Vetus Ordo, un questionario che non sembra preoccupare
Pubblicato su Rorate Coeli un questionario che la Congregazione per la Dottrina della Fede avrebbe inviato ai vescovi: nove domande sull’applicazione del Summorum Pontificum. C’è chi teme un attacco alla “Messa tridentina”, ma dietro dovrebbero esserci solo finalità statistiche. Di questo parere don Nicola Bux, che alla Nuova BQ dice: “L’antico arricchisce il nuovo, non avrebbe senso delegittimarlo”.
L’indiscrezione l’ha lanciata il sito americano Rorate Coeli, ripreso in Italia dal blog Messa in latino: la Congregazione per la Dottrina della Fede avrebbe inviato ai presidenti delle conferenze episcopali un questionario destinato ai vescovi sull’attuazione del “Summorum Pontificum”.
In rete sono finite due pagine di domande datate aprile 2020 insieme a una lettera del prefetto, il cardinal Luis Francisco Ladaria Ferrer, che porta invece la data del 7 marzo 2020. Si tratta di documenti che, a una prima occhiata, presentano alcune anomalie che inizialmente avevano fatto sorgere il sospetto sulla loro autenticità: manca la firma autografa del successore del cardinale Müller e manca l’emblema della Santa Sede in alto a destra. Il testo non è in italiano, né in latino, ma in inglese. L’ipotesi più verosimile è che si tratti di una copia di cortesia inviata a un vescovo anglosassone dalla conferenza episcopale d’appartenenza.
Il contenuto, però, a quanto ci risulta, dovrebbe essere vero e la richiesta d’inchiesta nelle diocesi sarebbe effettivamente partita dall’ex Sant’Uffizio. Ai vescovi - ma non è chiaro se in tutto il mondo o, per ora, soltanto in alcune regioni - è stato chiesto di far arrivare in Vaticano i risultati entro il 31 luglio 2020. Dell’iniziativa non si sarebbe occupato l’Ufficio della Quarta Sezione, competente per le materie un tempo affrontate dall’ormai soppressa Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
Il motu proprio Summorum Pontificum, scritto da Benedetto XVI per liberalizzare la celebrazione della liturgia secondo la forma straordinaria del Rito romano, starebbe per finire sotto attacco? Non è proprio così. Intanto, il questionario arriverebbe quasi in contemporanea con i due decreti della stessa Congregazione che hanno aggiornato il Messale del 1962 con l’inserimento di sette nuovi prefazi e dei santi canonizzati dopo quella data (clicca qui), così come richiesto da Ratzinger nella Lettera ai Vescovi uscita nel 2007 insieme al motu proprio. Un tentativo di preparare il terreno ad un’eventuale abrogazione, così come temuto da qualcuno, apparirebbe del tutto contraddittorio con questi recenti provvedimenti.
Anche don Nicola Bux, professore di liturgia orientale e di teologia dei sacramenti alla Facoltà Teologica Pugliese ed ex consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, è convinto che il presunto questionario della Congregazione per la Dottrina della Fede sia da ascrivere a non preoccupanti finalità statistiche.
Abbiamo analizzato con monsignor Bux le nove domande presenti nel documento diffuso da Rorate Coeli. Quest’iniziativa, secondo l’esperto liturgista, ricorderebbe quella messa in atto in occasione dei sinodi, con il ricorso allo strumento del questionario per raccogliere dati e confezionare il documento di lavoro, oltre che favorire una conoscenza completa della Chiesa sparsa nel mondo. Allo stesso modo, la richiesta di fornire informazioni circa l’applicazione del Summorum Pontificum all’interno delle singole diocesi dovrebbe rappresentare un tentativo di avere un contributo più corrispondente alla situazione reale. Nel documento comparso in rete si chiede se la celebrazione nella forma straordinaria è dovuta a “una necessità pastorale reale” o all’“iniziativa di un singolo sacerdote”.
