Viva Pirandello, abbasso il pirandellismo
Centocinquant’anni fa nasceva Luigi Pirandello, uno dei più grandi geni del Novecento. E' riuscito a comunicare la sua visione della vita, le sue riflessioni filosofiche ed esistenziali anche a persone che non erano filosofe. Ma il modo migliore per rendergli omaggio è liberarlo dai cliché in cui intellettuali e insegnanti lo hanno relegato. E che lui stesso denunciava come "pirandellismo".
Centocinquant’anni fa nasceva Luigi Pirandello, uno dei più grandi geni del Novecento, non tanto perché si è cimentato in numerosi generi letterari raggiungendo risultati eccelsi, ma piuttosto perché si è reso interprete del suo tempo e della cultura contemporanea come pochi altri riuscendo a prefigurare gli scenari che si sarebbero aperti nel secolo scorso e nel nostro. Non solo. Pirandello è riuscito a comunicare la sua visione della vita, le sue riflessioni filosofiche ed esistenziali anche a persone che non erano filosofe, anche a popoli che non amavano la filosofia.
Se andiamo a rileggere le motivazioni del Premio Nobel attribuitogli dall’Accademia di Svezia nel 1934 scopriamo che viene riconosciuta allo scrittore la grande capacità di far amare la filosofia ad un popolo come quello svedese che non è per nulla filosofo. Leggiamo le ragioni: «Luigi Pirandello è uno scrittore notevole da molti punti di vista. Ma la cosa più straordinaria, nel suo caso, è che sia riuscito a conquistare per qualche tempo il grande pubblico e a orientare il suo interesse verso un teatro passabilmente pieno di speculazioni filosofiche. A giudicare dal pubblico del nostro paese, è impossibile immaginare una prova di forza più difficile, perché se c’è qualche cosa che questo pubblico detesta con tutto il cuore, sono le idee pure, tutto ciò che potrebbe suscitargli inquietudini, farlo dubitare di sé e dei solidi fondamenti dell’esistenza. Può darsi che il pubblico sia un po’ meno inerte e pusillanime in altri Paesi, ma la tendenza generale dell’epoca non è di lasciarsi sedurre da sottili meditazioni. Essere riusciti a conquistare e a tenere affascinate orecchie renitenti e spesso assai lunghe, ecco una prova indiscutibile di genio».
Interessante è notare come l’opera di Pirandello venga successivamente difesa dalle accuse di essere distruttiva e esiziale: «Dal punto di vista morale Pirandello non è né paradossale né distruttivo. Il bene domina le sue idee sul mondo dell’uomo. Il suo pessimismo amaro non ha irrigidito il suo idealismo, la sua penetrante ragione analitica non ha tagliato le radici della vita. La felicità non occupa grande spazio nel mondo della sua immaginazione, ma quello che dà dignità alla vita trova ancora in essa abbastanza spazio per respirare».
Al ricevimento del Nobel Pirandello ringrazia Sua Maestà il Re e il pubblico tutto per il caloroso benvenuto con cui è stato accolto. Riconosce, poi, che «per riuscire nelle sue fatiche letterarie» ha dovuto frequentare «la scuola della vita» ed è stato uno scolaro «docile» che non è mai venuto meno «alla sua totale fede e fiducia in ciò che ha imparato». Pirandello si sente come un bambino che con umiltà, semplicità, attenzione e costanza ha meditato la lezione della vita. «Umiltà», «amore», «rispetto» sono fondamentali «per assorbire delusioni amare, esperienze dolorose, ferite terribili, e tutti gli errori dell'innocenza che donano profondità e valore alle nostre esistenze».
Così, con questo atteggiamento di sincerità di fronte a quanto gli è accaduto Pirandello è cresciuto, ma è rimasto se stesso riconoscendo di essere divenuto «del tutto incapace di vivere, come si conviene a un vero artista, capace soltanto di pensieri e di sentimenti». Congedandosi dal pubblico e ringraziando con immensa gratitudine, lo scrittore si augura che il Premio sia un segno di riconoscimento della «sincerità umana» del suo lavoro.
