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COVID IN CINA

Zhang Zhan e i testimoni di Wuhan sono esempi per noi

Nell’anno in cui due giornalisti dissidenti hanno avuto il premio Nobel per la Pace, come riconoscimento alla libertà di espressione, una giornalista indipendente cinese, cristiana, Zhang Zhan, rischia di morire in carcere. Aveva provato a documentare l'inizio dell'epidemia a Wuhan, come altri giornalisti cittadini, tutti arrestati o spariti.

Esteri 08_11_2021 English Español
Il sindacalista di Hong Kong  Lee Cheuk-Yan chiede la liberazione di Zhang Zhan

Nell’anno in cui due giornalisti dissidenti hanno avuto il premio Nobel per la Pace, come riconoscimento alla libertà di espressione, una giornalista indipendente cinese, cristiana, Zhang Zhan, rischia di morire in carcere, secondo quanto dichiarato dal fratello Zhang Ju. La testimonianza, rilasciata a Voice of America e riportata in italiano dall’agenzia Asia News conferma la situazione drammatica dei “giornalisti cittadini” (giornalisti non professionisti) che hanno provato a documentare, con video girati da loro, al di fuori dei canali mediatici ufficiali, lo scoppio della pandemia di Covid a Wuhan, nel gennaio 2020.

Zhang Zhan, secondo i suoi avvocati e in base a quanto riporta il fratello, si considera innocente e per protestare contro le condizioni della sua detenzione, ha intrapreso uno sciopero della fame. È cristiana e motivata da una forte fede, per questo i parenti temono che accetti il martirio pur di non cedere nella sua battaglia di verità. Nutrita a forza dalle autorità carcerarie, ora peserebbe già meno di 40 kg. La madre, Shao Wengxia, si è detta pentita di aver collaborato con la polizia, dalla quale ora si sente ingannata. Zhang Zhan, di professione, è avvocatessa. Come altri avvocati, ha il “vizio” di difendere i diritti umani. Era già da un anno nel mirino delle autorità cinesi: nel 2019 era stata arrestata perché aveva sostenuto la protesta pro-democrazia di Hong Kong. Allo scoppio della nuova epidemia (allora non si chiamava ancora Covid), da Shanghai si era trasferita a Wuhan per documentare il tutto. In maggio è stata arrestata e nel dicembre successivo condannata a quattro anni di carcere, per aver diffuso informazioni che “creano disordine”. Secondo Amnesty International è stata torturata per tre mesi prima della sentenza.

La prima ondata di epidemia, in Cina, ha provocato un numero di morti che, secondo le autorità cinesi, è inferiore a quello delle vittime del Veneto. In un Paese con un miliardo e mezzo di abitanti, in cui il virus non era ancora conosciuto e che è stato libero di circolare per almeno tre settimane prima che le autorità proclamassero l’emergenza, è una stima credibile? I giornalisti cittadini cinesi hanno documentato una realtà che non è mai stata mostrata dai media cinesi. Benché non abbiano fornito dei numeri, le loro stime, basate su quel che hanno visto, sono molto peggiori. Si parla di decine di migliaia di morti, nella sola città di Wuhan.

Sia Zhan Zhang che altri giornalisti non professionisti, come Chen Qiushi, Li Zehua e Fang Bin, ci hanno mostrato video amatoriali (come questo di Chen Qiushi) di ospedali che scoppiavano di pazienti, mancanza di spazi, cadaveri nelle corsie, disorganizzazione a tutti i livelli. Quel che traspariva era soprattutto la carenza di materiale. Mancavano i kit per i tamponi e pochissimi casi potevano essere diagnosticati. Persone con sintomi sospetti, anche gravi, dovevano attendere o fare anche il giro di più ospedali nella speranza di essere ammessi. E nelle testimonianze spuntano anche tempi sospetti: del nuovo virus, a quanto pare, si parlava da dicembre, non solo da gennaio. Li Zehua è diventato famoso per aver condotto una sua inchiesta sui forni crematori che, nelle settimane della pandemia, hanno lavorato senza sosta, producendo più di 45mila urne cinerarie nei primi due mesi di epidemia nella sola Wuhan. Tutti loro sono stati arrestati. Fang Bing risulta tuttora “scomparso”. Chen Qiushi e Li Zehua sono stati agli arresti per mesi, dietro giustificazioni talvolta solo sanitarie: “quarantene” particolarmente lunghe e sotto sorveglianza della polizia. Zhang Zhan ha invece subito un processo e una condanna.

Questi giornalisti indipendenti arrestati parlano direttamente a noi. Sono un esempio, perché hanno cercato di informarci di un pericolo di cui non si sapeva ancora nulla. Ma le loro vicende dovrebbero essere di esempio, in società occidentali in cui, nel nome della lotta alle fake news (soprattutto in materia di Covid) si sta invocando la censura in modo sempre più pericolosamente esplicito. Ricordiamo che la Cina, in Italia, era considerata come “vincitrice” o come modello di successo nella lotta alla pandemia e che esperti cinesi, in visita in Lombardia, l’anno scorso consigliavano alle nostre autorità i loro metodi. Abbiamo ascoltato l’informazione ufficiale di Pechino, non chi lottava per la verità a Wuhan.