Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
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Preti pedofili coperti: ombre su Prevost, il cardinale che sceglie i vescovi

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Dal momento in cui Robert Prevost nel 2023 è stato nominato prefetto del Dicastero per i vescovi, si sono moltiplicati i tentativi di cancellare le tracce della sua copertura di due preti accusati di pedofilia nella sua diocesi di Chiclayo, in Perù. Fino alla “persecuzione” dell’avvocato delle presunte vittime. E con la nomina di un vescovo “amico”. Nuovo scandalo in Vaticano.

Ecclesia 16_09_2024 English Español
Il cardinale Robert Francis Prevost

Denunce di abusi contro due preti e accuse al vescovo di averli coperti. In sé, purtroppo, non è un fatto nuovo. Ma se il vescovo in questione, nel mezzo dello scandalo, viene chiamato a Roma come prefetto del Dicastero per i vescovi la faccenda si fa oggettivamente molto grave. E se poi, da prefetto dei vescovi, nella sua vecchia diocesi viene nominato vescovo un suo amico, che si mette a cancellare le tracce, la cosa diventa più che sospetta.

Ed è esattamente il caso che riguarda il cardinale Robert Francis Prevost, agostiniano, vescovo di Chiclayo (Perù) fino a che papa Francesco lo ha nominato il 30 gennaio 2023 a guidare il Dicastero che presiede alla nomina di tutti i vescovi del mondo, ufficio realmente assunto il successivo 12 aprile insieme a quello di presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. La berretta cardinalizia è poi arrivata nel Concistoro del 30 settembre 2023.

Ma andiamo con ordine: stando alle testimonianze giurate di tre vittime, di cui la Bussola è venuta in possesso, i fatti denunciati sono accaduti tra il 2006 e il 2010 e responsabili sarebbero due preti della diocesi di Chiclayo, circa 600 chilometri a nord della capitale Lima: padre Eleuterio Vàsquez Gonzales, conosciuto come padre “Lute”, e padre Ricardo Yesquen. Le vittime che hanno sporto denuncia sono tre giovani donne, bambine tra i 10 e i 14 anni al momento degli abusi: tre sorelle, che si sono decise a denunciare dopo aver scoperto a distanza di anni che tutte avevano subito abusi analoghi.

La più intraprendente delle tre è stata Ana Maria Quispe Diaz, che già nei primi mesi del 2020 aveva contattato telefonicamente il vescovo Robert Prevost per segnalare il comportamento dei due preti e soprattutto di padre Lute, al tempo degli eventi parroco di san José Obrero (san Giuseppe lavoratore), nel distretto di Vittoria, e molto noto in diocesi. Il modus operandi di padre Vàsquez è analogo nei confronti di tutte e tre: si fa accompagnare in qualche missione in parrocchie lontane, dove si deve pernottare e, casualmente c’è solo un letto da condividere e lì cominciano abbracci, palpeggiamenti e strofinamento dei genitali.

Le restrizioni dovute alla pandemia impediscono l’incontro di persona tra Ana Maria e il vescovo, incontro che avviene finalmente il 5 aprile del 2022 nella sede episcopale di Chiclayo, presenti tutte e tre le sorelle. Prevost, che curiosamente è stato anche l’autore delle Linee guida della Conferenza Episcopale peruviana per il trattamento dei casi di abusi sessuali, indirizza le donne al centro di ascolto da lui appena istituito e – secondo le testimonianze delle presunte vittime - le invita a sporgere denuncia presso le autorità pubbliche perché «nella Chiesa non avevano modo di indagare e solo indagini civili potevano essere usate dalla Chiesa per sanzionare» gli eventuali responsabili. Il che, come sappiamo, non è vero, le indagini canoniche sono indipendenti da quelle civili. Ma la denuncia alla polizia locale non porta a nulla perché l’eventuale reato è prescritto (il termine di prescrizione per questi reati, in Perù come in gran parte dell’America Latina, è di 4 anni). Nel frattempo però, giugno 2022, padre “Lute” viene trasferito nella parrocchia natale di Santa Cruz, ufficialmente per motivi di salute. Quanto a padre Yesquen nulla si poteva fare perché affetto da demenza senile e già da tempo ricoverato in una casa di riposo.