Stare di fronte alla realtà e alla vita è l’atteggiamento umano che Pirandello riconosce alla base della sua scrittura. Lontano da apriorismi filosofici, da ideologie, da schemi precostituiti, Pirandello è alla ricerca delle ragioni, della verità che sta sotto l’apparenza, dell’io che sta dietro le apparenze e le maschere, delle fondamenta su cui si possa costruire la casa, dopo la perdita di ogni punto di riferimento. Il suo è un viaggio faticoso, arduo, pieno di sofferenza e che mette a nudo falsità e debolezze. È un viaggio che lo porta a cercare la verità negli ambiti socio-politico, religioso e artistico, come nella trilogia del mito realizzata negli ultimi anni della sua vita: La Nuova colonia, Lazzaro e I giganti della montagna sono opere imprescindibili per capire almeno in parte l’esito del percorso umano e artistico di Pirandello.
Allora per i centocinquant’anni della nascita del grande scrittore vogliamo far nostro l’appello dell’agrigentino del 15 dicembre 1931, quando, indignato per come è stata ridotta, semplificata e banalizzata la sua opera a poche formule, scrive: «Abbasso il pirandellismo».
Il modo migliore per rendere omaggio a Pirandello è riscoprirlo nella grandezza della sua arte che comprende centinaia di novelle, quarantatré opere teatrali, sette romanzi, tantissimi saggi, poesie e tanto altro materiale che deve essere attraversato e riscoperto. L’appello è soprattutto agli insegnanti, figure centrali nell’educazione, nella formazione culturale e nella trasmissione dell’eredità che i nostri predecessori ci hanno consegnato: si allontanino dalle formule dei libri di testo che cristallizzano gli autori come se non fossero uomini e facciano con entusiasmo scoprire il genio artistico attraverso la bellezza e la profondità delle opere.
Per questo appello do la parola direttamente a lui, lo scrittore che oggi avrebbe compiuto centocinquant’anni: «(La mia) opera trova già prevenuti tanto il giudizio della critica quanto l’attesa del pubblico, per colpa di tutte quelle concezioni astratte e stravaganti sulla realtà e la finzione, sul valore della personalità […] che non sono altro se non le deformazioni cristallizzate di due o tre delle mie commedie, di quelle due o tre che sono arrivate per prime a Parigi, proprio al momento in cui il mio nome ha preso il volo: questo nome che, per colmo di sventura, non è nemmeno più il mio nome, ma è diventato la radice della parola “pirandellismo”. […]
Mi si permetta di dire che nessuna delle mie opere, che sono tutte nate al di fuori della tesi e degli apriorismi filosofici, è malata di pirandellismo. Sono state modestamente concepite e composte da uno scrittore che si chiama Pirandello e che nel momento in cui scriveva non immaginava nemmeno lontanamente la disavventura che lo attendeva, e non poteva prevedere che queste opere fossero predestinate a essere catalogate sotto una etichetta unica, sotto una formula immutabile, di un carattere rigido e definitivo.
A nome della mia opera tutta intiera,… mi ribello contro la mia fama e contro il pirandellismo e arrivo fino a dichiarare di essere pronto a rinunciare al mio nome, pur di riconquistare la libertà della mia immaginazione di scrittore». Pirandello, però, ci avverte: «Forse non esiste scrittore più sconosciuto di uno scrittore celebre!». E come nasce la celebrità? «Nasce il giorno in cui, non si sa come né perché, il nome di uno scrittore si stacca dalle sue opere, mette le ali e spicca il volo. Il nome!... Le opere sono molto più serie: non volano, ma camminano a piedi, è per conto loro, con il loro peso e il loro valore, a passi lenti». Così, mentre il nome di Pirandello è a Parigi e ha girato tutto il mondo, le sue opere letterarie «continuano a piedi la loro strada, a passi pesanti, e sono naturalmente rimaste indietro» (articolo del 15 dicembre 1931).