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Aborto facile: mistero sul sì dell'Aifa, il Piemonte non ci sta

Le linee guida sul day hospital della RU486 non avevano il via libera dell'AIFA, che metteva in guardia sui rischi della pillola ammazza-bambini. Ma si è corsi ai ripari dopo l'annuncio con una delibera ad hoc. Ad accorgersene la deputata Augusta Montaruli di Fratelli d'Italia, che ora va all'attacco di Speranza: «Linee guida illegittime». In campo anche la Regione Piemonte, che minaccia un'impugnazione al Consiglio di Stato. L'assessore Marrone: «Anche solo 50 donne in pericolo è un prezzo da pagare altissimo per accontentare le ideologie degli amici di Speranza». 

Vita e bioetica 19_08_2020

Il trionfale tweet del ministro della Salute Speranza per le nuove linee guida sull’uso della pillola RU non aveva tenuto conto della contrarietà dell’Agenzia Italiana del Farmaco. Eppure, nel parere del CSS, i rischi derivanti da un’assunzione in day hospital della pillola ammazza-bambini entro la nona settimana di gravidanza e dal decorso domiciliare erano messi nero su bianco non solo – come ha documentato la Bussola – dalla letteratura scientifica utilizzata dalla Società Italiana di Ginecologia, ma anche dall’Aifa.

Una delibera dell’Agenzia Italiana del Farmaco del 30 luglio 2009, infatti, subordina l’utilizzo del mifepristone nel quadro della Legge 194, dunque all’interno di un contesto di ricovero ospedaliero e mai oltre la settima settimana di gravidanza. E questo la relazione del CSS, per quanto favorevole, lo sottolineava. Insomma: le due novità introdotte trionfalmente da Speranza come atto di civiltà, una barbarie in realtà per il feto abortito e per la donna, sono proprio i principali scogli che restano ancora in piedi.

Curiosamente però, l’11 agosto, ecco che l’AIFA scrive prima una delibera (che non è pubblica) e poi una determina e i due documenti smentiscono la precedente delibera e danno il via libera al piano di Speranza. Miracoli della politica: l’ostacolo dell’Agenzia del farmaco è sparito.

Ad accorgersene è Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d’Italia che ora minaccia battaglia e ha presentato un’interrogazione a Speranza per chiedergli di «ritirare le linee guida sulla somministrazione della RU486 a fronte delle gravi carenze giuridiche in termini di contrasto alla delibera AIFA n.14 del 30 luglio 2009, oltre che alla legge 194 del 1978».

Il sospetto del deputato FdI è che «le linee guida sia illegittime. In questa vicenda ci sono molte cose che non quadrano, a cominciare dalla trasparenza. La determina dirigenziale però, nonostante modifichi “le precedenti limitazioni”, conferma un uso esclusivamente ospedaliero della RU. Ecco perché diventa indispensabile leggere la delibera dell’AIFA che ora non è disponibile, ma che è stata fatta comunque successivamente alla pubblicazione delle linee guida».

Insomma, l’impressione è che il tweet trionfale di Speranza non avesse tutte le carte in regola per essere tale, così ci si è affrettati a correre ai ripari, almeno salvaguardando la forma anche se sarà difficile smentire le evidenze scientifiche e farmacologiche sulla pericolosità della RU. In ogni caso, resta il problema che le linee guida contraddicono palesemente la legge 194 che non prevede una pratica di aborto a domicilio o fai da te, come si profila ad essere l’aborto farmacologico.

L’impegno di Fratelli d’Italia sul fronte RU486 non si ferma soltanto all’attività parlamentare, ma arriva a investire anche il lavoro delle Regioni, dato che la titolarità della salute è in capo ad esse.

Della contrarietà al regime in Day Hospital per la Ru della governatrice umbra Tesei si è detto. 

Ora scende in campo anche il Piemonte con l’assessore Maurizio Marrone, che ha deciso di chiedere un parere all’Avvocatura della Regione per approfondire il parere del CSS sui limiti all’applicabilità.

«La delibera dell’AIFA citata nelle premesse delle linee guida  – spiega alla Bussola – viene data come superata, mentre il parere del CSS sottolinea che sarebbe ancora in vigore e andrebbe a contraddire le linee guida. Ho chiesto all’avvocatura se questa delibera è ancora vigente e se sì, capire quali siano gli strumenti che le Regioni hanno, in quanto titolari del servizio sanitario, per sollevarle e per eccepirle rispetto alle nuove linee guida».

Marrone dice che «non si tratta solo del tema della banalizzazione dell’aborto, ma anche di conoscere le ricadute che questa pratica avrà sulle donne. Non a caso i pasdaran dell’aborto libero, dopo l’uscita delle linee guida, hanno già alzato la posta, come dimostrano le dichiarazioni del ginecologo abortista Silvio Viale, il quale ha annunciato il prossimo obiettivo dell’ideologia radicale: la RU486 direttamente prescrivibile in farmacia. Al di là di questa boutade, come Regioni siamo responsabili dell’attuazione di un protocollo che ha ricadute sulla salute delle donne, le quali potrebbero fare causa anche a noi, in caso di complicanze serie».

L’esponente di FdI ne fa una questione non solo di tutela giuridica dell’ente, ma anche di freddi numeri. «Le stesse linee guida citano l’incidenza di complicazioni attorno al 3,5%. Se prendiamo il Piemonte, che è la Regione in Italia dove si compiono più aborti farmacologici, 1.500 all’anno, anche solo immaginare che 50 donne siano lasciate sole in pericolo con questo dramma nel chiuso della loro casa, mi fa dire che per un amministratore è un prezzo inaccettabile da pagare. Per che cosa poi? Per accontentare la fazione altamente ideologica degli amici del ministro Speranza?».

Con in mano un parere negativo dell’Avvocatura, la Regione guidata dal governatore Alberto Cirio sarebbe pronta a chiedere una sospensiva cautelativa sull’applicabilità delle linee guida e in ultimo un’impugnazione al Consiglio di Stato. La battaglia è solo agli inizi, ma è significativo constatare che con quel tweet Speranza è andato a svegliare il can che dorme perché le ambiguità emerse cominciano ad essere tante. E tutte sulla pelle delle donne usate e dei bambini uccisi.