che non è più tollerato neanche nella Chiesa. È così che invece di porsi il problema di come rendere comprensibile la legge naturale – cioè la legge che Dio ha inscritto nel cuore di ogni uomo, di ogni cultura e di ogni tempo – D’Agostino predica di fatto la riduzione al linguaggio moderno. In questo modo però la Chiesa – così come già accade per le confessioni protestanti – sarebbe condannata a inseguire costantemente il mondo, a diventare relativista. Se per la Nota dell’«età ratzingeriana» la verità sull’uomo non cambia e non può cambiare quindi il giudizio su certe forme di convivenza, per il duo Melloni-D’Agostino anche la verità diventa relativa. È proprio questo relativismo entrato nella Chiesa che fa sì che si consideri oggi un obiettivo da raggiungere ciò contro cui si è scesi in piazza appena nove anni fa.

Così fra pochi giorni, a meno di sorprese, ci ritroveremo una legge che contraddice quanto affermato dalla Chiesa, ma promossa o quantomeno avallata dai vertici della Conferenza episcopale. In questo senso, è proprio vero che i tempi sono cambiati.

 - E il giudice s'inventa la "famiglia bestiale"di Tommaso Scandroglio