A difesa di Prevost la diocesi di Chiclayo, in un comunicato del 10 settembre 2024, successivo a un’inchiesta del programma Cuarto Poder andato in onda l’8 settembre su América Television, afferma che il vescovo ha subito «adottato misure cautelari», avviando «indagini preliminari» e allontanando padre Lute con «interdizione dall’esercizio del ministero sacerdotale». Circostanza immediatamente smentita il giorno successivo dalle tre giovani donne che in una lettera aperta (qui il testo integrale) danno evidenza fotografica della presenza di padre Vàsquez a diverse celebrazioni eucaristiche tra il marzo e l’aprile del 2023 (foto sopra), addirittura alla messa crismale della diocesi, quando Prevost è già stato nominato prefetto ed è amministratore apostolico della diocesi, in attesa di trasferirsi a Roma.

La diocesi afferma inoltre che tutto il materiale riguardante le indagini diocesane è stato inviato a Roma al competente ufficio del Dicastero per la Dottrina della Fede, che successivamente avrebbe archiviato il caso. Ma le tre giovani donne affermano che non sono mai state sentite da alcun “investigatore” e che non c’è traccia di questa indagine né di un eventuale esame da parte del Dicastero vaticano. L’unica volta che hanno potuto raccontare la loro storia davanti a un investigatore ufficialmente nominato dalla diocesi è quando l’amministratore apostolico succeduto a Prevost, il vescovo Guillermo Cornejo Monzón, ha aperto («riaperto» secondo la diocesi) l’indagine nel dicembre 2023 dopo che Ana Maria Quispe Diaz, esasperata dal silenzio della diocesi, ha reso pubblica la sua storia attraverso i social, peraltro scoprendo, secondo quanto afferma, almeno altri sette casi di ragazzine abusate dai due sacerdoti.
Secondo la diocesi, comunque, le carte riguardanti il caso sono di nuovo state presentate al Dicastero per la Dottrina della Fede, presso cui tuttora giacciono in attesa di un esame.

La vicenda resta dunque da chiarire, compresa la responsabilità del vescovo Prevost nel presunto insabbiamento; ma ci sono alcuni fatti incontestabili e quello che sta accadendo dopo la nomina di Prevost a Prefetto è quanto meno inquietante e ricorda altre vicende poco edificanti di questo pontificato, dal caso di monsignor Gustavo Zanchetta (qui e qui) a quello di padre Marko Rupnik.

Di sicuro c’è che dal momento della prima segnalazione nel 2020 non c’è stata alcuna mossa di Prevost per chiarire la consistenza delle accuse e le restrizioni dovute alla pandemia non giustificano certo l’inazione. E anche dopo la denuncia formale dell’aprile 2022 nulla di concreto è stato veramente fatto, visto che la diocesi non è ancora stata in grado di dimostrare l’avvio di una indagine canonica e di aver fatto deporre le tre presunte vittime.

Ma soprattutto destano stupore i tempi della nomina di Prevost a prefetto del Dicastero per i vescovi: nel gennaio 2023 il caso non è ancora andato in pasto alla stampa internazionale ma nella Chiesa peruviana la vicenda era già nota e secondo quanto potuto accertare dalla Bussola anche il Pontefice sarebbe stato avvertito del rischio. Non bastasse, erano già noti due casi imbarazzanti riguardanti monsignor Prevost al tempo in cui era superiore generale degli agostiniani (mandato che ha svolto dal 2001 al 2013), la copertura di due sacerdoti agostiniani accusati di abusi sessuali: padre Richard J. McGrath (caso diventato pubblico nel 2018 e per cui l’ordine agostiniano ha pagato 2 milioni di dollari di risarcimento alla vittima); e padre James Ray, poi ridotto allo stato laicale nel 2012, ma il cui legame con Prevost è stato svelato dalla stampa all’inizio del 2021. Da notare che in entrambi questi casi con Prevost è stato coinvolto anche l’attuale arcivescovo di Chicago, il cardinale Blaise Cupich, notoriamente molto vicino a papa Francesco.

