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INTERVISTA AL GIUDICE AIROMA

Welfare, mascherine e stop pizzo: Camorra già a domani

«Racket mascherine, pizzo sospeso e spesa ai bisognosi: la Camorra mostra il “volto buono” per radicare il consenso e farsi trovare pronta alla ricostruzione intercetteando le domande». Intervista al giudice antimafia Airoma: «La malavita in quarantena fa meno profitti. È la riprova che va cambiata la socialità malata su cui si innesta». Come? «Con Dio, patria e famiglia».

Attualità 02_04_2020

«La Camorra va in quarantena? Diciamo che soffre la quarantena». Domenico Airoma, procuratore aggiunto al Tribunale di Napoli Nord, nei giorni scorsi si è reso protagonista di un episodio che è diventato virale: è stato fermato da un solerte carabiniere mentre, prima di andare al lavoro, si recava in chiesa e con lui - rischiando la multa - ha scambiato alcune chiacchiere sulle storture delle ordinanze che impongono l’irraggiungibilità delle chiese nonostante la loro apertura. 

Ma la Nuova BQ ha fatto questa intervista sul suo lavoro di magistrato ai tempi del Coronavirus e ha scoperto che lo stravolgimento della nostra vita quotidiana causato dalla pandemia ha ricadute anche sulla malavita organizzata e che per tutto questo Giovanni Falcone ci aveva visto giusto. Vediamo perché.

Giudice, come vive la Camorra in quarantena?
Ci sta stretta, diciamo. Qualche regolamento di conti c’è ancora, ma si sta ritagliando un lavoro più fragile rispetto al suo core business. Ad esempio, sta organizzando lo sciacallaggio delle mascherine e questo ripropone il cliché tradizionale della criminalità organizzata che occupa i vuoti lasciati dalle istituzioni.

Perché lavora sulle fragilità?
Perché sta facendo venire fuori una sorta di “Welfare” alternativo: ad esempio distribuisce la spesa e la consegna a chi ne ha bisogno, oppure ha sospeso le rate usuraie del pizzo.

Le rate?
Si, sta mostrando il suo “volto buono” per radicare il consenso sociale e per presentarsi così come una sorta di salvatore della patria.

Cioè, si adatta all’emergenza da Coronavirus?
Esattamente. Le cronache giudiziarie su alcune indagini hanno fatto venire fuori l’interesse per l’approvvigionamento delle mascherine, per i dispositivi di protezione, quindi fa leva sulla fragilità della popolazione, ma soffre la quarantena.

In che modo?
Perché c’è un’oggettiva militarizzazione del territorio che è sicuramente un problema per la criminalità organizzata: a chi spaccia? Per chi organizza il racket della prostituzione? Vede, noi viviamo in una condizione di assenza di socialità totale e questo è un problema per la criminalità organizzata.

Non capisco, per sconfiggere la Camorra dobbiamo metterci tutti in quarantena? Bell’affare!
No, ma questo deve farci riflettere.

In che senso?
Mi ritorna in mente la famosa frase di Giovanni Falcone: la Mafia è un cancro non su un tessuto sano, ma su un tessuto sociale malato.

In Cose di Cosa nostra
Esatto. Non abbiamo mai apprezzato a fondo l’importanza di questa analisi. La criminalità organizzata non è qualcosa che è piovuto da Marte, ma che è attecchito su un tessuto sociale che non è sano. Esiste una socialità viziosa a cui si attacca. Mafia e Camorra ci sono perché sono soprattutto una forma parassitaria sul vizio. Venendo meno questa socialità viziata, perché costretta tra le mura domestiche, la Camorra va in grave crisi.

Meno droga in giro, meno profitti…
Esatto. E questo smentisce tutti quelli che in materia di droga hanno sempre sostenuto che andasse liberalizzata per far calare i profitti delle mafie. Sciocchezze: più aumenta la domanda più aumentano i profitti. La quarantena lo dimostra.

Ci dovrà essere però una quadratura del cerchio. Non pretenderà che restiamo in casa in eterno?
Il problema è quello di ristabilire una socialità sana. I grandi studiosi della Mafia hanno sempre sostenuto che Cosa nostra governa il disordine, ma noi abbiamo sempre pensato al disordine come a una materia essenzialmente di polizia, di ordine pubblico.

