Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

BIOETICA

Vescovi e pillole, se non si conosce meglio tacere

La contraccezione è moralmente lecita per le donne vittime di uno stupro, perché non c'è adesione libera a un atto coniugale, ma al momento non esistono pillole "del giorno dopo" che funzionino solo come contraccettivo. Ecco perché la decisione dei vescovi tedeschi rappresenta un grave errore.

Vita e bioetica 04_03_2013
La pillola del giorno dopo

Il documento dei vescovi tedeschi sulla liceità dell'utilizzo della "pillola del giorno dopo" nel caso di donne che abbiano subito violenza sessuale, ha provocato strumentalizzazioni sulla stampa laica ma anche commenti distorti sulla stampa cattolica (Avvenire in testa), che hanno completamente ignorato la gravità delle affermazioni dei vescovi tedeschi (smentiti anche dai loro colleghi spagnoli). Come La Nuova BQ ha rilevato fin dal primo momento, non è in discussione il principio morale del ricorso alla contraccezione in casi di stupro, ma la consapevolezza di cosa sia e come funzioni la pillola del giorno dopo, che non è un mero contraccettivo. Per chiarire ulteriormente i termini della questione, interviene oggi la professoressa Maria Luisa Di Pietro, Associato di Bioetica all'Università Cattolica del Sacro Cuore ed ex presidente di Scienza & Vita.

1. L’insegnamento del Magistero della Chiesa in materia di contraccezione e aborto è sintetizzato - in modo inequivocabile - al n. 13 della Lettera Enciclica “Evangelium vitae”, laddove Giovanni Paolo II scrive: “Certo, contraccezione e aborto, dal punto di vista morale, sono mali specificamente diversi: l’una contraddice all’integra verità dell’atto sessuale come espressione propria dell’amore coniugale, l’altro distrugge la vita di un essere umano; la prima si oppone alla virtù della castità matrimoniale, il secondo si oppone alla virtù della giustizia e viola direttamente il precetto divino non uccidere”.

 Due mali, dunque, di diversa natura e peso morale, ma sempre due mali. E, se il precetto non uccidere è più che chiaro a chi ri-conosce nella vita appena concepita la dignità della persona umana, è apparso - ai più - difficile capire come la contraccezione possa contraddire l’integra verità dell’atto sessuale. Su questo punto, è stato illuminante la lettura della Lettera Enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI da parte di Giovanni Paolo II nelle Catechesi sull’amore umano.

Nel momento in cui si incontrano e si instaura tra loro quella specifica comunione resa possibile dall’atto coniugale, l’uomo e la donna si esprimono reciprocamente nel modo più pieno e profondo consentito dalla dimensione fisica della mascolinità e della femminilità. In questa sorta di dialogo, essi  possono comunicare tutta la verità inscritta nel proprio corpo, ma possono - di contro - anche mentire, facendo in modo che i significati del corpo non si possano esprimere e non vengano compresi. In tal senso, così scrive Giovanni Paolo II al n. 32 della Esortazione Apostolica “Familiaris consortio”: “Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono questi due significati che Dio creatore ha inscritto nell’essere dell’uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come arbitri del disegno di Dio e manipolano e avviliscono la sessualità umana, e con esso la persona propria del coniuge, alterandone il valore di donazione totale. Così, al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all’altro in totalità: ne deriva non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche la falsificazione dell’interiore verità della persona”.

2. “Donarsi all’altro nella totalità”: l’atto del donarsi presuppone una libera scelta, una libera adesione ad un cammino di coppia e ad una progettualità di vita. La libertà chiama in causa quella responsabilità, che possiamo definire “procreativa”:  il “rem ponderare”, che porta a valutare anche le conseguenze del proprio agire; il “res-pondere”, che chiama in causa il soggetto a cui chiedere di farsi carico delle conseguenze del proprio agire. E così, mentre nel ricorso ai metodi di regolazione naturale della fertilità c’è sempre un’assunzione di responsabilità, ben diversa è la situazione se vi è stato il ricorso alla contraccezione. Vi è, in questo caso, difficoltà ad accettare il figlio non voluto: la sua possibilità di esistere era stata esclusa dal momento in cui si è scelto di realizzare quell’atto coniugale. Il figlio concepito non è stato né voluto né programmato, anzi viene considerato una minaccia da cancellare anche con la decisione estrema dell’aborto.

