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CASO PREVOST

Abusi sessuali, seguire l'esempio di Benedetto XVI

Cosa abbiamo e cosa non abbiamo detto: un chiarimento sulle riportate accuse al Papa per la copertura di preti pedofili in Perù dopo l'intervento di giornalisti che lo scagionano. L'unica strada da percorrere è quella della trasparenza e del chiarimento.
- Media vaticani, si attende una svolta, di Nico Spuntoni  

Editoriali 17_05_2025

In questi giorni in molti ci hanno scritto in redazione a proposito degli articoli del sottoscritto che riguardavano le riportate accuse di copertura di preti pedofili in Perù da parte dell’allora vescovo di Chiclayo Robert Prevost, ora papa Leone XIV.

In particolare ci è stato chiesto di rettificare tali articoli dopo le interviste apparse su diversi quotidiani a due giornalisti peruviani che smentivano tali accuse, anzi esaltavano l’operato di monsignor Prevost nel soccorrere le vittime di abusi sessuali in Perù. Mi trovo dunque costretto a tornare sull’argomento, non per ritrattare ma perché evidentemente c’è bisogno di un chiarimento. Vado per punti:

1. Noi non abbiamo gettato alcun fango né sul vescovo Prevost né su papa Leone XIV. Lo scorso settembre abbiamo ripreso le accuse rilanciate dall’inchiesta di una tv peruviana, pubblicando anche tutti i documenti del caso, che riguardava tre sorelle della diocesi di Chiclayo che denunciavano di essere state molestate anni prima da un sacerdote in particolare e che lamentavano di non essere mai state ascoltate come testimoni in una indagine canonica ufficiale. Abbiamo correttamente riportato le denunce, la risposta della diocesi, la controreplica delle presunte vittime e una serie di strani accadimenti dopo che monsignor Prevost era stato chiamato a Roma per dirigere la Congregazione dei vescovi, tra cui l’estromissione dell’avvocato delle tre ragazze, impedito di seguire il caso. È bene ricordare che tale vicenda si inseriva nel contesto di un Pontificato che, in fatto di abusi sessuali, si è distinto per la copertura degli “amici”: i casi Barros (Cile), McCarrick (Stati Uniti), Zanchetta (Argentina) e padre Rupnik stanno lì a dimostrarlo.
In ogni caso in quell’articolo pubblicato in settembre c’erano dei fatti documentati, che non sono stati mai né smentiti né chiariti. Per essere espliciti se una presunta vittima afferma di non essere mai stata ascoltata in una indagine dopo la denuncia degli abusi, non può essere considerata una smentita la dichiarazione di un giornalista che dice che monsignor Prevost è sempre stato attento alle vittime degli abusi o che le accuse sono una vendetta di altri abusatori. Può darsi benissimo, non lo escludiamo, ma la domanda a cui bisogna rispondere è se le presunte vittime sono state ascoltate e se la loro testimonianza faceva parte dei documenti che si dice inviati a Roma.
Dunque rispetto a quell’articolo non c’è proprio nulla da rettificare.

2. Ad ogni modo già nel primo articolo di settembre il tema che abbiamo proposto è quello dell’opportunità. Cioè, è proprio il caso di promuovere a posti di così alta responsabilità prelati accompagnati da ombre su aspetti che per la Chiesa in questi anni sono stati devastanti? È lo stesso tema che abbiamo proposto alla vigilia del conclave, facendo riferimento a diversi cardinali, non solo Prevost: si tratta di un tema su cui più facilmente la Chiesa può subire il ricatto del mondo. Ma subito dopo l’elezione di Leone XIV abbiamo anche scritto che, pur vero tutto quanto già pubblicato, c’è anche una strada per liberarsi di questa zavorra: il chiarimento e il processo immediato (che è garanzia anche per gli accusati) almeno sui casi più clamorosi di abusi che sono restati impuniti nel precedente pontificato.

3. I giornalisti peruviani che nei giorni scorsi, presenti a Roma per l’incontro della stampa con il Papa il 12 maggio, hanno dato interviste accusando alcuni giornali di fango gettato sul Papa e assolvendolo da ogni accusa, sono Paola Ugaz e Pedro Salinas (nella foto, LaPresse). Si tratta dei due giornalisti che dal 2015 hanno iniziato una vera crociata contro la società di vita apostolica “Sodalitium Christianae Vitae”, fondata nel 1971 da Luis Fernando Figari, con accuse di sistematici abusi psicologici e anche alcuni casi di abusi sessuali. L’esito di queste inchieste giornalistiche è stato prima il commissariamento e infine lo scioglimento della società, spinto dallo stesso cardinale Prevost (così ha detto Paola Ugaz all’Agensir) e firmato da papa Francesco il 14 gennaio scorso e reso effettivo il 14 aprile. «I vescovi che sono stati al nostro fianco per far emergere la verità – hanno detto  Ugaz e Salinas ad Avvenire - si contano sulle dita di una mano. Uno di loro è Robert Prevost. Per tale ragione, hanno cercato di fargliela pagare. Non c’è alcun dubbio».
Non entriamo nelle vicende del Sodalitium e sui motivi che hanno portato allo scioglimento, ma con tutto il rispetto e senza spirito polemico, quando si afferma che «non c’è dubbio» che le accuse a Prevost siano una loro vendetta  vorremmo vedere le prove, anche perché i documenti e il susseguirsi dei fatti sono ancora lì da chiarire.

Peraltro salta all’occhio una curiosità su queste interviste: c’è una fotografia al termine dell’udienza del 12 maggio, che ritrae Paola Ugaz con papa Leone XIV, che indossa anche una sciarpa da lei regalatale. Quindi era sicuramente a Roma e qui ci ha parlato l’Agensir, l’agenzia della Conferenza Episcopale Italiana, e anche altri giornali. Ma misteriosamente l’Avvenire riporta l’intervista alla stessa Ugaz e anche a Salinas, datata 13 maggio, che però risulta fatta in Perù dall’apposita inviata. Sono Paola Ugaz e Pedro Salinas che hanno il dono dell’ubiquità o Avvenire ha mandato un inviato in Perù per fare una telefonata a Roma?

4. Vorrei da ultimo umilmente suggerire l’esempio di Benedetto XVI, ovvero di chi nella Chiesa ha fatto di più nella lotta agli abusi sessuali del clero: sia pastoralmente, incontrando ovunque le vittime degli abusi e senza dimenticare la potente lettera alla Chiesa d’Irlanda del 19 marzo 2010, che andrebbe ripresa e meditata; sia canonicamente, con l’introduzione di regole più severe per punire e prevenire questi crimini; sia teologicamente, chiarendo le radici di questo triste fenomeno (valgano per tutti gli Appunti scritti in occasione del Summit sugli abusi sessuali convocato da papa Francesco nel 2019).
Ebbene quando papa Benedetto, ancora all’inizio del 2022, quindi a pochi mesi dalla sua morte, fu accusato di aver coperto un prete pedofilo, reclamò la sua innocenza e rispose con una memoria di 82 pagine in cui chiariva tutto il suo operato e ancora con una lettera ai cattolici di Monaco e Frisinga l’8 febbraio. Prese cioè la strada della chiarezza e della trasparenza, avendo piena consapevolezza della gravità degli abusi sessuali commessi dal clero e della zavorra che questi rappresentano per la missione della Chiesa.

Possiamo auspicare per il bene della Chiesa che anche papa Leone XIV segua la stessa strada?