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ISRAELE

A Gerusalemme si piange Papa Francesco. Dopo una Pasqua turbolenta

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A Gerusalemme si piange Papa Francesco, cattolici e ortodossi, uniti in preghiera, sperano nell'ascolto dell'ultimo appello alla pace del pontefice. Dopo una Pasqua terribile, in cui la polizia israeliana ha ostacolato in malo modo la Veglia.

Esteri 22_04_2025
Cerimonia del Fuoco Sacro al Santo Sepolcro (La Presse)

La notizia della scomparsa di papa Francesco si è diffusa anche in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente. Nella Striscia di Gaza, cattolici e ortodossi si sono uniti in preghiera nella speranza che l’ultimo appello del pontefice alla pace possa essere ascoltato. Il patriarca Pierbattista Pizzaballa ha invitato i fedeli della sua diocesi ad unirsi in preghiera, domani, mercoledì, nella basilica del Santo Sepolcro, dove presiederà una messa in suffragio del pontefice scomparso. «Ho conosciuto il papa circa vent’anni fa, a Buenos Aires, quand’ero Custode di Terra Santa. Da papa l’ho frequentato molto più spesso, in particolare in questi ultimi anni, in seguito alla guerra. Gaza, e non solo, era diventato il simbolo di ciò che più gli stava più a cuore. La guerra, la pace e i poveri sono stati temi a lui particolarmente cari. Un altro  tema del suo pontificato è stato il dialogo, l'incontro tra culture e religioni diverse. Uniamoci nella preghiera per la morte del nostro Papa». 

Anche il presidente israeliano, Isaac Herzog, nel suo profilo social, ha voluto ricordare il pontefice: «Papa Francesco ha dedicato la sua vita a difendere i poveri e a invocare la pace in un mondo travagliato. Spero che le sue preghiere per la pace in Medio Oriente e per il ritorno degli ostaggi trovino presto risposta». Mentre tutti i palestinesi, cristiani e musulmani, ricordano l’ultimo appello del pontefice pronunciato il giorno di Pasqua: «Il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria. Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace!».

La notizia della morte del papa, in Terra Santa, si è diffusa ieri, lunedì dell’Angelo, in un contesto di acque burrascose, dopo un Sabato Santo turbato da provocazioni, intralci e impedimenti ai riti pasquali.  La vigilia di Pasqua doveva essere una tranquilla giornata di festa, invece si è tramutata in una brutta pagina di ostacoli da parte degli ebrei contro i cristiani. Il tutto inizia alle sei di mattina di sabato scorso, a Gerusalemme, quando il corteo che accompagna il patriarca della Chiesa Madre, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, si avvia alla volta del Santo Sepolcro per la celebrazione della veglia pasquale; quella che da noi, viene celebrata dopo il tramonto del Sabato Santo e prima dell'alba della domenica di Pasqua. A pochi metri dalla partenza, il primo posto di blocco. I soldati israeliani avevano sistemato delle transenne che impedivano qualsiasi passaggio. Alla processione erano presenti vescovi, sacerdoti, suore e molti fedeli. Tra di loro anche il nunzio della Santa Sede in Israele, l’arcivescovo Adolfo Tito Yllana, delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina. A nulla sono valsi i suoi inviti e le proteste. I militari erano fermi nelle consegne ricevute e hanno così costretto il corteo a deviare su un nuovo e più lungo percorso, prima di raggiungere il luogo santo.

Ma non è tutto. Appena terminata la celebrazione della veglia pasquale cattolica, la basilica del Santo Sepolcro viene invasa da soldati israeliani. Con loro anche i vigili del fuoco, muniti di estintori, pronti ad intervenire in caso di incendio. Anche gli ortodossi dovevano celebrare la vigilia pasquale. Si tratta, tra l’altro, di una funzione particolarmente significativa, durante la quale, secondo la loro tradizione, avviene il miracolo del “fuoco sacro”: un’accensione prodigiosa del fuoco all’interno dell’edicola della tomba di Cristo. Non tutti, però, sono potuti entrare nella basilica per assistere all’evento. I fedeli, bloccati all’esterno, hanno iniziato a protestare. C’è un video, che circola sui social, in cui si vede, in modo chiaro, un soldato ebreo che discute animatamente con uno scout e, all’improvviso, estrae la pistola in dotazione, puntandola verso il giovane cristiano. Quel gesto arrogante e prepotente poteva tramutarsi in tragedia. Fortunatamente un suo commilitone lo costringe a deporre l’arma.

