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IL DIBATTITO

Von Balthasar, la Messa antica e la vanità di Grillo

Andrea Grillo manifesta una forte idiosincrasia nei confronti della storia. Come dimostra nel dibattito in cui presenta von Balthasar come un fautore dell'estinzione della Messa in rito antico. Cosa che non fu. Ma così si impossessa di una persona vissuta nel passato per decidere se le sue idee fossero o no accettabili. 

Ecclesia 11_02_2022

Dopo la pubblicazione di Traditionis Custodes (16 luglio 2021), il prof. Andrea Grillo ha pubblicato un contributo in cui sosteneva che anche uno dei più importanti teologi del XX secolo, Hans Urs von Balthasar (1905-1988), aveva previsto l’estinzione del rito antico. Dopo attenta riflessione, ho deciso di offrire la mia spiegazione della posizione di von Balthasar, grazie allo spazio messo gentilmente a mia disposizione da Sandro Magister nel suo blog. A stretto giro di posta, è seguita la replica del prof. Grillo; la ripetizione dei suoi frusti argomenti sulla irreversibilità della riforma liturgica mi consente di ritornare sull’argomento della presunta estinzione del rito antico sostenuta da von Balthasar e chiarire meglio quanto invece, secondo me, il teologo svizzero intese dire realmente. Ringrazio di cuore la Nuova Bussola per questa opportunità.   

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Grillo manifesta una forte idiosincrasia nei confronti della storia, come quando, ad esempio, assegna la questione del rito antico esclusivamente alla considerazione della teologia e della sistematica, trascurando però il fatto che, benché «regine delle scienze» teologia e sistematica hanno comunque radici storiche nella Bibbia, nei Padri, nei Concili della Chiesa.  

Storicamente, il rito antico è quello dell’editio princeps del 1474 del Messale che, sviluppato nel corso dei secoli dalla Curia romana, S. Pio V restaurò (non: riformò) su mandato del Concilio tridentino e, quindi, pubblicò nel 1570, come ricordato dallo stesso S. Paolo VI nel proemio della Institutio Generalis Missalis Romani (1970), agli albori dunque della celebrazione del Novus Ordo. Mi piace rammentarlo per ribadire i precisi limiti alla potestà della massima autorità religiosa in materia di riforma liturgica assegnati proprio da teologi e canonisti in decine di trattati de potestate papae e richiamati attraverso il Codice di diritto canonico e il Catechismo contemporanei, derubricati dal prof. Grillo ad «affermazioni – senza alcun rapporto con Balthasar – che teologicamente appaiono del tutto inconsistenti», senza spiegare tuttavia le ragioni di questa inconsistenza e trascurando il fatto che von Balthasar, invece, proprio poche pagine prima di quelle dedicate alla presunta estinzione del rito antico, discusse niente meno che dei limiti dell’infallibilità papale.    

Venendo ora più direttamente al «profilo conservatore» attribuito a von Balthasar dal prof. Grillo, se prendiamo, ad esempio, Abbattere i bastioni (1952), si capisce chiaramente come la forza dell’immagine posta come titolo del volume trasse in inganno molti: von Balthasar non intendeva affatto abbattere ogni recinzione, ogni ordine gerarchico per trasformare la Chiesa in un pascolo abbandonato dove crescono erbacce. Questo è quanto credette qualche autore postconciliare al momento, ad esempio, in cui l’opera venne tradotta in Italia (1966). Per von Balthasar, al contrario, la rinuncia ad ogni difesa, ad ogni muro di cinta doveva permettere a tutti gli uomini di vedere il tesoro custodito nella Chiesa: l’amore universale di Cristo. Nello stesso tempo, proprio per rendere l’amore di Cristo credibile, la Chiesa intera, la gerarchia come i fedeli dovevano assimilarlo e farlo risplendere con sempre maggior forza, perché tutti gli uomini potessero vederlo ed esserne attratti. Questi, come altri suoi severi richiami contro l’apertura indiscriminata allo spirito del mondo, dissiparono ben presto la sua fama di teologo progressista, ingenerando la convinzione opposta di un von Balthasar accanito difensore della tradizione. Da parte sua, il teologo svizzero, come non aveva gioito alla fama di progressista, non si preoccupò neppure dell’etichetta di conservatore; tenne invece a ripetere insistentemente l’appello alla serietà cristiana (si veda, ad esempio: Cordula ovverossia il caso serio, in H. U. von Balthasar, Gesù e il cristiano, Milano 1998, pp. 175-249). 

