A difesa del segreto confessionale minacciato
ll Vaticano lancia un segnale importante in difesa del segreto confessionale messo a rischio dagli attacchi di alcuni Stati sull'onda dello scandalo pedofilia o di casi eclatanti come la gogna mediatica per il vescovo Cavina. Il coraggioso documento della Penitenzieria Apostolica a firma del cardinale Piacenza.
ll Vaticano lancia un segnale importante in difesa del sacramento della Riconciliazione. Lo fa con la Nota della Penitenzieria Apostolica sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale a firma del cardinale penitenziere maggiore, Mauro Piacenza, e del reggente monsignor Krzysztof Nykiel. Il documento, approvato da papa Francesco, dà un segnale importante in un preciso momento storico in cui aumentano le proposte legislative nel mondo che puntano ad obbligare i sacerdoti alla violazione del sigillo della confessione.
In Paesi come l'Australia, l'India ed il Cile sono stati presentati disegni di legge che, sull'onda della legittima indignazione suscitata dallo scandalo abusi che ha coinvolto alcuni membri del clero locale, rischiano, però, di rappresentare una minaccia seria contro la libertà religiosa. Gli autori della nota vaticana hanno ribadito la ragione teologica della inviolabilità del sigillo della confessione: "L’inviolabile segretezza della Confessione - si legge nel testo - proviene direttamente dal diritto divino rivelato e affonda le radici nella natura stessa del sacramento, al punto da non ammettere eccezione alcuna nell’ambito ecclesiale, né, tantomeno, in quello civile".
L'irrinunciabile tutela della prassi penitenziale non va affatto confusa, come moltissime ricostruzioni giornalistiche tendono a fare con superficialità, con un atteggiamento omertoso da parte della Chiesa. La nota firmata dal cardinal Piacenza e da monsignor Nykiel lo puntualizza con forza: "La difesa del sigillo sacramentale e la santità della confessione non potranno mai costituire una qualche forma di connivenza col male, al contrario rappresentano l’unico vero antidoto al male che minaccia l’uomo e il mondo intero; sono la reale possibilità di abbandonarsi all’amore di Dio, di lasciarsi convertire e trasformare da questo amore, imparando a corrispondervi concretamente nella propria vita".
Parole che sembrano voler preventivamente rispedire al mittente le eventuali e prevedibili accuse di chi, spesso da posizioni anticlericali, vorrebbe presentare l'abolizione del segreto confessionale come la soluzione contro la piaga degli abusi. In realtà, come correttamente sottolineato dall’arcivescovo di Canberra e Goulburn, monsignor Christopher Prowse, in un editoriale redatto per spiegare le ragioni del 'no' dell'episcopato nazionale alla proposta di legge approvata dall'Assemblea Legislativa del Territorio della capitale australiana, nessun "molestatore sessuale verrebbe a confessarsi da un prete se sapesse che questi potrebbe denunciarlo".
Quindi, obbligando a violare il segreto, "la remota possibilità che queste persone si confessino e così possano essere spinte e consigliate a denunciarsi presso le autorità civili svanisce". Nel testo ci si focalizza, poi, sulla dimensione strumentale che fa sì che il sacerdote venga a sapere i peccati del penitente "non come uomo, ma come Dio". La violazione del segreto, dunque, comporterebbe tradire Cristo nell'esercizio della Sua misericordia. Il Catechismo è molto chiaro nell'affermare che l'obbligo della segretezza non ammette eccezioni e la recente nota vaticana lo ribadisce, lanciando un avvertimento ai parlamenti di tutto il mondo che intendono legiferare in una direzione contraria alla fede cattolica e alla libertà religiosa: "Ogni azione politica o iniziativa legislativa tesa a "forzare" l’inviolabilità del sigillo sacramentale costituirebbe un’inaccettabile offesa verso la libertas Ecclesiae, che non riceve la propria legittimazione dai singoli Stati, ma da Dio".
