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Accettazione universale del Papa, la contraddizione che non c'è

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Secondo quanti rifiutano la legittimità di Francesco l'adesione della Chiesa al Pontefice eletto sarebbe contraddetta dal caso dell'antipapa Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa) e da altri appigli storici. Che però non dimostrano affatto la loro tesi.

Ecclesia 18_10_2024 English Español
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La posizione recentemente espressa da padre Giorgio M. Farè, carmelitano, sia mediante una lunghissima omelia, tenuta domenica 13 ottobre, che in uno scritto di circa 30 pagine (più bibliografia), Non consegnerò il Leone. Il caso della Declaratio di Benedetto XVI: un'analisi canonico-storica, ha creato molto disorientamento tra i fedeli. In sostanza, il sacerdote carmelitano porta una serie di argomentazioni per supportare una posizione che egli così riassume: «Benedetto XVI non si è mai realmente dimesso e, quindi Papa Francesco non è Papa». Nella nostra analisi, cui dedicheremo alcuni articoli, prenderemo in considerazione lo scritto e non l'audio, per la semplice ragione che, di consueto, uno scritto permette all'autore di esprimere in maniera più estesa, completa e argomentata il proprio pensiero.

Un primo aspetto che ha negativamente colpito, è il breve spazio da lui dedicato all'accettazione pacifica e universale del Papa da parte della Chiesa, quale conferma della legittimità della sua elezione: poco più di venti righe ed appena quattro note. L'autore desume una prima argomentazione da una dissertazione dell'avv. Guido Ferro Canale, pubblicata il 26 giugno 2015, quando si era nel pieno della bagarre suscitata dal libro di Antonio Socci, Non è Francesco, uscito nell'ottobre dell'anno precedente. Ferro Canale sosteneva che l'accettazione della Chiesa sarebbe un argomento addirittura contrario al diritto canonico: il diritto prevederebbe l'elezione nulla del Papa in determinate condizioni, mentre invece la pacifica et universali adhæsio affermerebbe che anche in quelle condizioni, se si ha appunto una tale adesione, l'elezione sarebbe valida.

Farè sembra far propria questa tesi, riportando, sempre sulla scorta di Ferro Canale, un esempio storico che sarebbe la prova di come «l'adesione universale non sia sempre stata garanzia di veridicità del Papa», ossia il caso dell'«antipapa Giovanni XXIII (1370 c.a.-1419) il cui nome rimase nell'Annuario Pontificio per 500 anni, prima di essere espunto».

Dedichiamo questo articolo a questo appiglio storico: davvero il caso del cardinale Baldassarre Cossa sarebbe la prova che l'universalis adhæsio non funziona? Quando Cossa venne eletto, il 17 maggio 1410, per sostituire l'antipapa pisano Alessandro V, morto due settimane prima, erano ancora in vita Gregorio XII (che risulterà essere il legittimo Papa), appoggiato da alcuni vescovi, il quale abdicò solo cinque anni dopo, per permettere al Concilio di Costanza di eleggere un nuovo Papa. Dunque, Gregorio e la sua parte non accettarono come legittima l'elezione di Cossa. E nemmeno l'accettarono i cardinali legati all'obbedienza dell'antipapa Benedetto XIII. Dunque, dell'elezione di Giovanni XXIII tutto si può dire, tranne che fosse pacificamente e universalmente ammessa dalla Chiesa.

Il fatto che fino al 1946 il suo nome risultasse nell'Annuario Pontificio, non prova assolutamente un'adesione pacifica della Chiesa. Anzitutto perché la sua legittimità non era affatto condivisa; per esempio, la voce «Jean XXIII» del Dictionnaire de Théologie Catholique (t. VIII/I, coll. 641-644), che risale al 1924, riconosce che la sua legittimità era tutt'altro che universalmente ammessa: «Sebbene la Gerarchia cattolica, organo ufficiale del Vaticano, lo consideri come il 212° successore di san Pietro, la cosa è incerta». E la cosa non sorprende, perché, come già mostrato, l'elezione di Cossa non fu affatto universalmente riconosciuta, ma venne palesemente contestata; sebbene avesse dalla sua parte la maggioranza dei vescovi e dei cardinali, altri vescovi e cardinali, tra cui due ritenuti a loro volta papi, non ne accettarono l'elezione. È dunque più che evidente che la prova portata da Ferro Canale e ripresa da padre Faré non sia affatto a sostegno dell'insostenibilità dell'adesione pacifica universale.

Un altro grave errore viene compiuto poco prima, allorché l'autore invoca il fatto di non poter essere considerato scismatico in virtù del principio del papa dubius, papa nullus. Secondo questo principio, allorché vengono sollevati dubbi sulla legittimità di un'elezione da parte dei cardinali, non è possibile accusare di scisma quanti condividono tali dubbi e dunque ritengono che il tale Papa non sia realmente tale. L'autore riporta a sostegno un'affermazione del gesuita Franz Xaver Wernz: «Non possono essere considerati scismatici coloro che rifiutano di obbedire al Romano Pontefice, perché sospettano della sua persona o ritengono che sia stato eletto in modo dubbio a causa di voci diffuse, come accadde dopo l'elezione di Urbano VI». La citazione, tratta dal n. 398 del VII volume dello Ius Canonicum di Wernz-Vidal, è un classico della letteratura sedevacantista ed è invocato anche da quanti ritengono che la sede sia vacante fin dai tempi di Giovanni XXIII (questa volta, Papa Roncalli).

Ricostruiamo il contesto integrale dell'affermazione di Wernz-Vidal. I due canonisti stanno trattando il delitto di scisma e stanno dunque esponendo quali sono i costitutivi necessari perché si configuri tale delitto e quali invece non comportano lo scisma. Tra quelli che non costituiscono essenzialmente lo scisma, troviamo appunto la disobbedienza alle leggi ecclesiastiche e il dubbio circa la legittima elezione del Pontefice, se motivata da non meglio precisati «rumores». L'esempio riportato risulta più che sufficiente per chiarire cosa si debba intendere con questi rumores: l'elezione di Urbano VI. Cosa accadde al vescovo Bartolomeo Prignano, eletto l'8 aprile 1378? Che, appena quattro mesi dopo la chiusura del conclave, la sua elezione venne contestata dalla quasi totalità dei cardinali elettori (per la cronaca, l'elezione di Urbano VI risulterà invece valida). I due canonisti, dunque, affermano che nel caso di una elezione contestata dai cardinali, il dubbio sulla legittimità del pontefice non fa incorrere nel delitto di scisma, a motivo del dubbio sollevato.

Come si può facilmente intuire, questa affermazione è perfettamente in linea con la dottrina relativa all'accettazione pacifica universale: se l'elezione viene apertamente contestata dai cardinali o almeno dai vescovi legittimi, non si ha l'obbligo di ritenere il tale Papa come legittimo e dunque il dubbio sollevato non costituisce scisma. Non così però per un' elezione universalmente e pacificamente accettata. Padre Farè contesta – e ciò costituisce il suo secondo argomento – che nel caso di Bergoglio non vi è alcuna accettazione di questo tipo. A questo dedicheremo un secondo contributo.



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