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EGITTO

A Port Said finisce l'illusione democratica

Nell’Egitto impoverito, arrabbiato, sempre in attesa di Godot, tutto può essere, ma un dato è certo: sicurezza e tranquillità sono ben lontani.

Attualità 06_02_2012
La strage dello stadio di Porta Said

 

Una strage come quella di mercoledì sera allo stadio di Port Said che ha visto più di settanta vittime e oltre mille feriti non poteva non avere ripercussioni politiche, soprattutto in un paese come l’Egitto che sta vivendo la delicata fase della transizione da un regime dittatoriale a un sistema, per lo meno nella forma, democratico.

Da pochi giorni si è insediato il nuovo parlamento con la schiacciante maggioranza islamista, i militari sono ancora alla guida del paese, e il processo a Mubarak è in corso. Ciononostante se le conseguenze politiche non si sono fatte attendere, anche alla base degli scontri si possono rilevare motivazioni che non hanno nulla a che vedere con il calcio e con le “accese” tifoserie egiziane dell’Ahly, celebre squadra cairota, e del Masry di Port Said. Non a caso uno degli ultimi slogan scanditi dalla curva dell'Ahly aveva toni che nulla avevano a che fare con la partita: «Sento la madre di un martire che dice: i cani dei militari hanno ucciso mio figlio! Abbasso la giunta militare!». La dichiarazione del dirigente della squadra avversaria, Kamal Abu Ali, nel momento in cui annunciava le proprie dimissioni dopo la strage fa capire di pensarla diversamente: «Tutto questo non ha nulla a che vedere con il calcio, è qualcosa di molto più grande. È un complotto per rovesciare lo Stato».
Il comandante in capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate che guida l’Egitto dall’11 febbraio 2011, e che il 24 gennaio scorso ha dichiarato concluso lo stato d’emergenza che vigeva dal 1981,  è sicuro che «questo fatto non farà crollare l’Egitto» e minimizza sostenendo che «questi incidenti accadono ovunque nel mondo» e che comunque questi tragici eventi non intaccheranno la situazione interna del paese né la sua sicurezza. Purtroppo la storia dell’Egitto postrivoluzionario così come la vita degli egiziani è segnata da un evidente e profondo calo della sicurezza interna: stupri, furti, violenze di ogni genere sono all’ordine del giorno al Cairo, ad Alessandria e altrove.

Ma se la tifoseria dell’Ahly e la compagine liberale egiziana vorrebbero le dimissioni immediate del Consiglio Supremo delle Forze Armate, che dovrebbe restare al potere sino al prossimo giugno, il neo-insediato parlamento non la pensa così, confermando per l’ennesima volta il legame a duplice mandata tra Fratelli musulmani e militari. Durante la seduta d’emergenza convocata dopo la strage lo speaker al-Katatni, membro di spicco del Partito della Libertà e della Giustizia, ha dichiarato che si tratta dell’“operato del diavolo”. Il Primo ministro Kamal al-Ganzuri ha sciolto la Federazione Calcio egiziana, ha annunciato che il governatore e il capo della polizia di Port Said hanno rassegnato le dimissioni e ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. Non sono mancate nemmeno le accuse nei confronti della polizia che schierata in assetto antisommossa non è intervenuta lasciando ripetere gli attacchi dei tifosi del Masry, ma soprattutto non sono mancati i riferimenti alla presunta fedeltà delle forze di polizia locali al vecchio regime. Il deputato di Port Said Al-Badri Farghali ha puntato l’indice: «Gli uomini di Mubarak sono ancora al potere. Il capo del regime è caduto, ma i suoi uomini sono ancora tutti ai loro posti. Dov’è la sicurezza?». Se consideriamo che il processo di Mubarak è ancora in corso, non si tratta di una dichiarazione casuale.

C’è anche chi sostiene che gli scontri tra tifoserie abbiano offerto una perfetta scusa alla polizia per punire gli ultras da sempre in prima fila nelle manifestazioni contro il regime. Nell’Egitto della rivoluzione del Loto, impoverito, arrabbiato, sempre in attesa di Godot, tutto può essere, ma un dato di fatto è certo: sicurezza e tranquillità sono ben lontani. I Fratelli musulmani e i loro cugini salafiti troveranno ogni scusa per scaricare tutte le responsabilità sugli assenti, si tratti del vecchio regime oppure di Dio che promette e minaccia. I liberali sognano un Egitto che potrà essere costruito solo attraverso una profonda riforma educativa. I militari faranno di tutto per stare saldi al potere. Ma i più di ottanta milioni di egiziani dovranno ancora a lungo lottare per la sopravvivenza, a lottare nella speranza di cambiare qualcosa che mai cambierà con gli islamisti al potere.

Dimostrazione di tutto ciò sono gli scontri che ancora oggi hanno animato il centro del Cairo, nella zona di Piazza Tahrir e davanti al Ministero dell’Interno, e che hanno dato un bilancio di più di 840 feriti. Purtroppo la partita che vede contrapposti Egitto e democrazia/sicurezza è destinata a  giocare i tempi supplementari e forse ad andare ai rigori. Ma le vittime sono già troppe. Non sarebbe il caso di sospendere l’incontro? Sciaguratamente l’arbitro, rappresentato dall’occidente e dagli islamisti, è determinato a protrarre il gioco ad oltranza.