Voto anticipato, un salto nel buio
La svolta sembra vicina. I quattro principali partiti italiani - Pd, M5s, Forza Italia e Lega - si stanno mettendo d’accordo per approvare una legge che ricalchi il modello proporzionale tedesco e andare così al voto. Ma incombe il caso delle clausole di salvaguardia che esporrebbero il Paese in balia degli speculatori.
La svolta sembra vicina. I quattro principali partiti italiani - Pd, M5s, Forza Italia e Lega - si stanno mettendo d’accordo per approvare una legge che ricalchi il modello proporzionale tedesco.
E quello che emerge è un partito (il Pd guidato da Renzi) ansioso di dimostrare a se stesso che la clamorosa sconfitta al referendum del 4 dicembre è stata soltanto un piccolo incidente di percorso. Quello che il leader democratico però non dice è che nel migliore dei casi - dopo il voto - dovrà allearsi con Silvio Berlusconi e con quel partito indebolito ma non sconfitto contro cui i suoi predecessori hanno dovuto lottare per più di 20 anni. Cosa che peraltro gli orlandiani hanno capito, dando battaglia anche ieri nella direzione Pd. A sostegno di Gentiloni e in vista della direzione del Pd in programma ieri pomeriggio, 31 senatori orlandiani hanno firmato un documento in cui bocciano sia le elezioni in autunno, definite "un salto nel buio", che il proporzionale. E propongono, rilanciando un’idea del Ministro Andrea Orlando, una consultazione fra gli iscritti prima di prendere una decisione definitiva sulla riforma elettorale.
Un discorso analogo si può fare anche con Forza Italia: Berlusconi può infatti sperare di recuperare un piccolo palcoscenico, ma è altrettanto consapevole di doverlo dividere con Matteo Renzi. E per una “prima donna” come lui non potrebbe esserci scenario più deprimente.
Mentre, secondo alcuni commentatori, il terrore di governare – reso ancora più concreto con i disastri della giunta Raggi – spingerà Beppe Grillo ad accontentarsi dei seggi che conquisterà in autunno. Così potrà continuare ad esprimere la sua identità originaria: l’opposizione ad ogni costo.
Sulla stessa lunghezza d’onda la Lega di Salvini, già pronta a denunciare gli inciuci ma nel frattempo già ben allineata all’interno di questo redivivo patto del Nazareno “a quattro”.
A chi interessa, dunque, impedire che si vada alle elezioni già il prossimo autunno? Certamente ad Angelino Alfano, che parte subito all’attacco perché lui e il suo partito rischierebbero di essere spazzati via dalla soglia di sbarramento al 5 per cento.
«In questo momento così delicato - ha detto il Ministro degli Esteri - non si vota per la legge elettorale, ma si vota lo scioglimento delle Camere e io non capisco l'impazienza del Pd di portare l'Italia al voto tre o quattro mesi prima in piena legge di stabilità. Rivolgo un appello al Pd: pensino all’Italia e al danno che questa impazienza di rientrare a Palazzo può fare all'economia». Più moderato il premier Paolo Gentiloni: «Anche se ci auguriamo un'intesa sulla legge elettorale, il governo è nella pienezza di poteri e manterrà i suoi impegni».
E il “partito del voto a scadenza naturale” conta insospettabili membri anche all’interno del Pd. I quali potrebbero cercare di far naufragare il nuovo accordo in Senato, dove i numeri della maggioranza sono risicati. E non è detto che dopo le elezioni – con questo nuovo sistema elettorale – ci sia con certezza una maggioranza. Di sicuro, chi si schiera apertamente contro il voto anticipato è l’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta, che non ha mai dimenticato lo sgarbo subito da Matteo Renzi e il suo “Enrico stai sereno”.