Libertà e responsabilità: emerge, allora, chiaramente la differenza tra l’adesione libera ad un atto coniugale  e l’imposizione crudele e disumana di un atto di violenza ad una donna. Non c’è, in questo secondo caso, la possibilità di scegliere; c’è la brutalità di un atto imposto da parte di chi vuole sottomettere l’altra persona ai propri desideri, noncurante delle sue esigenze, della sua libertà e della sua dignità di persona umana. Il ricorso alla contraccezione non evita certamente la violenza (anzi, talora, potrebbe -  in modo surrettizio - ridurre l’attenzione nei suoi confronti), ma ha il solo scopo di impedire che un atto violento esprima tutta la sua potenzialità biologica. 

Non si tratta, dunque, di contraddire “l’integra verità dell’atto sessuale come espressione propria dell’amore coniugale”, perché non c’è né amore (la violenza è la negazione assoluta del dettato dell’amore), né coniugalità (anche qualora la violenza avvenisse all’interno del matrimonio, non si tratterebbe di un atto autenticamente coniugale).

3.  Parlare di “contraccezione” significa fare riferimento a prodotti che impediscono la fecondazione  ovvero l’incontro tra la cellula uovo e lo spermatozoo, da distinguere dai prodotti ad azione abortiva che impediscono l’annidamento dell’embrione nella parete uterina o ne determinano il distacco una volta avvenuto l’annidamento . Il problema è che è molto difficile scindere l’azione contraccettiva e l’azione abortiva nei preparati ormonali oggi in commercio.

“Purtroppo - si legge sempre al n . 13 della Lettera Enciclica “Evangelium vitae” - la stretta connessione, che a livello di mentalità, intercorre tra la pratica della  contraccezione e quella dell’aborto emerge sempre di più e lo dimostra in modo allarmante anche la messa a punto di preparati chimici, di dispositivi intrauterini e di vaccini che, distribuiti con la stessa facilità dei contraccettivi, agiscono in realtà come abortivi nei primissimi stati di sviluppo della vita del nuovo essere umano”.
    
E’ il caso anche della pillola del giorno dopo, altrimenti definita con una terminologia ambigua “contraccezione d’emergenza”. Perché questa pillola, che contiene levonorgestrel, ha come unico effetto contraccettivo (prima della fecondazione) l’inibizione o il ritardo dell’ovulazione, che è - tra l’altro - presente solo, ma non sempre, se la sua somministrazione è avvenuta  in fase preovulatoria. Di conseguenza, non solo non si può escludere un’azione abortiva anche quando la pillola del giorno dopo viene somministrata prima dell’ovulazione, ma bisogna prendere atto che - una volta che l’ovulazione si è verificata - il meccanismo non può che essere abortivo, attraverso l’impedimento dell’annidamento eventualmente fecondato dell’embrione nella parete uterina.

Se  non c’è certezza, la prudenza chiede di astenersi da un atto di cui non si conoscono contenuto, dinamismo e conseguenze. E’ questo il caso del ricorso alla pillola del giorno dopo a seguito di una violenza. Per cui se la  questione è chiara dal punto di vista teorico (la possibilità di utilizzare prodotti ad azione contraccettiva), ma non è applicabile nella concreta realtà (dal momento che non si può escludere l’azione abortiva), la prudenza - anche delle parole - è quanto mai necessaria.

*Associato di Bioetica, Università Cattolica del Sacro Cuore