Xavier de Mérode, l’elemosiniere di Pio IX
Un grande protagonista del suo tempo che riuscì a salvare dai primi piani regolatori del Regno d’Italia catacombe e cimiteri cristiani, ponendo le basi dell’urbanizzazione di Roma e del comprensorio pontino.
«Mi è stata affidata una missione molto seria, quella di occuparmi delle esigenze dell’esercito pontificio. Farò ogni sforzo per svolgere questo compito con la più tenera venerazione per il Santo Padre e con la più ardente preoccupazione per i suoi figli generosi, la cui fedeltà, in mezzo a tali grandi prove, è una sicura garanzia per il futuro». Questo l’ordine del giorno al quale risponde con generoso slancio apostolico Xavier de Mérode (1820-1873). Lo racconta François-Nicolas-Xavier-Louis Besson (1821-1888) in una poderosa biografia (Xavier de Mérode. Ministro della guerra ed elemosiniere nella Roma di Pio IX, a cura di Guglielmo Gualandris, Ares, Milano 2023, pp. 416) del ministro della guerra ed elemosiniere del beato Pio IX che riprende abbondantemente stralci delle numerose epistole dell’arcivescovo belga.
Dalla madre Xavier riceve il nome dell’Apostolo delle Indie nell’auspicio che un giorno sarebbe diventato sacerdote. Mentre, ancora luogotenente, matura la propria vocazione religiosa scrive: «Solo Dio deve essere amato, solo Dio va considerato in questa valle di lacrime. Spero che Dio mi ispiri, perché ora mi sento perfettamente felice».
Appena ordinato diacono «dà una prova impressionante della sua fedeltà e devozione alla Chiesa». Fingendosi turista, de Mérode elude la sorveglianza e corre a recuperare i vasi sacri nella chiesa di Trinità dei Monti sotto il naso delle sentinelle, sfidando il governo repubblicano. Strenuo difensore del potere temporale della Chiesa, grazie alla sua intelligenza lungimirante e alla sua abile capacità diplomatica è chiamato al servizio dell’ultimo Papa-Re, Pio IX.
Nominato elemosiniere del Papa, si preoccupa della formazione spirituale, culturale e professionale dei più giovani e si premura in modo particolare di salvare i bambini piccoli in pericolo di morte con la potenza rinnovatrice dei sacramenti, andando personalmente anche di notte ad amministrarne l’unzione. In ambito caritativo destina cospicue risorse economiche per la costituzione di conventi di suore dedite all’assistenza dei bisognosi.
Nel desiderio di abbellire Roma e le province pontificie contribuisce a ridisegnare il volto dell’Urbe, provvedendo alla costruzione di «strade, acquedotti, ferrovie e telegrafi, caserme e prigioni, scuole e conventi, stabilimenti industriali e agricoli, ospizi di ogni tipo». Tra le altre opere pubbliche fa edificare la strada da Subiaco a Frosinone, un nuovo carcere, le scuole di Civitavecchia e la fontana di Anagni. A Roma in piazza Termini ordina che si faccia di notte il lavoro che gli era stato impedito di fare di giorno. All’arcivescovo belga si deve infatti la costruzione di quella che sarebbe diventata la piazza della stazione Termini con le relative vie limitrofe, ossia via Firenze, via Torino e via Palermo. Addirittura la stessa via Nazionale, prima di essere così chiamata, era nota proprio come via de Mérode in omaggio alla sua figura.
Egli riesce anche a salvare dalla distruzione molte catacombe e cimiteri cristiani dai piani regolatori del neonato Regno d’Italia e offre notevole impulso agli studi archeologici per individuare tali siti insieme al celebre archeologo Giovanni Battista De Rossi. Accusato di essere un “palazzinaro” senza scrupoli, pone in realtà le basi di gran parte dell’urbanizzazione di Roma e del comprensorio pontino, realizzando opere tutt’ora visibili.
Estremamente critico nei confronti della manipolazione della comunicazione di massa, de Mérode apostrofa i giornalisti quali «scrittori anonimi, senza missione, senza diritti che, senza alcuna responsabilità, metteranno un giogo di piombo su tutto ciò che dispiace loro ed eserciteranno un dominio assoluto sugli uomini e sulle cose. Sarà il trionfo dello spirito moderno nella sua forma più opprimente e più ostile allo spirito cattolico, cioè all’autorità». Si tratta di parole tremendamente profetiche dell’ideologia oggi imperante del "politicamente corretto".
Il prelato belga ama cantare il Requiem nella sua stanza affermando con ironia: «Così è come canteranno presto in San Pietro, in occasione del mio funerale; ma canteranno meglio, perché non ne capisco molto». Colpito da una polmonite acuta, prima di morire, ripete agli astanti: «Sono felice, sono felice, perché vado all’eternità».
Insomma de Mérode è stato «un uomo di alte vedute, nobili sentimenti, una grande mente e un cuore magnanimo» e ha testimoniato con profonda fede e carità operosa quanto insegnava: «La Chiesa non è la vostra nemica, ma la vostra benefattrice e la vostra madre».