Visto il contesto la nomina di Prevost appare quindi quantomeno azzardata se non proprio inopportuna in una posizione così delicata quale è la scelta dei vescovi di tutto il mondo. Ma il peggio avviene successivamente: poco dopo che l’amministratore apostolico monsignor Cornejo Monzón apre l’indagine sul caso (dicembre 2023), arriva la nomina del nuovo vescovo di Chiclayo. Il 14 febbraio 2024 il papa nomina monsignor Edinson Farfán Córdova, da appena 4 anni vescovo della prelatura di Chuquibambilla. Quale è il problema? Semplicemente che Farfán è agostiniano come Prevost, un suo amico personale e lo stesso Prevost ha partecipato alla consacrazione episcopale di Farfán. Non solo, a Chuquibambilla monsignor Farfán era stato accusato di aver coperto gli abusi di un altro sacerdote agostiniano, don Juan Carlos Olaya.

In pratica il cardinale Prevost ha fatto nominare suo successore un suo amico e confratello, che infatti si è subito dato da fare per “ripulire” il passato del Prefetto. Non solo ha alzato un muro di omertà contro i giornalisti che hanno cercato di indagare sulle accuse contro padre Lute, decidendosi alla fine di pubblicare un comunicato lo scorso 10 settembre che le tre presunte vittime hanno prontamente sfidato. Ma ha ostacolato in ogni modo l’attività dell’avvocato canonista, monsignor Ricardo Coronado Arrascue, che dal 6 maggio 2024 ha assunto la tutela legale delle tre donne che accusano padre Lute e il cardinale Prevost: prima rifiutandosi di incontrarlo e poi rigettando la legittimità del suo incarico (foto a sin.), così da potergli rifiutare l’accesso ai documenti inerenti l’indagine.

Non solo, contro Coronado parte un vero e proprio attacco concentrico: il 24 agosto la Conferenza Episcopale peruviana annunciava che monsignor Coronado non poteva più esercitare come canonista in Perù e quindi non poteva continuare a difendere i suoi clienti attuali. Una decisione che curiosamente anticipava la lettera del 29 agosto con cui il vescovo di Cajamarca (diocesi di appartenenza del canonista) gli comunica che presso il Dicastero del Clero in Vaticano è stato depositato un fascicolo a suo carico per un presunto delitto non meglio precisato “contra sextum” (ma fonti della Bussola parlano di un rapporto stabile con adulto consenziente); e che lo stesso Dicastero gli offre la possibilità di fare richiesta volontaria al Papa di chiedere la dispensa dal sacerdozio pena «l’avvio di un processo penale amministrativo». Poi un comunicato del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale pubblicato il 14 settembre (foto a dx) giustifica proprio con l’avvio del processo penale la decisione di proibire a Coronado l’attività nei tribunali ecclesiastici annunciata il 24 agosto. Se pensiamo alla lentezza e alla reticenza in Vaticano riguardo a recenti scandali in fatto di abusi sessuali, la rapidità e la severità delle misure contro monsignor Coronado (che peraltro respinge tutte le accuse) sono sorprendenti e molto più che sospette, visto anche che non si tratta di abusi ma eventualmente di rapporti tra adulti consenzienti.

Insomma ce ne è abbastanza per chiedere di fare piena luce sulla vicenda e se nel frattempo sia opportuno mantenere il cardinale Prevost al suo posto.