Per quanto riguarda la presunta estinzione del rito antico contenuta nella Piccola guida: l’omissione dei paragrafi precedenti a quello citato da Grillo alla fine della sua «piccola quaestio disputata» conferma che le autentiche preoccupazioni di von Balthasar, come anche dell’allora cardinale Ratzinger, erano piuttosto per il fondamentalismo di un «gruppuscolo protestatario» che «vuol essere al tempo stesso l’[ecclesia] una, ed è impossibile, e la catholica, che per natura sua non può consistere in un’opposizione», già denunciato da S. Paolo VI nella lettera Cum te a mons. Marcel Lefebvre (11 ottobre 1976), e per «il clamoroso abuso del nuovo Ordo liturgico da parte di un gran numero di ecclesiastici», di cui von Balthasar si lamentò spesso nel corso della sua vasta produzione, per esempio, in Chi è il cristiano?: «Ma dove rimane questa adorazione nelle nostre funzioni liturgiche recentissime? Ritenendo che essa sia superflua, oppure che il popolo della Chiesa non sia abbastanza maturo per meditarla, la fantasia del clero si adopra di riempire il tempo in modo utile e vario fin nei minimi angoli. Le scene rumorose si susseguono senza interruzione; quando non si recitano preghiere o non si leggono e spiegano le Sacre Scritture, si deve cantare e rispondere; abbastanza spesso persino il canone viene recitato e parafrasato dal pulpito con il microfono» (von Balthasar, Gesù e il cristiano cit., p. 115).

Lungi dall’auspicare la presunta estinzione del rito antico, è facile cogliere invece l’amore sincero di von Balthasar per il gesto liturgico, semplice e sacro nello stesso tempo, appreso studiando S. Massimo il Confessore, che concepiva l’esistenza stessa come atto della liturgia e di adorazione (si veda Cosmic Liturgy, San Francisco 2003, pp. 314-330; cito dall’edizione inglese, per la difficoltà a reperire quella italiana), di cui, con la sua caratteristica sollecitudine pastorale, von Balthasar non poté che lamentare il disagio per la sua progressiva scomparsa, a cominciare da quello delle persone più anziane, «le quali non riescono e non vogliono ritrovarsi nel nuovo ordine del servizio divino, vi si oppongono non solo per spirito di tradizione, ma perché vedono trascurati e addirittura votati a sparire dei valori che per esse erano più cari. Di che cosa sentono la mancanza? Dell’ambiente spirituale, del silenzio con cui va circondato il mistero» (Chi è il cristiano?, in von Balthasar, Gesù e il cristiano cit., pp. 114-115).

Denuncia degli abusi liturgici e sollecitudine pastorale del tutto assenti da Traditionis Custodes (per tacere dei Responsa ad dubia) che, pertanto, non credo proprio von Balthasar avrebbe sottoscritto, come ritiene invece il prof. Grillo. Se non fosse afflitto dalla sua idiosincrasia, potrei dire che egli, attribuendo la sua medesima necessità di andare «oltre S. Pio V» a un uomo che ebbe diverse preoccupazioni come von Balthasar, ha peccato di anacronismo; invece, il ricorso del prof. Grillo alla sua luminosa figura dimostra, più semplicemente, la vanità dell’autosufficienza dell’uomo moderno, descritta efficacemente da Julian Barnes nel suo romanzo Il pappagallo di Flaubert (Milano 1997, p. 184): «È davvero curiosa la presunzione del presente, secondo il quale il passato dovrebbe ispirarsi ai nostri giorni.

Il presente si guarda alle spalle, contempla la figura di un grand’uomo vissuto cent’anni fa e si domanda: Era uno dei nostri? Era una brava persona? Aveva le carte in regola? Ciò implica una sconcertante mancanza di fiducia in sé stessi. Il presente vuole fare da padre-nobile al passato, arrogandosi il diritto di stabilire se le sue idee politiche fossero o non fossero accettabili; ma al tempo stesso vuol sentirsene lusingato, approvato. Vuole che i tempi andati gli assestino una pacca affettuosa e rassicurante, e lo esortino a proseguire lungo la retta via».