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CONTINENTE NERO

Zimbabwe, fine di un'era: prime elezioni senza Mugabe

Zimbabwe: sono in corso di svolgimento in tutto il paese le prime elezioni senza Robert Mugabe, l’uomo che per 37 anni, dal 1980, ne ha deciso le sorti finché, lo scorso novembre, l’esercito lo ha costretto a lasciare la carica di presidente. Lascia un'eredità a dir poco catastrofica, con un paese lacerato da lotte interne e disastro economico

Esteri 30_07_2018
Robert Mugabe

30 luglio 2018, un giorno memorabile nella storia dello Zimbabwe. Sono in corso di svolgimento in tutto il paese le prime elezioni senza Robert Mugabe, l’uomo che per 37 anni, dal 1980, ne ha deciso le sorti finché, lo scorso novembre, l’esercito lo ha costretto a lasciare la carica di presidente. Sono stati 37 anni drammatici, durante i quali Mugabe ha represso il dissenso al costo di decine di migliaia di vittime – a partire dallo sterminio all’inizio degli anni 80 di 25.000, forse 40.000 civili Ndebele, l’etnia avversaria della sua, Shona – si è servito delle istituzioni democratiche per dissimulare il regime autoritario che aveva instaurato, vincendo un turno elettorale dopo l’altro grazie a brogli, violenze e intimidazioni che neanche si preoccupava di mascherare, e ha approfittato della sua posizione per accumulare un cospicuo patrimonio personale attingendo alle risorse del paese e a quelle messe a disposizione dalla cooperazione internazionale allo sviluppo.

Intanto portava irresponsabilmente il paese alla bancarotta, riducendo in povertà gran parte degli abitanti di quella che era stata una delle più prospere colonie britanniche, grazie alle sue risorse minerarie e alle sue fertili terre dalla resa straordinaria. Il colpo di grazia all’economia nazionale è arrivato nel 2000 quando il presidente ha ordinato l’esproprio di tutte le grandi fattorie, in gran parte proprietà dei cittadini di origine europea. Lasciate incolte o mal coltivate, le terre hanno cessato di produrre per il consumo e per il mercato. Il paese è precipitato in una crisi senza precedenti in seguito alla quale un quarto della popolazione ha lasciato il paese, mentre un terzo, senza adeguati mezzi di sussistenza, si riduceva a dipendere dagli aiuti umanitari internazionali.

Ma non per questo l’anziano dittatore, ormai ultranovantenne, ha perso il vitale sostegno dei fedelissimi veterani della guerra d’indipendenza e non per questo i militari hanno deciso di assumere il comando, “convincendolo” a dare le dimissioni. Pochi giorni prima del golpe bianco Mugabe aveva destituito il proprio vice e delfino, Emmerson Mnangagwa, fino ad allora considerato il più probabile candidato alla sua successione, rendendo certo che aveva invece scelto a succedergli la moglie Grace, leader dell’ala giovanile del partito di governo, lo Zanu-PF. In altre parole, l’esercito si è schierato con la vecchia guardia del partito che stava perdendo lo scontro con le nuove leve.

La sfida a Mugabe dunque è stata uno scontro di potere all’interno dello Zanu-Pf, mentre l’opposizione, guidata dall’Mdc, Movimento per il cambiamento democratico, e dal suo leader, lo storico avversario di Mugabe Morgan Tsvangirai, stava a guardare. Adesso a contendersi l’esito elettorale sono gli stessi due partiti: lo Zanu-Pf, che candida Emmerson Mnangagwa, e l’Mdc, che presenta Nelson Chamisa, il nuovo leader succeduto a Tsvangirai, morto lo scorso febbraio.

Il primo dato significativo, dopo la chiusura dei seggi, sarà l’affluenza alle urne, per capire quanti zimbabwani sperano in un cambiamento e, confidando in uno dei candidati, hanno votato e quanti invece si sono astenuti pensando che quelli espressi durante la campagna elettorale erano come in passato promesse e impegni che nessuno ha intenzione di mantenere.  

Il paese è in condizioni critiche. Il Pam, Programma alimentare mondiale dell’Onu, conferma che povertà diffusa, Aids, disoccupazione, instabilità economica, scarsità di contante e altri fattori continuano a gravare sulla popolazione. 2,4 milioni di persone, circa il 28% della popolazione rurale, attualmente hanno bisogno di assistenza, vittime di malnutrizione e denutrizione, e dovranno essere aiutate anche nel 2019, nella prossima stagione “della fame”, che va da gennaio a marzo. Persino nei centri urbani cresce la fame. L’agenzia governativa Food and Nutrition Council sostiene che nelle città il numero delle persone in stato di insicurezza alimentare è salito dagli 1,1 milioni del 2016 agli attuali, 1,5 milioni.

Non fa ben sperare una notizia diffusa dai partiti all’opposizione e confermata da numerose testimonianze, raccolte tra l’altro anche dall’agenzia di stampa Onu, Irin. Sembra che gli aiuti alimentari, la cui distribuzione è affidata a dipendenti governativi, siano spesso concessi solo a chi può dimostrare di avere la tessera dello Zanu-Pf. A Bulawayo, la seconda città del paese, i candidati del partito di governo durante la campagna elettorale distribuivano il riso donato dalla Cina soltanto ai membri del partito. Negli ultimi giorni prima del voto l’Mdc inoltre ha accusato la commissione elettorale di macchinazioni e brogli che impediranno un voto libero e giusto. Nelson Chamisa sostiene che la commissione ha violato la legge elettorale, ad esempio omettendo di rivelare quante schede elettorali ha stampato e che provvedimenti sono stati adottati per tenerle al sicuro.

I vescovi dello Zimbabwe hanno pubblicato una lettera pastorale dedicata alle elezioni intitolata “Aprendo una nuova porta”. “Qualunque sia il risultato – si legge nel documento – la nuova politica dello Zimbabwe dovrà essere più collaborativa, inclusiva e basata non su uno o due leader, comunque efficaci e carismatici, ma piuttosto su forti istituzioni democratiche che incarnano e assicurano i valori della nostra democrazia”. Rivolgendosi alla popolazione, “vi invitiamo pertanto – scrivono i vescovi – a guardare oltre alle imminenti elezioni, pur se importanti. Dobbiamo guardare al quadro più ampio. In definitiva, ciò che stiamo per votare non è questo o quel governo, ma piuttosto quale società costruire per noi stessi e per i nostri figli”.