Zan, Vaticano e libertà: ma è la legge che è sbagliata
Insistere sulla libertà di espressione vuol dire invitare alla mediazione sul testo di legge Zan e, quindi, approvarlo, come dimostra l'intervento irrispettoso dell’altro ieri del premier Draghi.
La Nota che il Vaticano ha consegnato al governo italiano per le mani del proprio ambasciatore non rappresenta nessuna svolta nel modo insufficiente con cui la Chiesa e i cattolici hanno affrontato e affrontano il disegno di legge Zan, come invece hanno sostenuto ieri molti commentatori. I lettori forse ricorderanno che questo quotidiano ha sempre sostenuto [vedi QUI e QUI] che fondare l’ingiustizia di quel disegno di legge solo sulle conseguenze negative per la libertà di espressione dei cittadini in generale, o dei cattolici e della stessa Chiesa in particolare, non è sufficiente.
Anzi, fornisce la via per far approvare la legge, per il cui fine sarà sufficiente togliere qua e là qualche punto del dettato attuale, inserire una qualche clausola di garanzia per gli uomini di Chiesa e per particolari situazioni come per esempio un’omelia, non rendere obbligatoria la partecipazione delle scuole cattoliche alla Giornata nazionale contro l’omofobia prevista dallo Zan e cose di questo genere. Se il problema è la libertà di espressione, compresa quella della Chiesa, basterà togliere i punti che limitano la libertà e la legge potrà essere approvata. Finalmente il tavolo di lavoro interparlamentare – come sottolinea Eugenia Roccella sull’Occidentale – potrà trovare una soluzione condivisa; finalmente le preoccupazioni esternate dal cardinale Bassetti sulla partecipazione delle scuole cattoliche alla Giornata contro l’omofobia saranno fugate; finalmente la laicità dello Stato di cui ha parlato con arroganza e pressapochismo il presidente Draghi in una sua dichiarazione di ieri, potrà essere rispettata dalle “ingerenze” della Chiesa. Insistere sulla libertà di espressione vuol dire invitare alla mediazione sul testo di legge e, quindi, approvarlo, con il beneplacito del presidente del Consiglio.
Come dicevo, la Bussola ha sempre sostenuto che ciò non basta, perché il ddl Zan è sbagliato e inaccettabile per un suo carattere formale specifico, ossia perché canonizza giuridicamente la cultura LGBT, e solo dopo perché impedisce certe libertà di espressione. Di per sé la libertà di espressione non è un diritto assoluto, come ogni diritto del resto, e la sua limitazione da parte dell’autorità politica non è di per sé da condannarsi in assoluto e a priori. Il motivo per cui questa volta la si condanna è perché tale limitazione impedisce di dire la verità sul matrimonio, sulla sessualità, sulla famiglia. Quindi anche la conseguenza negativa della limitazione della libertà di espressione trova la sua motivazione ultima nella forma specifica della legge in questione che considera giusto ciò che non lo è.
Anche il riferimento alla libertà della Chiesa, centrale nella Nota della Segreteria di Stato e pertinente dal punto di vista giuridico-concordatario, non è tuttavia sufficiente. La Nota rivendica giustamente il rispetto dei Patti lateranensi, ma non significa una svolta nella politica della Chiesa rispetto a questo disegno di legge o a leggi simili, in quanto non si pronuncia – e non poteva farlo dato il contesto in cui si muoveva – sul merito formale della inaccettabilità del disegno di legge Zan, ossia la convalida politica di atteggiamenti, prassi e relazioni contrarie al diritto naturale.
La Chiesa si è sempre considerata come una muraglia a difesa del diritto naturale, ma in questa faccenda del ddl Zan sembra averlo dimenticato. Lamentare gli impedimenti alla libertà di espressione senza mai dire perché la forma della legge è ingiusta, significa appunto dimenticare questa funzione fondamentale della Chiesa nel mondo: essa da un lato dice che la natura non riesce ad essere se stessa senza la sopra-natura, con ciò giustificando il proprio ruolo pubblico, e dall’altro che la natura, pur bisognosa di sostegno e purificazione, c’è ed ha un ordine finalistico che va salvaguardato, anche se da sola non riesce a conseguirlo pienamente. La Chiesa cattolica nei Paesi comunisti non ha mai messo al primo posto la propria libertà di espressione, ma il diritto naturale e divino.
E ora? La Bussola prevede che la nuova situazione verrà interpretata come un invito a proseguire nel confronto per modificare il testo del ddl Zan e approvarlo. L’intervento di Draghi, approssimativo, equivoco e perfino irrispettoso, è stato comunque sufficientemente chiaro da questo punto di vista. Se si tolgono alcuni limiti alla libertà di espressione presenti nel testo, la Segreteria di Stato e la CEI saranno contente e con loro tutti i partiti politici, tranne forse i Cinque stelle. Tanto, dal loro punto di vista, rimane il cuore del disegno di legge che darà i suoi frutti in seguito. Senza tenere conto che le prime a voler andare alla Giornata nazionale contro l’omofobia saranno proprio le scuole cattoliche, le quali protesterebbero per la loro esclusione e non per l’obbligo di andarci.
Il Centro Studi Livatino non la pensa così. In un suo articolo come sempre inappuntabile si sostiene che ora ci sarà una pausa: o il ddl Zan verrà messo da parte, oppure si andrà avanti nel braccio di ferro tra Stato e Chiesa secondo quanto previsto dal Concordato stesso. Con questa previsione il Centro non si appiattisce sulla tesi della mediazione e questo va a suo merito. Però va osservato che al braccio di ferro nessuno è interessato e mettere da parte il ddl Zan significa riprenderlo in mano dopodomani.