Pro life aggrediti, tocca alla Sapienza di Roma
Un banchetto degli Universitari per la vita contestato e aggredito dai collettivi di estrema sinistra e dalle femministe. Il nuovo preoccupante episodio di violenza liberticida ai danni di attivisti pro life si è verificato lunedì all’Università Sapienza di Roma.
Un banchetto degli Universitari per la vita contestato e aggredito dai collettivi di estrema sinistra e dalle femministe. Il nuovo preoccupate episodio di violenza liberticida ai danni di attivisti pro life si è verificato martedì all’Università Sapienza di Roma.
Forse è troppo presto per parlare di escalation dell’intolleranza, ma in questi giorni si susseguono vicende allarmanti che mostrano una riduzione dell’agibilità politica di coloro che difendono la vita nascente e promuovono politiche di sostegno alternative all’aborto per le donne con difficoltà.
Prima abbiamo assistito alla bufera scatenata dal Partito democratico contro la sua capogruppo al consiglio comunale di Verona, Carla Padovani, che ha votato a favore della mozione sostenuta dalla Lega che chiedeva, in linea con la 194, la protezione della vita. Poi abbiamo visto il video girato a Toronto, ma che in poche ore ha fatto il giro del mondo, che mostra un’attivista pro life presa a calci da un ragazzo scalmanato che già aveva provocato altri partecipanti della manifestazione pacifica “Life Chain”.
Tu puoi parlare ma solo finché sei d’accordo me, resta dunque l’interpretazione che hanno della democrazia i gendarmi del pensiero unico. Ennesima dimostrazione plastica di questo modo di ragionare e di agire si è dunque avuta nell’atrio della Facoltà di lettere della prima università della capitale. A darne notizia sono stati gli stessi Universitari per la vita, con un resoconto dei fatti pubblicato sul loro sito e confermato alla Nuova BQ dalla presidente del movimento, Chiara Chiessi.
Nell’impunità più totale, gli stessi Collettivi hanno rivendicato la spedizione tesa a chiudere la bocca a chi non fa altro che presentare evidenze scientifiche sullo sviluppo dell’embrione e le alternative all’aborto offerte dall’ordinamento italiano. Sulla pagina Facebook “Link Sapienza” campeggia infatti un post dal titolo inequivocabile: “Fuori i pro-life dall’università”.
“Riteniamo inammissibile fare propaganda in università su un tema come quello dell'aborto”, si legge sulla pagina social del collettivo della sinistra radicale, “attraverso l'uso del terrorismo psicologico, senza tenere in considerazione la sensibilità di tutte le donne che attraversano quotidianamente il nostro ateneo e che potrebbero aver vissuto in prima persona esperienze forti legate al tema. Per questo abbiamo raggiunto e allontanato immediatamente i promotori di questa vergognosa iniziativa”.
Nei passaggi successivi del post viene usata la solita retorica della libertà di autodeterminazione che, nella fattispecie, nessuno voleva negare a loro. Si scagliano quindi contro obiettori e prolife invocando “un’università laica e transfemminista”. Insomma, con toni ultra ideologizzati, negano la possibilità di qualsiasi confronto sulle verità biologiche e giuridiche inerenti all’aborto.
Basta dire la verità appunto, fatto sta però che anche la versione dei fatti sostenuta dai collettivi sembra avere qualche sbavatura. Insomma l’efficacia del blitz è tutta da vedere. Chiara Chiessi, infatti, nega che gli Universitari per la vita siano fuggiti davanti alle dure contestazioni dei gruppi della sinistra antagonista. “Avevamo il banchetto autorizzato dalle 13 alle 14.30 e lo abbiamo animato per tutto il tempo previsto malgrado le urla, le bestemmie pronunciate davanti le nostre facce e i tentativi di sottrarci i volantini informativi”, riferisce Chiessi alla Nuova BQ.
Chiessi racconta inoltre che i membri dei collettivi durante la loro "eroica" spedizione hanno anche mangiato le vivande che il movimento pro life è solito offrire per facilitare un momento di condivisione e conoscenza con i ragazzi interessati all’argomento. Tra uno spuntino e l’altro sono volate parole irripetibili volte ad offendere sul piano personale le persone che animavano il banchetto pro life. Secondo Chiessi, le più esagitate erano le donne dei gruppi femministi, alcune delle quali sono riuscite a strappare diversi volantini, una di esse ha perfino alzato minacciosamente le mani davanti al suo volto.
Cosa sarebbe successo se una vicenda simile fosse accaduta a parti invertite? Quante interrogazioni parlamentari e paginate di giornali avremmo avuto se un’attivista pro life avesse attaccato un banchetto di femministe pro-choice? L’indignazione a corrente alternata è una brutta bestia che condiziona il dibattito di questo Paese. Ad ogni modo chiunque ha a cuore la libertà di pensiero dovrebbe essere seriamente turbato dall’impunità con cui agiscono i collettivi che usano la prevaricazione violenta come strumento di azione politica.