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CATTOLICI IN POLITICA

Zuppi e Mattarella a Camaldoli, senza sapere perché

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Al convegno sui cattolici in politica, a dire che Camaldoli è un faro sono stati proprio Zuppi e Mattarella, eredi di coloro che ne hanno spento la luce scegliendo il compromesso dei cattolici con la modernità.

Editoriali 24_07_2023

Dal 21 al 23 luglio scorsi si è tenuto presso il convento di Camaldoli (Arezzo) un convegno per ricordare l’80mo anniversario del Codice di Camaldoli, pubblicato nel 1943 da un gruppo di cattolici più o meno giovani, da Saraceno a La Pira, da Taviani ad Andreotti, da Fanfani a Moro, come progetto di un impegno dopo il crollo del fascismo. Il convegno ha visto la presenza del cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, e del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che hanno tenuto due ampie relazioni [rispettivamente QUI e QUI).

Ambedue hanno esaltato il “Codice”, il cardinale Zuppi ha addirittura detto che oggi ci sarebbe bisogno di qualcosa di analogo per l’Unione Europea e Mattarella ha affermato che è stato un contributo fondamentale per la nostra Costituzione. L’analisi è stata enfaticamente celebrativa e le due autorevoli e principali relazioni hanno sovrapposto ad un esame serio del Codice esigenze di politica ecclesiastica la prima e di costituzionalismo irriducibile la seconda. Basti pensare, a titolo di esempio, che Zuppi ha assimilato la posizione di Pio XII a quella di Francesco e che Mattarella ha mescolato il Codice dentro un gruppo eterogeneo di altri documenti come il Manifesto di Ventotene. Valutazioni, ambedue, ben difficili da sostenere.

Nel 1943 c’era un notevole fermento propositivo tra i cattolici. Due furono le proposte culturalmente più elaborate, il Codice di Camaldoli appunto e la proposta di Franco Rodano, il “cattolico comunista”. La prima fallì e condusse progressivamente all’estinzione del cattolicesimo in politica, mentre la seconda ebbe successo nel trasfigurare il cattolicesimo politico nel comunismo italiano. La questione di fondo era come rapportarsi con la modernità, che la fine della guerra avrebbe ulteriormente implementato non solo a livello politico ma anche sociale. Il Codice vuole collocarsi nella prospettiva di Pio XII, secondo il quale la democrazia, per essere accettata dai cattolici, avrebbe dovuto accogliere due presupposti: uniformarsi al diritto naturale e accettare il ruolo pubblico unico e fondativo della religione cattolica e della Chiesa. In altre parole, la società cristiana.

Nel testo del Codice di Camaldoli possiamo trovare molte espressioni che riprendono i tratti caratteristici della società cristiana come presentati dal magistero sociale da Leone XIII a Pio XII, accanto naturalmente anche a qualche debolezza e ingenuità. Ne elenco alcuni: la società civile deriva remotamente da Dio creatore; la dignità dell’uomo in società deriva dal fatto di essere “preordinato a Dio”; il bene comune è sia di ordine naturale che spirituale; il bene comune non è indirizzato solo allo sviluppo della vita materiale e intellettuale degli uomini ma anche a quella religiosa; “la sovranità statale proviene da Dio”; “Lo Stato deve riconoscere la natura divina della Chiesa”; “La famiglia ha come base e sorgente il matrimonio, e cioè: il matrimonio nel senso cristiano di unione giuridica e spirituale, perpetua, una e indissolubile per la procreazione e l'educazione della prole il mutuo aiuto e il rimedio alla concupiscenza”; “soltanto nell'unione matrimoniale c'è il diritto alla procreazione della prole”; “il divorzio come soluzione del vincolo è inammissibile”. A questi se ne potrebbero aggiungere anche altri, in applicazione del principio di sussidiarietà o nella concezione dei vari aspetti della vita economica.

Se vengono paragonati i punti ora visti con la situazione attuale, si nota che essi non hanno niente a che fare con il seguito della storia dei cattolici in politica dopo quel 1943 e con la condizione odierna. Tutti sono stati messi da parte dagli stessi cattolici in politica. Perfino gli estensori del Codice, allora poco più che ventenni ma in seguito influenti protagonisti della vita politica, hanno agito non in conformità ma in contrasto con quanto lì espresso. Il Codice non è per niente un faro per i cattolici in politica, come invece Zuppi e Mattarella hanno fatto retoricamente credere. Al convegno di qualche giorno fa a dire che Camaldoli è ancora un faro sono stati proprio gli eredi di coloro che ne hanno spento la luce.

Bisogna allora chiedersi quale sia la principale causa sia del progressivo abbandono lungo la storia di questi 80 anni dei principi del Codice, sia della sua recente pomposa esaltazione. Gli estensori del Codice fissarono in quel testo i principi della Dottrina sociale della Chiesa, ma non possedevano ormai più il retroterra culturale necessario per rimanervi fedeli. Da allora, progressivamente la politica cattolica assunse nuove correnti di pensiero legate alla Nouvelle Theologie in teologia e al personalismo cattolico in politica, che non confermavano più quanto scritto nel Codice di Camaldoli. Il tema di fondo, come ho anticipato all’inizio, era il confronto con la modernità. Il Codice non resse il confronto perché la sua lettera non fu supportata da una adeguata impostazione culturale. Una cosa almeno possiamo chiedere: che quanti hanno reso culturalmente obsoleto il Codice non se ne facciano oggi esaltatori e fingano di non vedere il fallimento cui essi stessi hanno contribuito.