Ma il documento della Penitenzieria Apostolica è importante non solo per la difesa che fa dell'inviolabilità della confessione, ma anche per quanto afferma relativamente alla direzione spirituale del singolo fedele e ai cosiddetti "segreti professionali". Un tema di particolare attualità dopo le dimissioni da vescovo di Carpi di monsignor Francesco Cavina. Il prelato ha rinunciato alla guida pastorale della diocesi di Carpi con una lettera in cui non ha nascosto tutta la sua amarezza per la "gogna mediatica" e i "tentativi di delegittimazione" subiti a seguito della diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche tratte da un'indagine scaturita da alcune denunce e poi archiviata dalla Procura.
Le conversazioni private del vescovo dimissionario di Carpi, relative anche ad argomenti collegati al suo ruolo di direttore spirituale e totalmente non ininfluenti ai fini dell'inchiesta, sono divenute di pubblico dominio. Nella sua lettera d'addio, monsignor Cavina se n'è lamentato senza tiepidezze: "Si è arrivati - ha scritto - a pubblicare anche il contenuto di telefonate legate al mio ministero sacerdotale ed episcopale". Proprio su casi come questo, dalla nota firmata dal cardinal Piacenza e da monsignor Nykiel sembra arrivare un monito a chi partecipa ad un simile 'circo' mediatico- giudiziario: "In un tempo di massificante comunicazione, nel quale ogni informazione viene 'bruciata' e con essa spesso purtroppo anche parte della vita delle persone - si legge nel testo - è necessario re-imparare la forza della parola, il suo potere costruttivo, ma anche il suo potenziale distruttivo; dobbiamo vigilare perché il sigillo sacramentale non venga mai violato da alcuno e la necessaria riservatezza connessa all’esercizio del ministero ecclesiale sia sempre custodita gelosamente, avendo come unico orizzonte la verità e il bene integrale delle persone".
Un ritorno all'etica viene presentato come il più efficace mezzo per consentire di fare a meno di quella “bramosia d’informazioni" che negli ultimi decenni sta portando il “mondo della comunicazione” a volersi "sostituire alla realtà, sia condizionandone la percezione, sia manipolandone la comprensione". La nota della Penitezieria Apostolica scoraggia i fedeli dall'imboccare la strada dell'ingordigia di scandali, una tendenza che fa scadere nella morbosità "a grave detrimento dell’annuncio del Vangelo" e che finisce per coinvolgere "le fila del clero, fino alle più alte gerarchie".
Il testo approvato da papa Francesco lo scorso 21 giugno, punta l'indice contro la diffusione di "informazioni di ogni genere, attinenti anche alle sfere più private e riservate, che inevitabilmente toccano la vita ecclesiale, inducono – o quanto meno favoriscono – giudizi temerari, ledono illegittimamente e in modo irreparabile la buona fama altrui, nonché il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità". Una lettura condivisibile attraverso cui è facile interpretare anche quanto accaduto a Carpi con la gogna mediatica di cui è stato vittima monsignor Cavina e che lascia un'intera comunità orfana di un pastore onesto e capace.
Ma il testo si rivela coraggioso anche quando menziona esplicitamente quel "pregiudizio negativo nei confronti della Chiesa cattolica" sempre più diffuso nei Paesi occidentali e che non esita più a manifestarsi anche con leggi discriminatorie dettate dalla “pretesa che la Chiesa stessa, in talune materie, giunga a conformare il proprio ordinamento giuridico agli ordinamenti civili degli Stati nei quali si trova a vivere, quale unica possibile garanzia di correttezza e rettitudine”. Il Vaticano non ci sta e rilancia, con questo importante documento, quanto dicono il Catechismo ed il codice di diritto canonico sull'inviolabilità del sigillo sacramentale che non ha nulla a che vedere con la necessaria opera di pulizia da proseguire per debellare la piaga interna dello scandalo abusi.