A Est e a Sud Ecco dove l’Italia deve guardare
L’Italia dovrebbe porsi nell’Unione europea come il primo referente degli Stati membri danubiani e balcanici, e a Sud come il primo interlocutore dei Paesi del Mediterraneo. Questo dovrebbe fare e non, come vuole invece Renzi, cercare di incunearsi dentro l'abbraccio franco-tedesco che rischia di stritolarlo.
Adducendo come buona occasione la presunta imminenza del 60° anniversario del trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, che in effetti ricorrerà nel marzo del prossimo anno 2017, qualche giorno fa il governo Renzi ha convocato a Roma, dove esso venne sottoscritto il 17 marzo 1957, un incontro fra i ministri degli Esteri dei sette Stati fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi). Rimasto abbastanza in ombra a causa di eventi concomitanti di ben maggiore forza mediatica, tale incontro merita invece qualche riflessione.
Quello degli Stati fondatori dovrebbe essere un primato d’onore più che una primogenitura nel senso originario del termine. Cercare di farsi riconoscere una tale primogenitura non è certo un gesto simpatico nei confronti degli altri 22 Paesi sopraggiunti, alcuni dei quali di notevoli dimensioni come in primo luogo la Gran Bretagna, ma poi anche la Spagna e la Polonia. Non solo: i sei Stati fondatori sono rimasti gli stessi sulla carta, ma non nella realtà. Uno di essi, la Germania, è tutt’altra cosa rispetto a ciò che era e che poteva pesare nel 1957. L’Europa del 1957 era quella della Guerra fredda; e la Germania era la Germania Ovest, cui solo grazie al prestigio personale del suo cancelliere Konrad Adenauer si perdonava (ma solo il parte) il recente passato nazista. E nemmeno si prospettava quel trattato dell’Eliseo che, siglato nel 1963, diventerà poi la base di un forte e stabile asse franco-tedesco.
Sia alla scala mondiale che a quella europea il quadro oggi è così diverso che diventa difficile capire quale senso concreto possa avere un incontro come quello di qualche giorno fa a Roma, se non come cassa di risonanza di qualcos’altro. Infatti, così è stato: in pratica, mentre era in corso a Roma la bicchierata dei ministri degli Esteri degli Stati fondatori, a Parigi aveva luogo il 48° Consiglio economico-finanziario franco-tedesco nel corso del quale si è tra l’altro rotto il tabù dell’intoccabilità dei trattati europei. Al termine dei suoi lavori i due ministri delle Finanze che lo presiedevano, il francese Michel Sapin e il tedesco Wolfgang Schäuble, hanno detto chiaro e tondo che i trattati europei andrebbero cambiati; se per adesso non vi si pone mano è solo perché l’opinione pubblica vi si opporrebbe. E hanno aggiunto che a ogni modo entro la fine di quest’anno François Hollande e Angela Merkel presenteranno al riguardo «una forte proposta comune». E non si fatica a immaginarsi a quali criteri potrà essere ispirata.
Dopo decenni di governi italiani dei più vari orientamenti, ma tutti accomunati da un atteggiamento succube verso l’ “Europa”, la determinazione di Renzi nei confronti di Bruxelles (ossia in pratica nei confronti di Berlino) non può che venire guardata con simpatia. Resta poi però da vedere a servizio di quale progetto politico essa venga posta. E qui siamo ancora una volta al problema di sempre dell’attuale premier: l’uomo è giovane e pieno di energia, ma dal suo zaino spuntano compassi, triangoli e altri antichi strumenti di muratori. In tale quadro umanamente c’è poco da sperare. Siccome però siamo gente educata a sperare ciò è umanamente insperabile non esitiamo a concludere che, stando così le cose, il nostro attuale governo farebbe meglio a non cercare di incunearsi dentro un abbraccio franco-tedesco l’allentamento del quale è un’impresa titanica.
L’intesa tra i due Paesi è così forte, così strutturale e così consolidata da non ammettere alcun terzo incomodo. Un’Italia che insistesse in tale progetto farebbe la fine del gattino del famoso apologo di Enrico Mattei. A nostro avviso la strada su cui il nostro Paese deve mettersi è tutt’altra: è quella di porsi all’interno dell’Ue come il primo referente degli Stati membri danubiani e balcanici, e verso il suo esterno come il primo interlocutore dei Paesi dell’aria mediterranea in nome e per conto dell’Unione. Qui c’è un ruolo storicamente proprio dell’Italia in quanto erede delle antiche repubbliche di Venezia e di Genova; e qui c’è uno spazio che nessuno meglio dell’Italia è in grado di riempire positivamente, come a contrariis dimostra il caso della Libia. Difficile? Ma aprirsi un varco nello stretto abbraccio tra Berlino e Parigi, tra Hollande e Merkel è forse facile?