FRANCIA
Vietato criticare l'aborto: torna la ghigliottina
In Francia il bene diventa penalmente perseguibile. L’Assemblea nazionale ha definitivamente approvato la legge che estende ai siti web il cosiddetto reato d’intralcio all’aborto. Sarà così vietato parlare anche della sindrome post abortiva. È la notte della liberté.
Editoriali
18_02_2017
L’idea di liberté tanto cara ai giacobini e ai loro compagni di rivoluzione, si sa, è così elevata da non potersi fermare davanti a niente e nessuno. Figuriamoci se può farsi domande su ciò che è autenticamente libertà, o se può interrogarsi sul legame di quest’ultima con la verità. Ma se in piena Rivoluzione francese il metodo classico per difendere la liberté dai suoi ‘barbari’ oppositori era la ghigliottina, i giacobini di oggi – bisogna ammetterlo – appaiono di gran lunga più clementi.
Per il diritto di parola, rischi al massimo due anni di carcere e 30 mila euro di multa. Ne avevamo già parlato a dicembre, ma da giovedì quel pericolo tragicomico è diventato realtà. L’Assemblea nazionale, con i voti della maggioranza socialista e di una parte dei centristi, ha definitivamente approvato la legge che estende ai siti web il cosiddetto reato d’intralcio all’aborto, ignorando i tentativi del Senato che aveva cercato di attenuare la portata liberticida della nuova norma.
Secondo l’unico articolo della legge, che completa il cerchio delle sanzioni previste nel 1993 contro chi fisicamente impedisce l’accesso alle cliniche abortive o “esercita pressioni morali e psicologiche”, sarà passibile di condanna chiunque diffonda online “affermazioni o indicazioni tali da indurre intenzionalmente in errore, con scopo dissuasivo, sulle caratteristiche o le conseguenze mediche dell’interruzione volontaria della gravidanza”.
L’opposizione neogollista ha promesso che impugnerà il testo davanti al Consiglio costituzionale, ma secondo la Eclj (European Centre for Law and Justice) è difficile che la legge venga cassata, vista la natura più politica che legale dell’organo. Tra coloro che hanno spinto fortemente per l’approvazione di questa norma c’è la socialista Laurence Rossignol, ministro della Famiglia e femminista radicale, che in un grottesco tentativo di indorare la pillola ha precisato: “I militanti anti-aborto resteranno liberi di esprimere la loro ostilità all’aborto. A condizione di dire sinceramente chi sono, cosa fanno e cosa vogliono”. Troppa grazia.
Per la Rossignol, insomma, siti pro-life conosciutissimi come www.ivg.net e www.sosbebe.org sono un problema perché con i loro nomi possono indurre le donne tormentate dal dubbio a fare un clic. E, orrore degli orrori, dopo il clic potrebbero trovare delle informazioni e dei consigli (spesso provenienti da altre donne, passate attraverso la stessa esperienza) che le convincono a donare la vita al bambino che portano in grembo. Un intollerabile ‘inganno’ contro il dogma dell’autodeterminazione a senso unico.
Scherzi a parte, l’amara verità è che il bene è diventato penalmente perseguibile. Per l’inganno del male, invece, nessun problema. Così, sul sito ufficiale del governo, come ha notato Marion Le-Pen, possiamo incredibilmente scoprire che “l’aborto non causa conseguenze fisiche e psicologiche”, nonostante l’esperienza e i dati dicano esattamente il contrario. Come spiega la Eclj, una Ong che promuove la difesa della dignità della persona e ha annunciato un possibile ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro la nuova legge francese, “il 42% delle donne che prima dei 25 anni hanno avuto un aborto volontario sperimentano la depressione. Metà delle donne che hanno avuto un aborto da minorenni soffrono di pensieri suicidi. Le donne che abortiscono hanno probabilità tre volte maggiori di subire problemi fisici, mentali o sessuali rispetto alle donne che hanno proseguito la gravidanza”.
Per le bugie governative che presentano l’aborto come un sorso d’acqua fresca, dunque, non è prevista nessuna sanzione. Del resto, la Rossignol è una nota pasdaran dei “nuovi diritti”, che si è espressa a favore dell’adozione per le coppie omosessuali e dell’utero in affitto, definito come “un po’ di generosità nel regno dell’individualismo”. È la stessa ad aver rispolverato in tv la vecchia idea secondo cui “i bambini non appartengono ai loro genitori, appartengono allo Stato”, che al laicismo francese torna oggi utile per la diffusione nelle scuole dell'ideologia gender, la quale pretende di spazzare via il principio della libertà educativa dei genitori e inculcare ai bambini che è normale avere “due mamme” o “due papà”.
Con un ministro della Famiglia così, si comprendono le preoccupazioni delle associazioni familiari cattoliche d’Oltralpe, le quali, denunciando l’introduzione di un vero e proprio reato d’opinione, hanno posto un paio di interrogativi alla Rossignol e ai suoi sodali: “La testimonianza, dolorosa, su un sito web di una donna che ha abortito sarà da domani un fatto criminale? La dichiarazione, in un incontro pubblico, secondo la quale l’aborto è l'arresto di un processo di vita, sarà considerata, come ha lasciato intendere in Assemblea il ministro della Famiglia, un discorso colpevolizzante e dissuasivo e, pertanto, anch’esso soggetto a pena?”.