Un quesito insidioso? No, secondo monsignor Bux che vi riscontra la volontà di “mettere il vescovo davanti alla sua responsabilità nel dover andare incontro ai fedeli che manifestano questo desiderio pastorale”. Spiega il teologo pugliese: “È un problema di natura ideologica: dal momento che due forme convivono, chi ha pregiudizio le contrappone, mentre chi non ce l’ha risponderà con onestà”. In Francia e in Italia, come dimostrato da un sondaggio Doxa del 2017, più del 70% dei cattolici intervistati vedrebbe di buon occhio la celebrazione di entrambe le forme dell’unico Rito romano all’interno della propria parrocchia; un dato che segnala - a 13 anni dalla sua entrata in vigore - il buon recepimento del motu proprio di Benedetto XVI nelle comunità di fedeli.
Nel questionario diffuso su Internet, una domanda fa riferimento all’influenza del Summorum Pontificum nella vita dei seminari e degli altri istituti di formazione. Fa notare monsignor Bux: “Se un vescovo è libero da pregiudizi, non priva i fedeli della conoscenza di un atto di magistero; allo stesso modo, lo trasmette anche ai seminari, presentandolo in modo tale da aiutare la formazione completa dei seminaristi perché, se un domani si troveranno davanti dei fedeli che chiederanno la celebrazione nella forma straordinaria, essi potranno rispondere adeguatamente a questo bisogno pastorale”. D’altra parte, l’intenzione di Benedetto XVI era quella di non far sentire esclusi i fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina dopo aver constatato, in giro per il mondo, che questa specifica sensibilità era particolarmente viva.
Secondo monsignor Bux, l’indagine che potrebbe esser stata promossa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede andrebbe interpretata come un tentativo di “esercitare, in nome del Papa, non una repressione ma una rilevazione per, semmai, rilanciare il Summorum Pontificum, chiedendo ai vescovi di abbandonare posizioni preconcette e appellandosi alle necessità pastorali dei fedeli”. Da parte di un vescovo, manomettere o censurare all’interno della diocesi la richiesta della “forma straordinaria” del Rito romano sarebbe gravissimo e creerebbe un danno non solo all’unità cattolica ma avrebbe ripercussioni anche sul piano ecumenico. Infatti, la cosiddetta forma antica del Rito romano è quella che più si avvicina al Rito bizantino; e la promulgazione del Summorum fu pensata da Benedetto XVI pure nell’ottica di un riavvicinamento con l’Oriente ortodosso.
L’ex Sant’Uffizio, inoltre, avrebbe chiesto ai vescovi se nella forma ordinaria ci sia stata l’adozione di elementi della forma straordinaria per quanto riguarda la diocesi di loro competenza. Una domanda finalizzata, evidentemente, a riscontrare la conferma di quel perfezionamento reciproco tra le due forme preconizzato da Benedetto XVI nella Lettera ai Vescovi. “L’antico - spiega monsignor Bux - arricchisce il nuovo perché lo sostanzia ulteriormente, e infatti molti sacerdoti che hanno ripreso l’antico uso hanno cominciato a celebrare meglio la Messa secondo il Messale di Paolo VI”. D’altra parte, l’edizione del Messale Romano promulgata da san Giovanni XXIII nel 1962 non è mai stata abrogata e il suo uso è stato liberalizzato dal motu proprio del 2007.
Dunque, l’ex consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice non ritiene realistica la possibilità di una sua futura abrogazione: “La forma antica del Rito romano - ricorda il sacerdote - appartiene alla Tradizione apostolica, ha fatto parte della storia della Chiesa per più di un millennio e delegittimarla significa delegittimare anche la forma ordinaria che si è sviluppata a partire da quella”.
Per la buona riuscita dell’indagine, dunque, è imprescindibile che i vescovi - qualora avessero davvero ricevuto il questionario - si lascino guidare nelle risposte dal sensus Ecclesiae e non dal pregiudizio. Una necessità ribadita da monsignor Bux con una citazione tratta dagli Atti degli Apostoli, ossia l’ammonimento di Gamaliele: “Se quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!” (At 5, 38-39). E la forma straordinaria del Rito romano, se non fosse sacra, sarebbe già morta e sepolta da tempo mentre, invece, esiste da più di un millennio.
In definitiva, l’iniziativa della Congregazione per la Dottrina della Fede, qualora confermata, potrebbe qualificarsi come una rivelazione statistica circa l’applicazione del Summorum Pontificum. E non dovrebbe destare preoccupazione tra gli abituali frequentatori della cosiddetta “Messa tridentina”.