Il Patriarcato ortodosso ha emesso una nota ufficiale di protesta, denunciando il fatto che la città santa fosse stata militarizzata, con barriere che impedivano ai fedeli di uscire dal quartiere cristiano. Anche i responsabili del gruppo scout dell’Unione arabo-ortodossa hanno diffuso un durissimo comunicato, nel quale si chiede alla comunità internazionale di intervenire per far pressioni sul governo Netanyahu, affinché venga rispettata la libertà di culto in Terra Santa. «Gerusalemme deve rimanere una città simbolo di pace, non un luogo di discriminazione e oppressione per la fede che una persona professa», si legge nel testo.

Due pesi e due misure: per i cristiani il divieto di poter esercitare liberamente la propria fede, agli ebrei, nei giorni precedenti la loro Pasqua, era stato consentito di percorrere e invadere indisturbati la città vecchia, impedendo ai cattolici di svolgere, in tranquillità, la Via Crucis del Venerdì Santo.

Pace, dialogo, riconciliazione e speranza. Sono questi i sentimenti, nel giorno di Pasqua, dei cristiani che hanno festeggiato la risurrezione di Gesù a Gerusalemme. Speranza nel cessate il fuoco, desiderio che possa finire la guerra tra Israele e Hamas e le ostilità in Cisgiordania e in Israele. Un periodo pasquale, però, segnato da un cruento conflitto e da una grave crisi umanitaria in quel che resta dell’enclave musulmana, che dista appena cento chilometri dalla città santa.

Domenica scorsa, Gerusalemme sembrava una città normale. Un via vai di persone, nel suk negozi e botteghe aperti. In alcuni passaggi più angusti delle stradine della città vecchia c’era ressa. La guerra sembrava lontana. Ma era solo apparenza. Nei crocicchi, nelle piazzette, i soldati israeliani armati vigilavano su turisti, pellegrini e residenti. Sorvegliavano con fare minaccioso imbracciando le armi. In effetti, c’è molta incertezza sul futuro e Gerusalemme è una città dai mille contrasti. Disposta sull’estremità meridionale di un altopiano dei monti della Giudea, è divisa in due: da una parte Gerusalemme Est, dall’altra la Gerusalemme occidentale. In una parte si parla arabo, nell’altra ebraico. Due mondi, due culture, due religioni. Al centro i cristiani: meno del 2% della popolazione e sempre più presi di mira oltre ad essere accusati di neutralismo e oggetto di provocazioni da parte degli ebrei ultraortodossi.   

Ma i cristiani sono pacifici, sono estranei a questo clima di violenza e il piccolo gregge, in questo contesto ostile, ha fatto memoria della morte e resurrezione di Cristo. Sappiamo che i momenti di massima sofferenza sono, però, i più fecondi. Non c’era nessuno tra coloro che assistevano alle funzioni religiose che non tenesse tra le mani un crocifisso. Ma la tomba, luogo di morte e desolazione, è ora vuota per sempre.

«La guerra finirà – ha detto il patriarca Pizzaballa -. Ma l’odio non finirà presto. Avremo bisogno, soprattutto dopo la guerra, dello spazio emotivo per parlare del futuro. Ora tutti sono così toccati dalla guerra che non c’è spazio per pensare ad altro. Ma alla fine questo finirà».

C’è il rischio che lo sconforto e la disperazione prendano il sopravvento. Dall’inizio della guerra più di cento famiglie cristiane, nella sola Betlemme, se ne sono andate, undici hanno lasciato Taybe e dieci nuclei familiari Ramallah. La gente è stanca. Non c’è futuro per loro e soprattutto per i loro figli. La vita dei palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania è diventata disumana, impietosa.

Nel frattempo nella Striscia si continua a morire, mentre i negoziatori del Qatar, Egitto e Stati Uniti proseguono nella loro fatica, nel tentativo di sciogliere la matassa per un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi israeliani, nonostante Hamas abbia respinto la proposta israeliana.

Per il governo di Benjamin Netanyahu è inaccettabile che il gruppo terroristico possa dettare delle condizioni. «Non accetteremo di porre fine alla guerra. Il futuro di Gaza potrà essere definito solo dopo la distruzione di Hamas, sia dal punto di vista militare, sia come struttura amministrativa e sociale», ha detto un funzionario israeliano che vuole mantenere l’anonimato.

La guerra contro Gaza, le prepotenze contro i cristiani stanno compromettendo la reputazione e il credito della democrazia che Israele si era conquistata dopo l’olocausto. Cancellati con un colpo di spugna tutti gli sforzi degli scorsi decenni, i vari accordi siglati  ad Oslo e a Camp David, per dare pace e tranquillità a questa terra.

Il Ministero della Salute della Striscia, controllato da Hamas, ha riferito che 44 persone sono state uccise e 145 sono rimaste ferite nelle ultime ventiquattro ore. Secondo la medesima fonte, dall'inizio della guerra, a Gaza i morti hanno raggiunto le 51.201 unità, mentre 116.869 sono i feriti.