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LITURGIA

Abbiamo bisogno del canto gregoriano

Una errata interpretazione della riforma liturgica ha spazzato via anche il canto gregoriano, andando contro ciò che i documenti del Concilio espressamente chiedevano. Il risultato è stato un oggettivo impoverimento della musica liturgica, che del gregoriano ha bisogno come modello. 

Editoriali 23_07_2018

Negli anni del dopoconcilio, uno dei temi che ha occupato di più le penne dei polemisti è stato quello della perdita del canto gregoriano. Questo repertorio che la Chiesa riconosce come suo è stato di fatto estromesso dalle celebrazioni liturgiche, alla pari del latino, la lingua d’eccellenza del canto gregoriano (o canto romano franco, come sarebbe meglio chiamarlo).

Il Beato Paolo VI nella Sacrificium Laudis del 1966 (Epistola apostolica sulla lingua latina da usare nell'Ufficio Liturgico corale da parte dei religiosi tenuti all'obbligo del coro, ndr) diceva: “Quale lingua, quale canto vi sembra che possa nella presente situazione sostituire quelle forme della pietà cattolica che avete usato finora? Bisogna riflettere bene, perché le cose non diventino peggiori dopo aver rinnegato questa gloriosa eredità. Poiché vi è da temere che l'Ufficio corale venga ridotto a una recitazione informe, della quale voi stessi sareste certamente i primi a risentire la povertà e la monotonia. Sorge anche un altro interrogativo: gli uomini desiderosi di sentire le sacre preci entreranno ancora così numerosi nei vostri templi, se non vi risuonerà più l'antica e nativa lingua di quelle preghiere, unita al canto pieno di gravità e bellezza?”.

La risposta da dare al Beato Paolo VI che si poneva questa angosciosa domanda più di 50 anni fa è: no, gli uomini e le donne non sono più così numerosi nell’attendere la liturgia e questo malgrado si sia tentato l’abbraccio con le cose del mondo nel modo più plateale, buttando moltissimo della Tradizione liturgica e musicale alle ortiche.

Proseguiva la Sacrificium Laudis: “Preghiamo dunque tutti gli interessati, di ponderare bene quello che vorrebbero abbandonare, e di non lasciare inaridire la fonte alla quale hanno fino ad oggi abbondantemente attinto. Senza dubbio la lingua latina crea qualche, e forse non lieve, difficoltà ai novizi della vostra sacra milizia. Ma questa, come sapete, non è da ritenere tale che non possa essere superata e vinta, soprattutto tra voi che, più lontani dagli affanni e dallo strepito del mondo, potete più facilmente dedicarvi allo studio. Del resto quelle preghiere permeate di antica grandezza e nobile maestosità continuano ad attrarre a voi i giovani chiamati all'eredità del Signore; in caso contrario, una volta eliminato il coro in questione, che supera i confini delle Nazioni ed è dotato di mirabile forza spirituale, e la melodia che scaturisce dal profondo dell'animo, dove risiede la fede e arde la carità, il canto gregoriano cioè, sarà come un cero spento che non illumina più, non attrae più a sé gli occhi e le menti degli uomini”. Un cero spento...veramente una bella immagine che in modo vivo ci da la percezione di quello che stiamo vivendo.

Come ha dichiarato il noto gregorianista Giacomo Baroffio ad Alessandro Beltrami su Avvenire nel 2016: «Una delle accuse che si fa al gregoriano è che impedisce alla gente di cantare. Ma anche in molte chiese dove si canta in italiano l’assemblea partecipa poco, con il 'coretto' che fa tutto da sé... Sul gregoriano c’è un grande equivoco: la sua crisi non è musicale ma culturale. Il problema è accogliere la parola di Dio secondo una formula collaudata dalla tradizione. Il gregoriano non è musica, è preghiera». E certamente il canto gregoriano paga un pregiudizio contro ciò che è percepito come Tradizione.  Bisogna innovare sempre e comunque, anche e soprattutto a scapito di quello che i nostri padri ci hanno lasciato. 

Ma noi abbiamo bisogno di modelli e questo è il canto gregoriano, un modello indicato dalla Chiesa come esemplare per la musica liturgica. La buona musica liturgica, anche in italiano, non può crescere senza il suo modello. Cerchiamo di riscoprire questa grande saggezza che una errata interpretazione della riforma liturgica ci ha portato via.