Invece?
Invece c’è un disordine morale e sociale che è più profondo e che alimenta circuiti viziosi e i circuiti mafiosi. Il problema è antropologico.

D’accordo, ma noi siamo chiusi in casa adesso…
Ed è una grande prova, lo riconosco. Ma è anche una vera occasione per vivere la correzione sociale. Pensiamo se in questa grande prova cominciassimo a riscoprire che tutto sommato l’uomo ha bisogno di tre cose: di Dio, di patria e di famiglia.

Non tocchiamo questi slogan politici…
Eh no, caro amico, non è questo il punto. Se scopriamo questo, vengono meno le ragioni per cui la Mafia si è incistata in un tessuto sociale malato: il padrino al posto di Dio, il clan al posto della famiglia e le cosche al posto dello Stato. Se riscopriamo questo è come se scoprissimo l’originale dopo esserci affidati sempre a un duplicato. Non dimentichiamo che la Mafia attecchisce su un humus malato. Allora scopriamo in questa quarantena i rapporti sani e ricostruiamo un tessuto sociale.

Ma in casa che cosa si può fare?
Riguarda tutti noi. Pensiamo al potere. Alla brama di potere che è superiore al desiderio di profitto.

Potere?
Potere. Qual è la ragione per la quale oggi molti giovani aderiscono alla Camorra come a una ragione esistenziale?

I soldi?
No, è secondario o comunque è un mezzo. Il movente è il potere. Prendiamo il personaggio di Ciro l’immortale. La differenza tra il mafioso e il criminale comune è che il secondo si va a godere il bottino, per il camorrista il bottino è importante, ma non è decisivo. Questa quarantena ci deve aiutare a far venire meno gli schematismi ideologici attraverso i quali abbiamo costruito la narrazione della Mafia che come tutti i fenomeni umani – sempre Falcone - ha un inizio e avrà una sua fine.

Come?
Quando la Mafia morirà, non morirà per il contagio da Coronavirus, ma per il contagio da verità. Le faccio una domanda io.

Prego.
Quand’è che il virus muore?

Forse quando si trova l’antivirale?
E se non lo troviamo? No, muore quando trova un humus non adatto a lui.

E che humus c’è in una socialità viziata?
Una espressione che mi fa male e che sento spesso anche nei giovani è: “Che male c’è?”. Ecco, io direi “quanto bene c’è?”. Senno le opzioni sono tutte e quante lecite. La cultura del “che male c’è?” ha contribuito a diffondere il virus della Mafia.

Resta però sempre un cancro?
Ma che ci rassomiglia. Se leggiamo l’evoluzione tipologica del camorrista vediamo che egli incarna il portato della modernità: veste come noi, ascolta la nostra musica, non è un corpo estraneo. Se veramente vogliamo combattere la Malavita dobbiamo riconoscere che essa ci rassomiglia.

Adesso però sarà pronta a ricolpire non appena ci riaffacceremo fuori dalla finestra…
Si sta riorganizzando velocemente alla ricerca di profitti alternativi, è camaleontica e si adegua alle difficoltà. Per combatterla occorre andare alla radice della questione e capire che la Mafia è vulnerabile con quegli anticorpi che abbiamo detto: Dio, patria e famiglia.

Dopo le epidemie ci sono le carestie, però.
Infatti, la Camorra sta aspettando che si riaprano le praterie.

Quali?
Tanta brava gente che perderà il lavoro e non avrà gli aiuti necessari dalla patria a chi si rivolgerà se non al mafioso? Il rischio si annida lì.

Quindi la ricostruzione sarà a rischio infiltrazione?
Ma certamente.

E come fa a sapere di che cosa ci sarà bisogno?
La Camorra lo sa già di che cosa ci sarà bisogno. Io faccio sempre l’esempio dei rifiuti: stavo in distrettuale a Napoli e ascoltavo le intercettazioni in cui i camorristi parlavano di monnezza e non riuscivo a cogliere la portata di questo… Mi chiedevo: ma come? Non parlano di droga?

E poi?
Avevano già capito le deficienze dell’apparato statale e quindi si stavano già attrezzando per rispondere alla futura domanda. Capisce? È dallo stato di salute della società che si capisce se e come attecchirà il virus