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IL CASO

Vietare l’aborto è disumano, dice il Comitato dei Diritti umani

Vietare ad una madre di uccidere il proprio bambino è un trattamento crudele, disumano e degradante. Lo ha sentenziato il Comitato dei Diritti Umani dell’Onu, accogliendo il ricorso in tal senso di una donna irlandese contro il suo Paese.

Vita e bioetica 19_06_2016
Manifestazione in Irlanda contro la legge sull'aborto

Amanda Jane Mellet, rappresentata dal Centro per i Diritti riproduttivi, ha fatto ricorso presso il Comitato dei Diritti umani – organo che ha il compito di monitorare il rispetto e la promozione dei diritti previsti dal Patto sui Diritti Civili e Politici del 1966 -  perché, a suo dire, l’Irlanda avrebbe violato alcuni suoi diritti personali. Rimasta incinta nel 2011, alla 21° settimana di gestazione ha scoperto che il feto presentava delle possibili malformazioni cardiache ed era affetto dalla sindrome di Down. La donna allora avrebbe voluto sopprimere il figlio che portava in grembo, ma in Irlanda l’accesso all’aborto è fortemente limitato. La signora Mellet a quel punto decise di volare a Liverpool per poter abortire e così fece.

 La donna ha trascinato l’Irlanda davanti al Comitato dei Diritti Umani per più motivi. Sia perché non ha potuto abortire – e dunque ha lamentato di aver subito “un trattamento crudele, inumano e degradante” – sia perché – a suo dire – nell’ospedale di Liverpool il feto è stato estratto morto e quindi tale operazione si poteva anche eseguire in patria, sia perché, una volta fatto ritorno in Irlanda, non ha ricevuto assistenza dato che manifestava forte disagio per il “lutto” subito (sic) e per “la vergogna e lo stigma sociale associati ad un atteggiamento criminalizzante nei suoi confronti per aver abortito un feto ormai malato terminale”, sia perché il sistema sanitario irlandese non ha coperto le spese per l’operazione abortiva effettuata all’estero. L’Irlanda da parte sua ha replicato che la vita del nascituro vale come quella della madre, che l’aborto è permesso solo in caso di pericolo di vita per la gestante e che alla donna comunque sono state fornite tutte le informazioni del caso per poter abortire all’estero.

Il Comitato dei Diritti Umani il 9 giugno scorso ha dato ragione alle donna. Infatti ha dichiarato che l’Irlanda, vietando alla donna di abortire, ha ingenerato nella ricorrente una “condizione di intensa sofferenza fisica e mentale”, aggravata anche dal fatto che la Mellet non ha ricevuto nessuna informazione utile ad abortire all’estero. L’aspetto tristemente interessante sta nel fatto che il Comitato ha affermato che l’Irlanda ha violato l’articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici nella parte in cui recita: “Nessuno può essere sottoposto  […] a trattamenti crudeli, disumani o degradanti”. Dunque vietare ad una madre di uccidere il proprio bambino è un trattamento crudele, disumano e degradante. 

Inoltre l’Irlanda avrebbe violato anche l’art. 17 dello stesso Patto che disciplina la privacy delle persone. Cioè a dire che l’ “autonomia riproduttiva” della donna – per usare le parole del Comitato – non è stata rispettata allorchè la sua volontà era quella di abortire sul suolo patrio e non essere costretta a viaggiare per farlo. E’ come se uno spacciatore si lamentasse presso il Comitato che, dal momento che nella sua nazione è vietato vendere droga, è stato costretto a trasferirsi in un paese in cui la normativa sul traffico degli stupefacenti è più morbida. Ed infatti l’Irlanda ha ricordato al Comitato che in materia di aborto lo Stato irlandese è sovrano.

Il Comitato, aprendo un manuale di fantadiritto, ha replicato che non si mette in discussione la sovranità nazionale dell’Irlanda, bensì se, nel caso specifico, il divieto di abortire potesse configurare una violazione del diritto alla privacy tutelato dal Patto internazionale sui diritti civili. A sua volta l’Irlanda ha risposto che tale diritto deve essere messo in relazione con diritto alla vita del nascituro – ben più importante - diritto a sua volta bilanciato con il diritto alla vita della madre. “Il Comitato – si legge nella decisione - ritiene che l'equilibrio […] tra protezione del feto e dei diritti della donna, in questo caso non può essere giustificato”. E dunque “il Comitato ritiene che l'interferenza nel processo decisionale della parte attrice su come meglio affrontare la sua gravidanza non vitale era irragionevole e arbitrario in violazione dell'articolo 17 del Patto”.

Ma non è finita qui. Il Comitato ha accolto anche i motivi di doglianza della donna in merito alla violazione degli articoli 2, 3 e 26 del Patto, articoli che riguardano il divieto di discriminazione. La signora Mellet sarebbe stata discriminata per due motivi. In primis perché le donne che decidono di portare a termine una gravidanza, seppur il bambino sia malformato, ricevono cure e sostegno una volta che hanno partorito. Non così per le donne che hanno abortito (ovviamente all’estero). Inoltre la discriminazione peggiore sarebbe la seguente: “il Comitato prende atto dell’affermazione della parte attrice che il rilievo penale in merito alle pratiche abortive in Irlanda costituisce uno stereotipo di genere del ruolo riproduttivo delle donne, intese in primo luogo come madri”. Si discrimina la donna perché la si considera prima di tutto una madre. E’ come discriminare un pompiere perché prima di tutto spegne incendi.

Il Comitato ha quindi così deliberato (ma la delibera non ha potere vincolante): l’Irlanda deve risarcire in modo congruo la donna e fornirle assistenza medica anche psicologica (seppur l’aborto sia avvenuto molti anni fa). Inoltre l’Irlanda si deve impegnare affinchè situazioni simili non si ripetano mai più. Ma questo cosa significa? L’Irlanda “dovrebbe modificare la sua legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, ed anche, se necessario, la sua Costituzione, per garantire il rispetto del Patto, al fine di garantire procedure efficaci, tempestive e accessibili per interruzione della gravidanza”. Infine il Comitato ha richiesto all’Irlanda di fornire entro 180 giorni informazioni su come si starà concretamente adeguando alle direttive indicate.

In sintesi: il Comitato non ha voluto comprendere che la donna attualmente soffre proprio perché ha abortito, decisione da cui l’Irlanda con le sue leggi ha cercato di stornare la donna. In secondo luogo vietare l’aborto è atto disumano e degradante e, di converso, facilitarlo esprime una tutela di un diritto umano universale. In terzo luogo la privacy per quest’’organo sovranazionale significa ammazzare i propri figli come, quando e soprattutto dove si vuole, preferibilmente a casa propria perché più comodo. Infine la sovranità nazionale e robetta annessa come le costituzioni sono carta straccia di fronte ad un patto internazionale come quello sui diritti civili e politici, che inizialmente fu stipulato per tutelare i diritti fondamentali delle persone ed ora invece è usato per legittimare gli omicidi prenatali.