Nicaragua anticristiano, resistenza e attivismo della diaspora
Il Nicaragua del regime di Ortega e Murillo è un paese ormai invivibile per i cristiani. La resistenza viene da figure della diaspora come don Nils de Jesús Hernández, soprannominato "padre vandalico" dal regime.
Dal 2018 il regime di Daniel Ortega e Rosario Murillo conduce una repressione sistematica contro la Chiesa cattolica: arresti di sacerdoti, espulsioni di vescovi, chiusura di ordini religiosi, confisca di scuole e università, divieti di processioni e celebrazioni pubbliche. Ong e organismi internazionali segnalano oltre mille atti ostili in sette anni e più di trecento religiosi costretti all’esilio. In molte diocesi i sacerdoti devono richiedere alla polizia l’autorizzazione per celebrare la messa; le processioni della Settimana Santa sono vietate da anni consecutivi; Radio María e numerose opere cattoliche sono state chiuse o private dello status legale. Il regime considera la Chiesa l’unica struttura sociale non controllabile e agisce per ridurla al silenzio.
Ma con Padre Vandálico gli Ortega hanno fallito. Padre Nils de Jesús Hernández, 56 anni, oggi sacerdote nell’Arcidiocesi di Dubuque negli Stati Uniti. Hernández, fuggito dal Nicaragua nel 1988 e già attivo nelle proteste giovanili contro il sandinismo, denuncia una persecuzione ormai stabile: parrocchie sorvegliate, intimidazioni quotidiane, comunità paralizzate dalla paura.
Racconta che molti religiosi non possono più parlare pubblicamente per evitare arresti o deportazioni. Il soprannome “vandálico” è l’etichetta denigratoria che la dittatura gli attribuì per aver guidato uno sciopero studentesco e sostenuto le proteste del 2018; oggi, però, quel titolo si è trasformato in un distintivo di resistenza. Originario di Nagarote, la tierra del quesillo, ricorda che essere stato dichiarato bersaglio del governo a 19 anni, quando era seminarista, significava lasciare tutto: «Lasciare i miei genitori, la mia famiglia, ciò che mi era familiare, la mia lingua, la mia cultura, il mio cibo… tutto ciò che è proprio. È stata la cosa più crudele che abbia mai vissuto».
Il sacerdote, intervistato da EWTN (la più grande rete mediatica cattolica del mondo) confessa di aver ereditato lo spirito combattivo dalla madre, che sosteneva anch’essa le proteste studentesche. «Negli anni ’80 lottavo contro chi ci prometteva che tutto sarebbe andato bene, e invece è diventato una dittatura». Dopo la fuga, passò per Guatemala, Tijuana, San Diego e Los Angeles, prima di essere inviato in Iowa. Una volta ottenuta la cittadinanza statunitense, fu ordinato sacerdote nel 2004 nell’Arcidiocesi di Dubuque, dove oggi serve messicani, guatemaltechi, venezuelani, cileni, honduregni e la diaspora nicaraguense.
«Questo è stato il mio campo di battaglia per continuare a denunciare la dittatura di Murillo e Ortega», afferma. Ritiene che la persecuzione stia diventando «molto più aggressiva», con confische che continuano a moltiplicarsi. Secondo Hernández, la dittatura vuole “sradicare la Chiesa”: «Ruberanno tutti gli edifici, potranno chiudere tutte le chiese che vorranno, ma non potranno togliere la fede dal cuore dei nicaraguensi. Siamo un popolo mariano e confidiamo nella volontà di Dio».
«Abbiamo anche grande fede che il Signore trionferà, perché il Signore ha trionfato sulla croce e ha sconfitto la morte con la sua risurrezione», afferma. «Torneremo in Nicaragua trionfanti. Questa dittatura non durerà per sempre. Sono vecchi e non dureranno per tutta l’eternità». Richiama anche la figura di mons. Silvio Báez, «voce profetica e coerente», che continua a denunciare gli inganni del regime. Sottolinea inoltre gli incontri tra Papa Leone XIV e i vescovi nicaraguensi in esilio, definiti «uno schiaffo alla dittatura»: «È ciò che li ferisce di più: sentire il Santo Padre dire al popolo nicaraguense che non è solo».
Accanto al controllo sui sacerdoti, la repressione colpisce l’intero sistema educativo cattolico. Il 12 agosto è stato confiscato il Colegio San José di Jinotepe, gestito dalle suore Giuseppine dal 1985. Murillo ha definito l’operazione una “conquista di pace”, accusando l’istituto — senza prove — di aver maltrattato simpatizzanti sandinisti durante le proteste del 2018. La scuola, fondata nel 1915 e premiata nel 2016 dallo stesso parlamento sandinista, è stata ribattezzata “Bismarck Martínez” e trasferita al Ministero dell’Istruzione.
È uno dei tanti espropri recentemente eseguiti: nel 2023 è stata confiscata l’Università Centroamericana dei gesuiti; tra il 2024 e il 2025 lo Stato ha espropriato conventi, seminari, case religiose e strutture pastorali, congelato conti bancari di diocesi e parrocchie e revocato la personalità giuridica a vari ordini, tra cui i frati minori francescani.
La pressione aumenta anche contro i vescovi. Mons. Rolando José Álvarez Lagos, uno dei critici più autorevoli del regime, è stato arrestato, processato a porte chiuse e deportato in Vaticano insieme a decine di sacerdoti e seminaristi. Stessa sorte per mons. Isidoro del Carmen Mora Ortega. Il regime presenta queste espulsioni come “gesti umanitari”, ma in realtà eliminano le voci più ascoltate e più pericolose per il potere. Il clima repressivo è tale che molte parrocchie hanno sospeso ogni attività pubblica per evitare ritorsioni.
La repressione si estende all’intera società. Ortega e Murillo hanno consolidato un sistema in cui polizia, tribunali e istituzioni rispondono direttamente alla coppia presidenziale. Le epurazioni interne al Frente Sandinista colpiscono funzionari e militanti storici accusati di tradimento o corruzione, creando un apparato fondato sulla paura. Gli esperti ONU denunciano che la persecuzione dei critici è ormai transnazionale, con pressioni anche sui rifugiati all’estero.
A questo quadro si aggiunge Rosario Murillo, promotrice di un linguaggio politico intriso di simbolismi esoterici e retorica mistico-aggressiva. Seguace del guru Sai Baba, madre di dieci figli e soprannominata “la chamuca”, ha definito gli oppositori “vampiri”, “terroristi”, “lupi disgustosi” e “figli del diavolo”. La sua comunicazione fonde religione, potere personale e delegittimazione violenta del dissenso, contribuendo alla trasformazione dell’orteguismo in un’ideologia che non si limita a controllare lo Stato ma pretende di rimodellare la società e persino la fede del popolo.
La diaspora nicaraguense continua a denunciare la situazione attraverso celebrazioni e manifestazioni che diventano atti di resistenza collettiva. Le recenti commemorazioni dell’Immacolata negli Stati Uniti hanno riunito centinaia di rifugiati, molti dei quali impossibilitati a rientrare in patria per il rischio di arresto immediato. Nei rapporti consegnati a Papa Leone XIV durante il Giubileo dei Migranti 2025, la persecuzione religiosa è descritta come parte strutturale del sistema repressivo del regime. In questo inferno la voce di padre Hernández illumina di speranza. La sua convinzione, condivisa dagli esuli, è semplice: l’orteguismo non è eterno e la sua fine dipenderà anche da ciò che accadrà fuori dai confini del Nicaragua. Perché tutto può cambiare, se cade Maduro.


