A Nantes c'è un colpevole, ma il caso non è chiuso
Il rifugiato ruandese confessa il rogo in Cattedrale a Nantes: era esasperato per la scadenza del visto. Ma sono troppe le incongruenze per un attentato gravissimo fatto passare per piccolo incidente: la facilità dell'azione, il nervosismo come alibi, il suo status: rifugiato, richiedente, lavoratore o volontario?
C’è un colpevole. È questa la prima vera notizia della surreale vicenda della cattedrale di Nantes. Dopo anni di chiese e luoghi sacri in misteriosa autocombustione, finalmente non c’è solo “una pista da seguire”. Ad appiccare il fuoco nella chiesa cattolica di Nantes, sabato 18 luglio, è stato Emmanuel A., rifugiato ruandese, 39enne, in Francia dal 2012. E c’è addirittura la confessione.
Dopo un primo rilascio, l’uomo è sottoposto ad indagine giudiziaria. In detenzione preventiva, rischia 10 anni e una multa di 150.000 euro.
Venerdì 17 luglio Emmanuel ha chiuso la chiesa ed è tornato a casa, un appartamento messo a disposizione dalla diocesi. Era lui ad avere le chiavi e il compito di chiudere la cattedrale: l’incendio è scoppiato alle 7 e 45 del mattino seguente. Tre inneschi distinti, due al piano terra, ai lati dell’altare, e l’altro a decine di metri di altezza, a livello dell’organo della fine del 1600 - che è andato completamente distrutto, dopo esser sopravvissuto persino ai saccheggi giacobini della rivoluzione francese. Per gli investigatori è stata fondamentale nelle indagini la mail di rabbia che l’uomo avrebbe inviato alla diocesi per il mancato visto e per l’ingiunzione amministrativa di lasciare il territorio francese, e che avrebbe ricevuto pochi giorni prima.
Quando domenica 19 Emmanuel A. è stato liberato, il procuratore Pierre Sennes ha immediatamente dichiarato, “non c’è alcun elemento che possa farlo ritenere coinvolto nell’incendio”. Per dieci giorni la stampa internazionale ha seguito il solito copione. Quello che non è cambiato neanche dopo le manette: "L’immigrato era sotto pressione, lecita e quasi normale la reazione di incendiare una cattedrale, ma resta comunque in piedi la teoria del malfunzionamento del quadro elettrico". Quando brucia una chiesa e il sospetto è un immigrato, c’è sempre un giusto perché al gesto folle. O non c’è mai, ma questi sono dettagli.
La narrazione che ha seguito l’attentato alla cattedrale dal primo istante ha dato per concluse le indagini: un incidente! La prova? I tre incendi sono stati collocati tutti nei pressi di impianti elettrici difettosi. Ma niente di tutto quel che è stato dato per certo è mai stato confermato, anzi. L'altro ieri sera è emerso che in cattedrale sono state trovate evidenti tracce di benzina.
Per la prima volta da anni, però, è stata seguita immediatamente dalla magistratura la pista criminale. Probabilmente l’evidenza degli spostamenti e i video del circuito di sorveglianza lasciavano troppo poco spazio alle teorie.
Eppure restano gli elementi non chiariti e che sembrano non interessare neanche alla cronaca: come è stata possibile la facilità con cui è stato appiccato un tale incendio che ha devastato la cattedrale dei santi Pietro e Paolo?; può il nervosismo per problemi con i documenti esser fatto passare come un alibi con tanta normalità?; com’è possibile che un uomo con un lavoro in diocesi e un appartamento avesse problemi con il visto?; era davvero un richiedente asilo?; perché si parla di volontariato?; può un volontario – non è certo fosse cristiano - fare il sacrestano e servire messa in cattedrale senza alcun titolo?
Troppe le incongruenze, si fa per dire, che tengono in piedi una vicenda gravissima. Un attentato fatto passare per piccolo incidente in un campo di patate abbandonato.
Il procuratore ha dichiarato di aver ascoltato più di trenta persone, ma solo il volontario ruandese è stato posto in custodia di polizia, prima di essere "lasciato libero” , per poi essere nuovamente arrestato questo sabato.
Le immagini video recuperate, anche fuori la cattedrale, erano troppo poco equivoche per il magistrato che sta seguendo il caso e che è stato sentito anche dall’AFP.
Neutrale la posizione della diocesi che in comunicato stampa a poche ore dall’arresto, e dalla difesa a spada tratta del ruandese da parte del rettore della cattedrale, padre Hubert Champenois, ha scritto: “La diocesi vuole che tutta la luce sia proiettata sulle cause di questo incendio, per questo ha fiducia nella giustizia. Per non interferire con le indagini, non commenterà i suoi progressi".
È stato reso responsabile anche lo Stato francese, reo di non aver equipaggiato le 87 cattedrali di rilevatori di incendi: a Nantes sono stati i passanti a mettere in guardia i vigili del fuoco.
Una cosa è certa: la vicenda non s'è conclusa qui. E presto emergeranno ulteriori verità. Il vero movente, forse, però, resterà come l’incendio di Notre Dame: misterioso.
Gli attentati contro il cristianesimo sono aumentati addirittura del 285% tra il 2008 e il 2019. In un solo mese, prima della cattedrale di San Pietro e Paolo a Nantes, un incendio ha devastato la cattedrale di Saint-Pierre a Rennes, un altro ha distrutto il tetto e la sagrestia della chiesa di Saint-Paul a Corbeil-Essonnes, vicino a Parigi, un altro ancora ha avvolto tra le fiamme l'abbazia di Ligugé, a Vienne. Triste cronaca di un mese ordinario in Francia.
A Nantes le fiamme hanno devastato tre enormi patrimoni dell’umanità: il grande organo costruito nel 1619, le vetrate offerte da Anne de Bretagne e un capolavoro del pittore Hippolyte Flandrin.
Nel 2019, l'Osservatorio del patrimonio religioso (OPR) ha registrato 16 incendi: due cattedrali, 13 chiese e un'abbazia. Durante i primi sette mesi del 2020, 9 edifici cattolici sono già stati avvolti dalle fiamme. Un attentato dopo un altro, senza colpevoli, senza troppe lacrime.
"In Francia vi è una silenziosa distruzione delle radici cristiane", ha affermato il filosofo Michel Onfray. "Ci sono circa uno o due atti anticristiani al giorno e ci vuole una cattedrale in fiamme per iniziare a parlarne".
Forse.
Il caso di Nantes denuncia tutta l’incapacità della Cristianità di reagire e di imporsi di fronte al degrado culturale e alla mortificazione delle comuni radici. E deriva, innanzitutto, dall’incapacità di pensare all’Occidente come uno spazio di civiltà. Come se non aspettassimo altro che farci da parte. Il cristianesimo brucia, nessuno piange, nessuno è preoccupato.