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LA STORIA

Yemen, la sfida della donna senza velo

Amal Basha, 46 anni, guida un'organizzazione per i diritti delle donne, ed è una delle sole 11 donne nello Yemen che sfida la "legge" del volto coperto.

Attualità 17_01_2011
yemen amal basha
Le donne yemenite hanno molti diritti sanciti dalla Carta costituzionale e dalle leggi del loro paese, ma pochissimi riconosciuti nella vita di tutti i giorni. La Repubblica Presidenziale dello Yemen, nata nel 1990 dalla riunificazione dello Yemen del sud con quello del nord, non garantisce di fatto la libertà e il diritto all’uguaglianza delle sue donne. Gli usi e costumi locali, culture patriarcali e il fondamentalismo di alcuni gruppi religiosi sono ancora più forti dello Stato di diritto.
Così le yemenite, sebbene non abbiano nessun obbligo giuridico di indossare neppure il velo, si vedono passeggiare per le strade, anche della capitale Sana’a, immerse dentro tuniche nere lunghe fino ai piedi e con un cappuccio in testa che lascia appena un piccolo pertugio sugli occhi per permettere alle donne di orientarsi.

Nelle stime ufficiali, solo undici sono le donne che, in tutto lo Yemen, hanno l’ardire di mostrarsi per le strade a viso scoperto. Una di loro è Amal Basha, 46 anni, discendente della famiglia reale yemenita e attivista per i diritti umani. L’organizzazione non governativa di cui è presidente, Sisters for Arabic forum for Human rights (Sorelle arabe per i diritti umani), ha subito ripetuti attacchi che hanno distrutto, più volte e quasi completamente, le stanze e il materiale dell’ufficio principale a Sana’a. Mentre Amal  è riuscita, miracolosamente, a sfuggire ad un attentato mortale.
Una piccola signora, dai lunghi capelli neri che gli arrivano quasi alle spalle, lasciati liberi di muoversi  alla stessa velocità del suo incedere rapido, addirittura irruento;  Amal Basha non si può definire una persona simpatica. Troppo difficile la sua vita di attivista dei diritti umani. La lotta dura di Amal  continua da parecchi anni ed è giornaliera: la sua voce, i suoi gesti ne risentono e spesso possono sembrare  insolenti, ma è una necessità per  lei che  deve farsi rispettare da queste parti.  In compenso i suoi occhi neri e penetranti, mostrano ancora oggi, dopo tanti anni che la conosco, la stessa capacità di entusiasmarsi, di credere in quello che si è deciso di fare, oserei dire che riescono ancora a  sognare. un cambiamento di questa difficile realtà. I suoi vestiti all’occidentale non cambiano stile nello Yemen come a Ginevra o a New York o a Roma dove passa spesso per incontrare gli amici italiani.
L’11 gennaio scorso Amal Basha, ha moderato la conferenza a cui ha partecipato il segretario di Stato americano, Ilary Rodham Clinton, alla Town Hall di Sana’a. Un riconoscimento importante per la presidentessa di una delle ONG più importanti dello Yemen.

Gli incidenti al suo ufficio e alla sua persona si sono intensificati negli ultimi tempi?
Dal 17 di novembre del 2009, lavorare è diventato difficile se non impossibile. Tutto questo capita alla mia organizzazione, ma anche alle altre organizzazioni della Federazione internazionale per i diritti umani dello Yemen di cui Sisters of Arabic Forum è solo una costola. Tutto è iniziato con la battaglia per la salvaguardia dei diritti dei carcerati: donne e uomini, spesso sottoposti anche alla tortura nelle carceri yemenite.

Quando ha deciso di togliersi il velo e quando di sposare la causa della salvaguardia dei diritti delle donne nello Yemen?
Mi sono tolta il velo che ero poco più che una bambina. La mia famiglia mi aveva appena imposto di indossarlo e io scappai di casa e uscIi senza velo per le strade di Sana’à, per mostrare a tutti che non intendevo portarlo. Mi dava noia, in Yemen è molto caldo e a me con il velo sembra di non riuscire a respirare. Avevo uno zio, un uomo dalle idee moderne che aveva vissuto sempre al Cairo e in Europa, lui non voleva che io portassi il velo e così, grazie al suo aiuto, nessuno della mia famiglia mi ha più costretto ad indossarlo. Poi sono andata all’Università al Cairo, mi sono specializzata nella protezione dei diritti delle donne e, sempre al Cairo, mi sono sposata con un uomo arabo dalle idee liberali. Non mi sono mai più coperta la testa e insieme a lui ho iniziato la mia battaglia.

Adesso però lei è da anni vedova ed è tornata a vivere nello Yemen con due figli non ancora adulti. Qual è, a parte gli attentati ad un’attivista dei diritti umani, la vita quotidiana di madre yemenita senza velo?
Sinceramente non grossi problemi, ma qualche imbarazzo. Alcuni anni fa i miei figli, che ancora erano piccoli, mi hanno chiesto di non andarli più a prendere a scuola. Si sentivano a disagio con i loro compagni per il capo scoperto della loro madre e avevano paura che per la strada qualcuno potesse importunarmi. La violenza verbale contro le donne per la strada è il motivo principale per cui le yemenite accettano di uscire tutte imbacuccate dalla testa fino ai piedi. E’ un modo per le donne di difendere le loro famiglie, che verrebbero attaccate per un loro comportamento libero. Se una donna possiede una macchina, si può permettere un po’ di autonomia. Il fatto è che le donne yemenite sono poverissime, il Governo dovrebbe aiutarle aumentando la polizia per le strade o fornendo dei mezzi pubblici, dove possano viaggiare protette. Niente di tutto questo viene fatto dal nostro governo.

Però per la Costituzione della Repubblica Presidenziale yemenita le donne hanno diritto di votare, di intraprendere la professione di giudice, giornalista e il diritto allo studio è sancito stabilito anche per loro.
E’ vero, ma il numero delle donne che accede alle professioni e intraprende la vita politica  è bassissimo. Gli emendamenti a cui è stato sottoposto nel corso degli anni l’art. 41 della Costituzione, che nel suo testo originario riconosceva a tutti i cittadini “uguali diritti e doveri senza discriminazioni basate su differenze di sesso, origine, lingua, professione, posizione sociale e fede religiosa”, spiega quanto sta avvenendo sotto la pressione di costumi patriarcali e gruppi estremisti religiosi. Oggi in Parlamento c’è una sola donna, anche se negli anni è aumentata la registrazione delle donne nelle liste per accedere al voto. Comunque, se ancora ci sono donne giornaliste, il 10%, di fatto le donne non possono più diventare giudici e chi era entrata in magistratura prima del 1990, oggi, ha possibilità di giudicare solo nella Corte di primo grado. La percentuale di alfabetizzazione è ancora molto bassa, solo il 28,5% contro il 69,5% degli uomini. Alcuni istituti professionali non accettano donne fra i loro studenti, anche se per legge nello Yemen l’istruzione, come sancisce la nostra Costituzione, è un diritto di tutti.