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IL LIBRO DI CAMISASCA

Vita comune e martirio: appunti per una riforma della Chiesa

Il viaggio del vescovo Camisasca negli elementi di riforma della Chiesa ha a che fare con l'esempio di martiri come Rolando Rivi e di apostoli della carità come don Calabria. E, passando per don Giussani, Chiara Lubich, San Carlo e Madre Anna Maria Canopi, arriva anche ai laici ai quali affida il compito della vita comune: «Perché la riforma della vita della Chiesa può nascere dalle famiglie».  

Ecclesia 19_04_2023

La Chiesa ha bisogno di santi o di riformatori? È rileggendo in forma interrogativa una delle più celebri frasi di George Bernanos che il vescovo Massimo Camisasca percorre il lungo viaggio nella Chiesa di oggi iniziato al termine della sua esperienza durata nove anni, di vescovo di Reggio Emilia e Guastalla e culminato in un libro denso, tra il lascito e il bilancio, a cui è stato dato il titolo La luce che attraversa il tempo (Edizioni San Paolo), ma che solo nel sottotitolo esprime pienamente il suo obiettivo: Contributo per una riforma nella Chiesa.

Va detto che una risposta alla prima domanda, in realtà, si trova soltanto alla fine. La Chiesa ha bisogno di entrambi, perché il vero riformatore è Dio, che guida la Chiesa servendosi di santi, creature imperfette, fragili e peccatori, «uomini però, per i quali la cosa più ragionevole e più affascinante è stato seguire Dio in tutto ciò che Egli ha chiesto». Rinnovare, ecco la crasi perfetta tra il santo e il riformatore, il rivoluzionario non serve, lo abbiamo già archiviato da tempo, perché agisce come se non ci fosse una tradizione e pretende di ricreare un futuro monco.

È forse quindi il rinnovatore, il cristiano di domani? Camisasca lo ha detto spesso nel corso dei tanti incontri tenuti durante il suo mandato da vescovo con famiglie, giovani e col suo clero, i tre principali destinatari del suo magistero episcopale: «Un San Benedetto non nasce ogni anno. Per un grande riformatore santo che nasce, ci sono voluti anni, secoli di semina».

Ecco dunque il programma, che si snoda nel corso delle pagine di un libro da leggere tutto d’un fiato o anche solo da tenere come prontuario per il working progress della Chiesa.

Camisasca dice che «pensare alla riforma nella Chiesa vuol dire cercare di entrare, domandare di entrare, in ciò che Dio vuole». Ma la riforma nella Chiesa si basa due pilastri. «Da un lato c’è un evento fondativo: la vita di Gesù con gli apostoli, che ha come cuore la sua Incarnazione, passione, morte e resurrezione, e il dono dello Spirito». Il cuore di questo pilastro è la liturgia da cui ha origine ogni comunità cristiana.

L’altro pilastro nasce dall’evento fondativo ma «deve essere accolto dagli uomini, mettere in azione la loro libertà, dare forma a ogni epoca della storia».

Ecco che qui entra in gioco la santità. Il contributo che il fondatore della Fraternità Sacerdotale San Carlo offre al lettore è quello di figure di santi a cui attingere per incominciare quella riforma/rinnovamento di cui la Chiesa ha bisogno.

«Gli scritti di due grandi sacerdoti, due grandi riformatori, hanno illuminato il mio silenzio e le mie letture di questi anni. Si tratta di papa Gregorio I e di Carlo Borromeo». Del primo ricorda la frase che  «chi governa nella Chiesa deve immedesimarsi in chi non crede, così da imparare come avere pietà degli altri. Deve dare loro ciò che lui vorrebbe avere per sé se fosse come loro»; del secondo si spinge a dire che «senza san Carlo la Chiesa non avrebbe avuto ciò di cui ha bisogno, cioè un’icona vivente di Gesù, un uomo pieno di pietà per gli uomini. Egli non amò l’umanità̀, amò gli uomini personalmente».

Ma la storia della Chiesa è ricchissima di sacerdoti santi ed «è a loro che dobbiamo guardare per comprendere le strade di un’autentica riforma della vita sacerdotale. Sono loro, infatti, che ci possono insegnare la carità, cioè quella immedesimazione con Cristo che permette di essere contemporanei a ogni generazione di uomini».

Due esempi? Camisasca punta sull’esempio di San Giovanni Calabria che voleva una nuova formazione dei sacerdoti che rinascessero da studio e vita spirituale. «Per lui i sacerdoti hanno davanti un compito immenso: attraverso la loro carità̀, donando Cristo, possono salvare il mondo intero».

