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IL CAIRO

Violenze in Egitto, paura e rabbia dei copti

Il grave attacco del fine settimana è soltanto la punta dell'iceberg: gli estremisti hanno mano libera, si rischia il caos e la guerra civile.

Attualità 10_05_2011
cairo

Ieri pomeriggio al Cairo, alcuni movimenti nati dopo la rivoluzione egiziana di gennaio - il "Movimento per il cambiamento di Baradei", il "Movimento 6 aprile" (Ong di ispirazione liberale), i "Giovani della coalizione dei rivoluzionari" - hanno condannato la violenza contro la minoranza religiosa cristiana copta e promosso un corteo partito da piazza Wahda, ad Imbaba - il quartiere teatro dell’uccisione di 12 copti sabato scorso - e diretto verso la chiesa di san Mina, andata in fiamme negli scontri. Secondo Ahmed Maher, portavoce del 'Movimento 6 aprile', “ci sono piccoli gruppi isolati di salafiti e criminali che hanno lavorato per il partito di Mubarak e il ministero degli Interni. Sono loro che cercano sistematicamente di sabotare questa fase di transizione verso la democrazia fomentando tensioni confessionali".

C’è anche chi si spinge più in là, come padre Rafic Greiche, portavoce delle sette denominazioni cattoliche egiziane, che ad AsiaNews ha detto che “l’Egitto è all’inizio di una grande guerra civile. E questo a causa dei piccoli gruppi di estremisti islamici che soffocano gli ideali della Rivoluzione dei gelsomini, fomentando la violenza in gran parte del paese”.


Il quartiere di Imbaba è una zona a maggioranza musulmana, ma con un'alta percentuale di cristiani copti. “E’ ormai impossibile uscire la sera dopo le nove” racconta un giovane copto: “per la nostra sicurezza” aggiunge “è meglio restare in casa. Il problema non è solo in questo quartiere, ma ormai in ogni zona del Cairo, anche le più centrali.  La polizia sparisce la sera”. Un altro ragazzo ci informa che nel quartiere,di Imbaba: "Si stanno formando gruppi di autodifesa per proteggere chiese, negozi e case", la polizia egiziana,” dice, confermando quanto è stato scritto sulle agenzie e sui giornali di tutto il mondo, “sabato sera di fronte all’attacco alla chiesa copta di san Mina la polizia egiziana si è limitata a sparare in aria”.

Anche i “Fratelli Musulmani” hanno condannato le violenze con decisione, puntando però la loro riprovazione contro un cosiddetto scontro confessionale, invece di parlare di un aggravarsi delle persecuzioni ai danni della minoranza cristiana copta.

Da due giorni, i cristiani copti manifestano la loro rabbia per quanto sta accadendo in Egitto, intorno al centro direzionale della TV egiziana, il Maspero, a due passi da piazza Tahrir. Gridano: “Basta, via,  Tantawi (l’attuale ministro della difesa e capo del Consiglio Supremo dell’esercito che al momento governa l’Egitto); nei cartelloni che sbandierano per le strade, gli slogan che si ripetono più spesso, sono: “Dov’è finita la comunità internazionale?”, “Siamo egiziani, non cristiani o musulmani”. Un avvocato copto grida: “Questi attacchi alla nostra comunità sono organizzati da tempo per mettere l’intero paese nel caos e adesso la crisi sta diventando seria. Noi copti siamo patrioti e non contro l’Egitto”. Racconta che è riuscito a raccogliere più di un milione di firme per avere un arbitrato internazionale che stabilisca chi sono i veri colpevoli dell’aggravarsi degli scontri confessionali.

A Milano, qualche giorno fa, avevamo incontrato alcuni esponenti della comunità copta in Italia. Sono ortodossi, cristiano evangelici e qualcuno è un copto cattolico: “Bisogna ritrovare l’unità tra cristiani, qui come in Egitto”, ci hanno ripetuto all’unisono. “La situazione sta peggiorando molto rapidamente, ma non è nuova per i copti in Egitto” ha detto Kaldas, da diciotto anni in Italia, con un uno studio avviato da dentista in città. “Mi sono laureato al Cairo, ero bravo all’Università, ma i professori mi facevano capire che come copto non potevo pretendere voti alti e sicuramente per me sarebbe stato difficile aprire un mio studio o far carriera da noi. Così sono venuto in Italia, Noi siamo sempre stati considerati degli egiziani con minori diritti”.

“La nostra è da sempre la chiesa dei martiri”, gli fa eco Sharif, anche lui residente in Italia, a Torino, e portavoce della comunità copta. “Sono molto preoccupato per quanto accade, ma non ho paura”, spiega: “I salafiti spingono verso una violenza settaria, facile scoprire chi è copto: la carta di identità egiziana richiede che vi si dichiari anche il credo religioso per fini chiaramente discriminatori”.
“Il nostro problema in Egitto” ha aggiunto Ghapios, che invece a Milano ha aperto un centro di computer, “è che per la democrazia dovremo aspettare ancora molti anni, i cristiani sono detenuti  nelle carceri, soprattutto dopo l’attacco del 9 marzo, per ragioni politiche. Mubarak non ha fatto  molto per noi copti, ma i militari hanno paura di attacchi degli estremisti musulmani contro di loro e chiudono gli occhi su molte illegalità”.