Aborto, la sfida di legare assieme dottrina e prassi
Papa Francesco ieri ha parlato in modo molto duro dell’aborto. Dire che abortire è come assoldare un killer è un’espressione che non lascia molti margini alla tolleranza. Come possono stare insieme questa presa di posizione di papa Francesco e le sue lodi ad Emma Bonino “grande italiana”? In questo pontificato emerge una nuova relazione tra la dottrina e la prassi. La dottrina viene ribadita, come nel caso dell’aborto nelle affermazioni di ieri, ma essa non ha una lineare conseguenza sulla prassi.
- UNIVERSITARI PER LA VITA AGGREDITI di Marco Guerra
Papa Francesco ieri ha parlato in modo molto duro dell’aborto. Dire che abortire è come assoldare un killer è un’espressione che non lascia molti margini alla tolleranza e che non concede nulla anche all’attenzione rispettosa che di solito gli ecclesiastici hanno, quando parlano di aborto, nei confronti delle donne che abortiscono. Quando papa Francesco interviene di tanto in tanto su questi temi caldi, di solito succede che gli abortisti tacciono, mentre con i papi precedenti protestavano, gli antiabortisti si sentono confortati che il papa sia con loro, come uscendo da una certa incertezza o perplessità, e noi siamo contenti ma ci poniamo qualche domanda.
Come possono stare insieme questa presa di posizione di papa Francesco e le sue lodi ad Emma Bonino “grande italiana”? Oppure, come si combina con l’idea da lui espressa che i principi non negoziabili – tra i quali campeggia il diritto alla vita - siano incomprensibili? A partire da queste affermazioni del papa, bisognerebbe organizzare dappertutto le Sentinelle in Piedi, ed invece esse vengono osteggiate proprio dalla gerarchia ecclesiastica. Bisognerebbe appoggiare la Marcia per la Vita ed invece si fa il contrario. Bisognerebbe valutare la politica proprio a partire da questo aspetto mentre avviene il contrario.
In questo pontificato emerge una nuova relazione tra la dottrina e la prassi. La dottrina viene ribadita, come nel caso dell’aborto nelle affermazioni di ieri, ma essa non ha una lineare conseguenza sulla prassi. Si pensa che se venisse applicata conseguentemente imporrebbe la propria astrattezza alla realtà. Nella applicazione c’è bisogno di interpretazione e discernimento, ossia di entrare dentro le vicende storiche senza giudicarle dall’esterno applicandovi una astratta teoria. È quanto avviene sulla questione dei divorziati risposati e del loro accesso all’eucarestia, ma anche su molte altre questioni oggi in ballo. In questo modo si pensa di rendere un servizio alla dottrina collegandola meglio con la prassi ed invece si finisce per decretare la priorità della prassi sulla dottrina. È la prassi infatti che decide cosa della dottrina debba e possa essere applicato e in che senso vada applicato. Facciamo due esempi di questi giorni. Il cardinale Cupich di Chicago afferma che la “politica” (cioè la prassi) della sua diocesi è di dare la comunione alle coppie omosessuali, in contrasto con la dottrina. Un vescovo tedesco ha comunicato la sua scelta di prassi: non ordinerà più sacerdoti che siano legati dottrinalmente al mondo della tradizione. In ambedue i casi abbiamo la prassi pastorale che valuta selettivamente la dottrina.
Sul piano dottrinale papa Francesco dice che l’aborto è una forma di killeraggio. Sul piano della prassi incontra Emma Bonino e dice che è una “grande italiana”. In questo caso ha vinto la prassi o la dottrina? Ha vinto la prassi perché di Emma Bonino essa ha scelto cosa valorizzare e cosa no senza rifarsi alla dottrina, anzi selezionando anche la dottrina. Anche l’opinione pubblica si è ormai abituata a valutare le affermazioni del papa in questa prospettiva: gli abortisti sanno che dalle sue affermazioni dottrinali non deriveranno immediate conseguenze pratiche e quindi non reagiscono, gli antiabortisti pensano che la dottrina abbia ripreso il suo posto nel guidare la prassi e si mettono il cuore in pace ma si ingannano.
Alla base di questo nuovo approccio non solo al tema dell’aborto ma anche a quello più generale della dottrina e della prassi stanno due atteggiamenti. Il primo consiste nel vedere le varie realtà esistenziali come un insieme di aspetti che si sommano tra loro, senza una gerarchia che dia un senso al tutto per la quale ci sia bisogno della dottrina. C’è quindi l’aborto, ma c’è anche la povertà delle donne-madri, c’è l’aborto ma ci sono gli immigrati, c’è l’aborto ma c’è anche il riscaldamento climatico che genera miseria: la realtà è complessa e bisogna tenere conto di tutti i suoi aspetti. Emma Bonino dice aborto ma dice anche lotta alla fame nel mondo. L’Esortazione Gaudete ed Exsultate non pone sullo stesso piano il feto e il migrante in quanto tutti e due avrebbero bisogno di protezione? Così, però, non è. La prassi incontra i singoli aspetti, è la dottrina a vedere il tutto e a dare le priorità. Ci sono degli aspetti che, oltre ad essere tali sono anche dei principi. È questo il caso del diritto alla vita che non indica solo un ambito esistenziale della pastorale ma un principio della dottrina che illumina tutti gli ambiti dell’esistenza e della pastorale.
Il secondo atteggiamento è pensare che la realtà così complessa ed articolata, struttura a forma di cipolla o di carciofo, mai da noi conoscibile fino in fondo, non ci autorizzi mai a nessun giudizio definitivo. Non si rimarrebbe che entrare in essa e, vivendo insieme e condividendo le situazioni, provare a discernere in modo tuttavia sempre provvisorio e senza giudizi di condanna. La dottrina emetterebbe giudizi di condanna, la prassi no. Essa accompagna e basta. È anche questa una vittoria della prassi sulla dottrina. Non esistono principi orientativi a carattere definitivo, ciò che appunto si chiama dottrina, ma ad essi si deve sempre ritornare dall’interno dell’esistenza per conoscerli interpretandoli. Nessuna conoscenza senza interpretazione. Ma anche nessuna verità se non come interpretazione. Come disse il padre Soza, non avevamo registratori ai tempi di Gesù e nemmeno adesso ne abbiamo.