La seconda figura di santo per una riforma è quella del Beato Rolando Rivi. Non era ancora sacerdote, ma seminarista, quando due partigiani comunisti lo freddarono sul finire della guerra perché «era il prete di domani».

È riconosciuto martire in odium fidei. E proprio il sangue versato nel martirio, inteso come seme di nuovi cristiani, è elemento centrale nella riforma e «questione serie del cristianesimo»: «Il martirio è la testimonianza più alta che un uomo possa dare a Cristo nella sua vita ed è il cuore stesso della Chiesa. Non nasce da un disprezzo della vita: all’opposto, nel martire vive la certezza che Dio è il Signore della vita e proprio per questo non può essere rinnegato».

Mettendo in cima il martirio, si comprende come la vicenda di Rolando abbia riempito letteralmente i giorni da vescovo di Camisasca, che era da poco entrato in diocesi quando è stato elevato agli altari e che ha cercato in ogni modo di promuoverne il culto, cominciando dalla valorizzazione del santuario di San Valentino dove il suo corpo posto sotto l’altar maggiore ha trovato la sua definitiva sepoltura dopo gli anni dell’oblio post-bellico.

Per la riforma della vita religiosa, polmone insostituibile e linfa della Chiesa, il vescovo invita a guardare alle esperienze di Vitorchiano e del Lago d’Orta e approfondisce le figure di Madre Anna Maria Cànopi e Madre Cristiana Piccardo che definisce «due esempi luminosi».

Ma il compito della riforma non spetta solo al clero, anche perché Camisasca mostra avversione verso la «clericalizzazione dei laici e la secolarizzazione del clero». «Ambedue questi fenomeni – dice - hanno avuto origine nella Chiesa tedesca, supportati dalla teologia di Karl Rahner, e si sono poi diffusi da lì in gran parte dell’Europa e delle Americhe».

È qui che entrano in scena figure come quella di don Luigi Giussani e Chiara Lubich, che lui conobbe prim’ancora di fare l’esperienza di Comunione e Liberazione. «ll fondatore di Cl fu giudicato da alcuni suoi contemporanei, all’interno della Chiesa, come un rivoluzionario, un sovvertitore. All’opposto, egli aveva un senso molto profondo della tradizione, ma non era un tradizionalista. Sentiva cioè l’urgenza che la tradizione cristiana venisse riscoperta nella sua capacità di illuminare il presente. La sua riforma consisteva in una concentrazione sull’essenziale. Lasciare da parte le forme caduche e trasmettere il cuore vitale del cristianesimo. Esso consiste innanzitutto nella conoscenza di Dio come Padre. Per questo Dio s’è fatto uomo, per rivelarci attraverso la vita del Figlio la sua paternità, la sua misericordia, la sua volontà̀ di riscattare ogni nostra miseria e di risollevarci».

Molto del rinnovamento dovranno farlo quelle che Benedetto XVI ha chiamato le “minoranze creative”. Nel dibattito avviato in ambito ortodosso da Rod Dreher con la sua “Opzione Benedetto”, ma che ha interrogato molto anche i cattolici in questi ultimi anni, Camisasca parla di «comunità̀ con un’ossatura monastica», ma «non luoghi chiusi, che si ritirano dal mondo. Se si rifiutano alcune forme di vita mondana, lo si fa proprio per una maggiore solidarietà̀ e vicinanza agli uomini e alle donne di tutto il mondo».

I nemici principali, se si parla di vita comune, sono «l’individualismo e il moralismo» che hanno «corroso la coscienza della fede ecclesiale». E racconta: «Quando entrai in diocesi dissi che avrei voluto dedicare il minor tempo possibile alle questioni amministrative. Esse in realtà̀ hanno occupato molte delle mie energie essendo strettamente connesse al ministero dell’evangelizzazione. Ma ho sempre cercato di dare la priorità̀ alle persone e alla nascita e crescita di piccole comunità̀ di giovani e giovani famiglie.

Il vescovo si dice, infatti, «profondamente convinto, anche se può sembrare paradossale, che la riforma della vita della Chiesa possa nascere dalle famiglie. Non però da una famiglia sola né, tantomeno, da famiglie sole. Piuttosto da comunità̀ di famiglie, ove ci si sorregga a vicenda, ci si stimoli reciprocamente nel bene, si impari gli uni dagli altri».

Anche le famiglie cristiane, dunque, possono aspirare ad essere veicolo di quel rinnovamento che ha come obiettivo la riforma, ma che si snoda nella sfida della santità.