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DEMOCRAZIA AFRICANA

Voto in Kenya, osservatori internazionali più realisti del re

L'8 agosto il Kenya aveva votato il suo nuovo presidente. L'esito elettorale, contestato da manifestazioni violente, poteva dare adito a una seconda guerra civile in dieci anni. Invece la Corte Suprema ha annullato l'esito e a ottobre si tornerà pacificamente alle urne. E' la prima volta che succede in Africa. Ma non grazie agli osservatori di Unione Africana, Unione Europea e del Centro Carter americano, che si erano affrettati a parlare di "voto regolare". E ora cercano di rimediare plaudendo la decisione di tornare al voto.

Esteri 11_09_2017
Uhuru Kenyatta

L’8 agosto il Kenya è andato alle urne per eleggere il capo dello stato e tutte le cariche politiche. La vittoria è andata al presidente uscente, Uhuru Kenyatta e al suo schieramento politico. Ma il candidato presidenziale arrivato secondo, Raila Odinga, ha contestato il voto denunciando brogli massicci, i peggiori nella storia del paese. Qualcuno – questa è l’accusa – si sarebbe inserito nel sistema informatico delle Commissione elettorale alterando il voto. Su questa base Odinga ha presentato un ricorso alla Corte Suprema. Il suo sembrava un tentativo a vuoto e invece, a sorpresa, tre settimane dopo, il 1° settembre, la Corte ha annunciato che le elezioni presidenziali erano da considerarsi nulle e andavano rifatte. La motivazione addotta è che il voto non si è svolto nel rispetto della costituzione, ma ancora si attende il rapporto completo per sapere che cosa esattamente ha portato a questa conclusione. Si sa per ora che l’annullamento è stato votato da quattro giudici su sei e che un settimo membro della Corte era assente.  

La Commissione elettorale che ha proclamato la vittoria di Kenyatta non intende dimettersi e ha già annunciato che il paese tornerà alle urne il 17 ottobre. Raila Odinga contesta la data, concordata solo con il presidente Kenyatta. Inoltre chiede che i membri della commissione vengano sostituti perchè li ritiene schierati con il governo. La Commissione ha deciso di ammettere soltanto due candidati, Kenyatta e Odinga, e pure su questo si discute perchè in origine i candidati erano otto. In pratica il voto diventa una sorta di ballottaggio tra il primo e il secondo candidato. 

È la prima volta nella storia del continente che delle elezioni presidenziali vengono annullate. Nel dare l’annuncio il presidente della Corte, il giudice David Maraga, ha detto: “la grandezza di una nazione sta nella sua fedeltà alla costituzione”. Odinga gli ha fatto da eco: la decisione della Corte, ha dichiarato, “segna un momento storico per la popolazione del Kenya e quindi per tutti i popoli del continente. Il Kenya si è dimostrato un paese guida come già in altre occasioni”. Il presidente Kenyatta, ovviamente, non condivide l’entusiasmo dell’avversario. Secondo lui i giudici sono stati pagati “da stranieri”. 

L’aspetto in effetti positivo della vicenda è che sia Kenyatta che Odinga ribadiscono l’intenzione di rispettare le decisioni della Corte e ogni altro passo intrapreso nel rispetto della costituzione, anche se non condiviso, e finora hanno dimostrato di fare sul serio evitando di ricorrere a manifestazioni di protesta che entrambi potrebbero facilmente organizzare. Nel 2007 il voto presidenziale contestato ha scatenato un breve ma cruento conflitto conclusosi con 1.300 morti e quasi 600.000 sfollati. 

Il presidente dell’Unione Africana, Alpha Condé, nel complimentarsi ha detto: “la decisione della corte onora l’Africa e dimostra che ormai la democrazia è ben consolidata nel continente”. Solo tre settimane prima, però, i rappresentanti dell’Unione Africana si erano uniti al coro degli osservatori elettorali stranieri che avevano dichiarato il voto “libero e trasparente”, si erano congratulati con la popolazione e le autorità e, insieme a quelli del Commonwealth, dell’Unione Europea, dell’organismo regionale africano Comesa e del Centro Carter, guidato dall’ex segretario di stato Usa John Kerry, avevano consigliato a Odinga di accettarne l’esito. “Non ho visto nessun morto andare a votare” pare sia stato il commento di Kerry quando è stato informato che nelle liste elettorali figurano ancora un milione di morti. 

Avrebbe dovuto insospettire gli osservatori anche l’incremento degli aventi diritto al voto del 36% rispetto al 2013. Inoltre pochi giorni prima del voto Christopher Msando, responsabile del sistema informatico elettorale, era stato rapito, torturato e ucciso. Molti in Kenya pensano che gli abbiano estorto le passwords per entrare nel sistema.

Gli osservatori internazionali dicono che loro si sono limitati a considerare l’andamento del voto il giorno delle elezioni e hanno dato parere positivo non avendo riscontrato irregolarità di rilievo. L’argomento è chiuso con questa debole replica. Ma la vicenda dovrebbe aprire una riflessione seria sulla funzione degli osservatori, una delle forme di aiuto all’Africa di cui si parla di rado, ma che ogni anno porta delegazioni di europei nel continente allo scopo di controllare che le regole democratiche vengano rispettate. Gli africani si risentono, non senza ragione, alcuni governi respingono le delegazioni occidentali, ma la maggior parte le accettano perchè gli osservatori di solito dichiarano trasparenti o almeno passabilmente regolari le elezioni e questo conferisce ai vincitori una conveniente legittimazione internazionale. Questa volta in Kenya, con la loro presenza distratta e disinteressata, hanno dato occasione agli africani di accusare i “guardiani della democrazia” di “essersi affrettati a legittimare una frode”: “il loro ruolo deve essere rivisto perchè in realtà sono schierati ed estremamente politicizzati”.

Per rimediare, gli ambasciatori di Stati Uniti, Canada e di molti stati europei si sono congratulati con il Kenya con una nota congiunta: “la revisione indipendente della corte – si legge nel documento – ha dimostrato la forte tenuta democratica del Kenya e la sua fedeltà alla legge”. Conoscendo i contesti africani, sembra piuttosto che in Kenya sia in atto uno grosso scontro politico che vede prevalere gli alleati di Kenyatta nella Commissione elettorale e quelli di Odinga nella Corte suprema. Quest’ultima peraltro si è premurata di affermare che la violazione delle regole costituzionali c’è stata, ma che il presidente Kenyatta ne era all’oscuro.