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STORIA

Volantino BR all'asta, una brutta idea

La decisione di mettere all'asta uno dei volantini originali delle Brigate Rosse con la rivendicazione del rapimento di Aldo Moro e l'uccisione dei cinque uomini di scorta, ha suscitato molte polemiche. Ma se eticamente non è condannabile, la scelta appare inopportuna. Ecco perché....

Editoriali 07_01_2022

"Giovedì 16 marzo un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati Corpi Speciali, è stata completamente annientata". Così inizia il famigerato volantino delle Brigate Rosse che rivendicava il sequestro di Aldo Moro e l’uccisione della sua scorta avvenuti nel marzo del 1978. Il documento, prodotto in cinque copie a cui fu allegata la famosa foto polaroid di Moro, venne fatto ritrovare, con una telefonata al Messaggero, sopra una cabina per le fotografie automatiche tra Largo Arenula e Largo di Torre Argentina. Nove furono i comunicati che le BR fecero recapitare durante i 55 giorni di prigionia di Moro.

Il volantino vede in “ALDO MORO il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste”. Moro “è stato fino ad oggi il gerarca più autorevole, il ‘teorico’ e lo ‘stratega’ indiscusso di quel regìme democristiano che da trent`anni opprime il popolo italiano”. Queste le “colpe” dello statista italiano che lo portarono alla condanna a morte da parte del Tribunale del Popolo.

Il volantino, una delle cinque copie originali come abbiamo precisato, è stato messo all’asta da Bertolami Fine Art. Base d’asta 600 euro. Valore stimato del documento tra i 1.300 e i 1.700 euro. Nel momento in cui scriviamo l’offerta è arrivata a 5.500mila euro. I compratori interessati sino ad ora sono stati 29.

Mettere in vendita un pezzo di storia così drammatica ha suscitato polemiche. Sono sostanzialmente due le soluzioni proposte. C’è chi ritiene commerciabile quel documento. Il valore monetario elevato garantirebbe una tutela della memoria e degli affetti di coloro i quali ancor oggi soffrono per le azioni dei terroristi, in primis i parenti delle vittime, perché farebbe capire quanto sono preziose quelle due facciate ciclostilate. Non è detto che il collezionista, solo per il fatto che collezioni alcune memorabilia che portano in sé una forte carica emotiva, non usi rispetto verso questi oggetti e quindi verso i sentimenti delle persone coinvolte in tali drammi e più in generale verso la collettività. Non è ovviamente la prima volta che un pezzo di storia va all’incanto. Tra i molti esempi, ricordiamo alcune lettere autografe di Mussolini vendute negli anni 90, alcuni telegrammi tra il Duce e Hitler battuti all’asta nel 2005, il cappello del Führer e una copia del Mein Kampf nel 2019.

Altri non accettano il mercimonio del dolore. “Tutto molto triste. Venderlo, comprarlo. Spero in un sussulto di pietà a sottrarre una memoria così dolorosa al mercato della dignità” scrive Filippo Sensi del Pd su Twitter. Mario Calabresi, che perse il padre in quegli anni di piombo e sangue, gli fa eco: “Queste pagine grondano sangue, non possono essere comprate e vendute, diventare oggetto da collezione. L’unico luogo dove possono stare è nelle case della Memoria a ricordarci la barbarie che fu il terrorismo“.

Chi ha ragione? Ci pare di affermare che entrambe le scelte siano etiche, ma quella proposta da Calabresi risulti migliore. In primis c’è da dire che alcuni beni sono di interesse collettivo. La fruizione esclusiva del privato potrebbe intaccare tale interesse. Qualcuno potrebbe obiettare che non è il caso presente dato che quel volantino non è un pezzo unico, esistendo altri quattro esemplari. Quindi basterebbe una copia ad uso pubblico per soddisfare gli interessi collettivi. La replica potrebbe ricordare che sono tutti e cinque gli esemplari ad essere un bene pubblico: il documento storico è composto dall’insieme di quei cinque esemplari. Detto tutto ciò però non farebbe problema l’acquisto del privato, a patto che il documento sia messo a disposizione del pubblico, ad esempio esponendolo in museo.

Ma c’è un’altra motivazione che depone a favore della soluzione proposta da Calabresi. Una cosa è mettere all’asta un cimelio che ha sì rappresentato il simbolo di un evento drammatico o, come nel caso presente, di una stagione di sangue, ma che, per il tempo passato, ha perso una valenza personale di segno negativo per chiunque e conserva per la collettività solo una testimonianza di un momento della storia buio e doloroso. Sarebbe il caso della vendita di un moschetto francese usato durante la battaglia di Jena. In nessuno dei contemporanei quel moschetto potrebbe suscitare vive emozioni personali legate a quella sanguinosa battaglia. Se non inteso come bene pubblico, potrebbe quindi lecitamente vendersi.

Un’altra cosa è quando si vende qualcosa che provoca ancora dolore in alcune persone legate affettivamente a quel bene e che anche nella collettività conserva un suo peso emotivo perché, ad esempio, la pagina di storia a cui è legato quell’oggetto non è stata ancora definitivamente chiusa. Pensiamo ad esempio se, per alterne vicende, fosse battuta all’asta la lettera suicida di un vostro caro. Giustamente tale decisione apparirebbe come una mercificazione del vostro dolore, non sarebbe rispettosa dei vostri sentimenti, della memoria del vostro parente e della sua stessa persona, inoltre potrebbe sembrare una banalizzazione di un gesto altamente drammatico.

In vita vi sono ancora parenti delle vittime del terrorismo BR e le ferite aperte da quel periodo non appaiono ancora completamente rimarginate nella collettività (ad esempio l’insulto “fascista” è ancora sulle bocche di molti). Battere all’asta quel cimelio, seppur ad un prezzo esorbitante, rimarrebbe comunque una compravendita percepita da molti come una svalutazione del significato tragico di quel rapimento e, più in generale, di quel periodo storico. Alcune cose in alcuni contesti non hanno prezzo. Ciò fa propendere come migliore scelta quella di consegnare, senza compravendita, quei volantini alla custodia della memoria collettiva, fintantoché, come le scorie nucleari, avranno perso nella sensibilità personale e sociale la loro pericolosa radioattività.