«Votare subito sarebbe un errore – ha dichiarato Letta al Corriere della Sera - precipitarsi al voto sarebbe sbagliato e incomprensibile, daremmo all’Europa l’idea che l’Italia si arrovella ancora attorno a turbolenze e giochi politici e non riesce a terminare la normalità dei suoi cicli istituzionali. Non si può dare l’idea che si cerca una rivincita del 4 dicembre. Per interrompere una legislatura serve una spiegazione. Inoltre sarebbe bene che Gentiloni continuasse a lavorare». E le riserve arrivano anche da parte di prestigiosi costituzionalisti come Luciano Violante, che prevedono una condizione di ingovernabilità in caso di ritorno al proporzionale. Anche perché le motivazioni del voto anticipato – da qualsiasi parte le si analizzi – appaiono realmente molto deboli, se le spogliamo da contesti privati e rivincite personali. Anche lo slogan sui vitalizi – che i pentastellati continuano a ripetere ad ogni occasione – sembra essere vuoto e fine a se stesso.
Secondo Grillo, infatti, la data del voto anticipata al 10 settembre accorcerebbe la legislatura sotto ai quattro anni, sei mesi e un giorno, cioè la soglia che fa maturare la pensione ai parlamentari. Per chi è al primo giro, si tratterebbe di 800 euro, da percepire al compimento dei 60 anni di età. In realtà, però, la scadenza per maturare gli assegni previdenziali sarebbe il 15 settembre, e, anche votando il 10 settembre, non cambierebbe nulla: la pensione arriverebbe lo stesso. Non solo perché, a fronte di un periodo contributivo mancante molto ridotto, il singolo onorevole potrebbe versare qualche centinaio di euro e riscattare il suo diritto all'assegno. Ma anche perché i parlamentari restano in carica fino all'insediamento delle nuove Camere. Che richiede sempre qualche giorno di tempo dopo le elezioni. Nel 2009 ad esempio, si votò, il 13 e il 14 aprile, ma furono necessarie due settimane perché la legislatura iniziasse effettivamente. E nel 2013, con le urne aperte il 24 e chiuse il 25 febbraio, le Camere entrarono in funzione solo il 15 marzo. L'anticipo del voto per impedire che gli onorevoli si accaparrino le pensioni, perciò, risulta essere soltanto un’altra fake news in campo politico. Buona soltanto ad alimentare l’antipolitica di professione.
E poi c’è un ostacolo molto concreto: le cosiddette clausole di salvaguardia. Scattano il primo gennaio del nuovo anno e portano l’Iva dal 10 per cento al 13 per i beni di largo consumo e dal 22 al 25 per cento per gli altri beni. Totale della stangata: 19,6 miliardi. Si tratta della garanzia per Bruxelles e per le Borse della solvibilità italiana. Il rischio è che l’esercizio provvisorio e la questione Iva espongano l’Italia alla speculazione.
L’unica “exit strategy” possibile è che, collegato alla legge elettorale e al voto anticipato a settembre-ottobre, il governo Gentiloni pensi intanto a un decreto sull’Iva. Si tratta, infatti, dell’unica soluzione per evitare che l’eventuale esercizio provvisorio, figlio di un Parlamento frammentato e senza maggioranza, conduca dritti dritti all’applicazione della clausole di salvaguardia, che sono già legge dello Stato.
Il decreto sarebbe chiamato a evitare che l’Iva aumenti automaticamente. E lo farebbe rinviando le clausole di tre mesi, all’1 aprile, in attesa che nelle Camere si formi una maggioranza stabile e trovi una possibile alternativa.
L'idea del decreto è il segno che anche a Palazzo Chigi si fanno i conti con il calendario in mano e con la possibile data delle elezioni in una domenica autunnale. Si cercano, perciò, delle vie d’uscita all’intreccio tra le urne e la legge di bilancio, che per l’Italia non è mai una passeggiata.
Dal Quirinale, intanto, fanno sapere che il Presidente della Repubblica valuterà l’impatto sul Paese dell’eventuale esercizio provvisorio e anche la contrarietà alle elezioni anticipate di alcuni mondi della società civile. Insomma, la strada verso le urne è sempre più accidentata. E non sono escluse imboscate in Senato per far saltare il “Nazareno-bis”. Il paradosso potrebbe essere lo scioglimento anticipato delle Camere, pur con il fallimento del negoziato sulla legge elettorale. Il governo a quel punto dovrebbe fare almeno un decreto per uniformare i due sistemi elettorali (Camera e Senato), recependo le indicazioni della Consulta. Ma i veleni di fine legislatura finirebbero per condizionare anche la campagna elettorale e, soprattutto, in mancanza di veri vincitori, l’attività del prossimo Parlamento.