«Vogliamo il lavoro, non i matrimoni omosex»
Ieri più di un milione di persone hanno manifestato contro la legge Taubira che permetterebbe il matrimonio omosessuale, con l'obiettivo di sensibilizzare i senatori che il 4 aprile dovranno approvare, o meno, il decreto già passato alla Camera.
25 marzo 2013, ore 10:32: Erano 1 milione e duecento mila le persone che ieri hanno ingrossato le strade della capitale francese per manifestare contro la legalizzazione dei matrimoni fra persone dello stesso sesso. Erano presenti anche famiglie con bambini. La polizia si aspettava soltanto 300 mila dimostranti. Quando circa 100 giovani hanno provato a spingere sui cordoni di polizia per entrare sugli Champs-Elysées, dove l'accesso era vietato, la polizia ha reagito con lacrimogeni. Fonti della polizia dichiarano l'assenza di feriti e due soli arresti.
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23 marzo 2013: Proseguono alacremente le preparazioni per la terza manifestazione nazionale di protesta contro la legge Taubira volta a introdurre il matrimonio fra persone dello stesso sesso nella legislazione francese. Per domenica 24 marzo gli organizzatori si propongono di portare in piazza a Parigi più persone di quelle che sfilarono il 13 gennaio scorso sotto le insegne della Manif pour tous: 1 milione secondo i portavoce dell'iniziativa, 340 mila secondo la polizia parigina. Un'inchiesta di Le Monde ha chiarito che, anche prendendo per buone le stime delle forze dell'ordine anziché quelle degli organizzatori – come in Francia si era sempre fatto fino ad allora – quella del 13 gennaio scorso contro il matrimonio omosessuale sarebbe la terza più grande manifestazione di protesta della storia della Francia republicana, dopo quelle per la difesa della scuola libera minacciata di statalizzazione nel 1984 e contro Jean-Marie Le Pen approdato al secondo turno delle presidenziali nel 2007.
Due notizie, una buona e una cattiva per i simpatizzanti di Frigide Barjot, la vulcanica umorista e donna di spettacolo che da mesi sta tirando le fila del movimento e della campagna d'opinione con una maestria senza paragoni. Quella buona è che due nuove associazioni si sono venute ad aggiungere alle 33 che in gennaio avevano co-organizzato la manifestazione: si tratta di Musulmans pour l'enfance, che si va ad affiancare a Fils de France, che era finora l'unica entità musulmana a partecipare al coordinamento, e Banlieus de France, che intende rappresentare i francesi delle periferie. È pure prevista una partecipazione più numerosa che nelle precedenti occasioni di evangelici e di francesi di origine africana e delle Antille. Insomma, le minoranze e gli emarginati stavolta si faranno sentire. Anche perché gli slogan che saranno proposti domenica mirano a mettere in difficoltà il governo accusandolo di dare la priorità a richieste di piccole minoranze (e quella del matrimonio gay non è condivisa nemmeno da tutti coloro che in Francia si dichiarano omosessuali, anzi molti di essi militano nelle file della Manif pour tous), a svantaggio dei gravi problemi sociali che la Francia, come tanti paesi europei, si trova oggi ad affrontare. “La priorità è Aulnay, non il matrimonio gay!”, ci sarà scritto sui cartelli dei manifestanti, con riferimento al comune a nord di Parigi che fu al centro di sommosse nel 2005 e che oggi vive una drammatica crisi sociale a causa della chiusura dell'impianto della Citroen che dava lavoro a gran parte della sua popolazione (per un terzo nata all'estero). E un altro slogan sarà, nella versione originale: “On veut des emplois, pas la loi Taubira!”. Cioè: vogliamo posti di lavoro, non vogliamo la legge Taubira.
La cattiva notizia è che la manifestazione non potrà concentrarsi sugli Champs-Elysées, non lontano dalla residenza del presidente Hollande, ma dovrà accontentarsi dell'Arco di Trionfo. Il ministero degli Interni non ha dato il permesso. Inoltre la grande stampa di sinistra sta boicottando la cosa riducendo le informazioni sull'iniziativa al minimo: una vera e propria strategia di contenimento della protesta, fatta di silenzio e di snobismo.
La Manif pour tous torna in piazza perché non tutto è ancora perduto: l'Assemblea nazionale ha approvato il progetto di legge all'inizio di febbraio, ma perché entri in vigore occorre anche il voto del Senato, dove la maggioranza favorevole al provvedimento è molto più risicata e dove il dibattito inizierà il prossimo 4 aprile. Sulla carta socialisti e sinistre dispongono solo di sei voti in più della maggioranza prescritta per l'approvazione. Una pressione popolare importante potrebbe produrre un risultato imprevisto. Per questo sul manifesto che convoca la manifestazione si legge “non è troppo tardi” e “liberiamo la democrazia dal pensiero unico”.
Per evitare imprevisti il governo socialista ha rinunciato agli emendamenti che avrebbero introdotto nel progetto di legge l'accesso garantito alla fecondazione assistita per le coppie di persone dello stesso sesso, e la liberalizzazione degli uteri in affitto. Ma ha previsto il diritto all'adozione piena (adoption plenière), con la quale ogni legame del bambino adottato coi genitori biologici viene eliminato per legge: l'adottato passa per intero ed esclusivamente nello stato di famiglia della coppia che lo adotta. Questo apre in realtà la porta al ricorso alla fecondazione assistita e agli uteri in affitto che si sono voluti tenere fuori dalla legge: una coppia di persone dello stesso sesso sposata secondo la legge francese potrebbe ricorrere alla suddette tecniche all'estero, dopodichè il neonato, figlio di uno dei due componenti della coppia, verrebbe adottato dall'altro secondo quanto prevederà la legge.
Alcuni pareri legali dubitano che la Corte costituzionale possa lasciar passare una legge che prevede l'adoption plenière per coppie dello stesso sesso. Che una madre biologica possa perdere ogni diritto rispetto al suo figlio adottato da una coppia di uomini, per esempio, sembra stridere con il buon senso. Su questi aspetti sono intervenuti 170 giuristi con una lettera aperta ai senatori: «Il bambino adottato da due uomini o da due donne sarà dotato di educatori, di adulti di riferimento, ma privo di genitori, perché i “genitori” dello stesso sesso non possono indicargli un'origine, nemmeno simbolicamente. Sarà privato di genitori due volte: una prima volta dalla vita e una seconda volta dalla legge. (…) Il progetto di legge prevede l'adozione del bambino del partner dello stesso sesso (…). Nella maggior parte dei casi sarà il frutto di un'inseminazione o di una maternità surrogata compiute all'estero. Quel figlio sarà dunque stato voluto, già prima del suo concepimento, senza legami con suo padre e con sua madre, e intenzionalmente privato di uno di essi». Buon senso dai giurista e buon senso dalla piazza. I senatori saranno recettivi? Lo si vedrà il 4 aprile.