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Aborto, i medici contro il Papa invocano (a torto) la legge

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Il comunicato della FNOMCeO, in replica alle nette parole di Francesco: non sicari ma esecutori della 194. Si ripropone l'equivalenza tra legale e moralmente lecito, che è falsa e non basta a trasformare in bene la soppressione di una vita.

Vita e bioetica 05_10_2024
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Ormai celebri le parole del Papa in conferenza stampa al ritorno dal viaggio in Belgio: «Un aborto è un omicidio. […] E i medici che si prestano a questo sono – permettimi la parola – sono sicari. Sono dei sicari. E su questo non si può discutere. Si uccide una vita umana». La figura del sicario scelta dal Papa è assai azzeccata. Infatti la donna, eccetto quando assume pillole abortive, è il mandante dell’aborto e il medico il sicario, perché esecutore materiale di un assassinio su richiesta della madre. Il Papa non è stato crudo o poco misericordioso, ma semplicemente realista, ha fotografato i fatti per quello che sono. Sono i fatti ad essere crudi e spietati.

A stretto giro la risposta del Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), Filippo Anelli, contenuta in un comunicato stampa: «I medici sono sempre vicini alle persone che soffrono, che hanno bisogno del loro aiuto. Nel caso specifico, svolgono questo delicato compito rendendo possibile l’applicazione di una Legge dello Stato, la 194/78. Una legge che prevede il rispetto della salute e della dignità della donna e della libertà sia della donna che del medico».

I medici che praticano aborti non sono vicini alle persone che soffrono. Non sono vicini in primis al nascituro perché lo uccidono e non sono vicini alla donna perché l’aborto non è mai la soluzione alle loro sofferenze, ma la causa di ben altre sofferenze che si cumulano alle prime: vedi sindrome post abortiva che colpisce, prima o poi, pressoché tutte le donne che hanno abortito.

La 194 non prevede il rispetto della donna perché le permette un atto contrario alla sua dignità. Ogni azione contraria alla morale è tale perché contraria all’intima preziosità della persona. Il medico quindi compie un atto che è sommamente lesivo della dignità della madre, di quella del figlio e di se stesso, nonché lesivo del ruolo professionale del medico che è chiamato a salvare vite e non ad ucciderle. Inoltre assecondando la scelta abortiva della donna si perverte la libertà personale, perché quando il libero arbitrio si volge al male l’uomo non è libero, ma si fa schiavo del proprio egoismo tossico. Analogamente il medico lega a sé con forti catene la libertà della donna permettendole di rimanere oppressa dal male compiuto. Infine Anelli si scorda della libertà del nascituro, calpestata nel suo intimo sin dal suo esordio perché l’aborto nega il suo diritto alla vita.

Anelli così prosegue: «Il professionista ha infatti la facoltà di avvalersi dell’obiezione di coscienza, libera scelta personale che non deve diventare elemento di giudizio o discriminazione». Invece è corretto criticare chi non si avvale dell’obiezione di coscienza perché tutti, medici e non, hanno l’obbligo di non uccidere l’innocente. L’obiezione di coscienza è giuridicamente una facoltà, ma rimanda sul piano morale ad un obbligo, quello di non uccidere.
Torniamo ad Anelli: «Nel nostro Paese i medici sono chiamati a svolgere un compito stabilito per legge senza obblighi o costrizioni, ma con la dovuta sensibilità e la vicinanza alla persona, nel pieno rispetto della dignità umana».

Tra le righe il Presidente della FNOMCeO ci sta dicendo questo: se una condotta è permessa dalla legge vuol dire che è eticamente lecita. Quanto di più falso. Anche le leggi razziali erano leggi dello Stato eppure oggi nessuno si sognerebbe mai di ritenerle giuste. La posizione di Anelli è ascrivibile al più piatto giuspositivismo. Il filosofo del diritto Hans Kelsen affermava che è irrilevante il contenuto di una norma, invece è rilevante la validità di una norma, ossia quest’ultima, nel suo iter di approvazione, deve aver rispettato tutte le regole previste per la sua emanazione (cfr. Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi, 1999). È il formalismo giuridico: il rispetto della forma è l’unico criterio da tenere in considerazione. Se esiste una legge sull’aborto varata democraticamente che permette al medico di compiere aborti, quella legge è insindacabile, anche dal Papa stesso. Ma le leggi per essere tali devono rispettare la legge morale naturale, perché lex iniusta non est lex, sed corruptio legis (cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 95, a. 2 c). Prima viene la legge naturale e poi il diritto positivo. Prima la legge di Dio e poi quella degli uomini.

Sempre su questo tema Anelli così continua: «La Legge 194 è una Legge dello Stato e, come tale, è dovere di tutti i cittadini rispettarla e applicarla». Le leggi intrinsecamente inique non meritano rispetto e non devono essere applicate. Se una legge comanda di compiere un male occorre disobbedire (ma non è questo il caso dell’aborto nei confronti dei medici). Se una legge permette di avvalersi di una facoltà di compiere il male, è fatto divieto morale di avvalersi di questa facoltà: è il caso del medico e della donna in relazione all’aborto. Se ci fosse una legge che permettesse ai medici di compiere esperimenti anche letali sui bambini con il consenso dei genitori, Anelli giustificherebbe tali esperimenti appellandosi alla legge? Se allora una norma che legittimasse la soppressione dei bambini non dovrebbe essere rispettata e applicata, perché si chiede il rispetto e l’applicazione della 194 che ugualmente permette la soppressione dei bambini nel ventre delle madri?

Infine un’ultima opinione del Presidente: «Il rispetto di ogni persona, delle sue opinioni, delle sue convinzioni, delle sue scelte è la parte più nobile della nostra Professione, che in qualche maniera si avvicina all’invito alla Misericordia più volte richiamato dal Santo Padre, oltre che ai valori espressi dalla nostra Costituzione». Il rispetto della persona esige che, se questa persona cade in errore, di farlo a lei presente, posto che sia opportuno. Questa è vera misericordia cristiana: l’amore del prossimo significa volere il bene della persona. Se quest’ultima compie un assassinio è necessario tentare di farla ravvedere, perché questo è il suo bene. Il rispetto allora è dovuto alla dignità della persona, non a qualsiasi sua scelta: quando quest’ultima compiendo un male se ne allontana, richiamarla al bene significa rispettare proprio quella dignità che è stata violata dalla persona stessa.
Il Santo Padre ha messo il dito nella piaga, una piaga che è nella testa e cuore di molti medici. E allora: medice, cura te ipsum.



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