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IN VIAGGIO CON ENEA / 35

Verso lo scontro finale

Ne nasce un’eroina che non ha precedenti nella storia letteraria e che influenzerà anche eroine di futuri poemi epici, come la Clorinda della Gerusalemme liberata. Ecco la storia di Camilla...

Cultura 13_06_2022

È stata la vanità femminile ad esporre al rischio oltre misura Camilla, che, viste le bellissime armi di Cloreo, volle ad ogni modo impossessarsene. Nell’eroina si mescolano così la donna e la guerriera. Ne nasce un’eroina che non ha precedenti nella storia letteraria e che influenzerà anche eroine di futuri poemi epici, come la Clorinda della Gerusalemme liberata.

Ora rimangono sul palcoscenico dell’Eneide due rivali.

Da una parte l’eroe Enea, sopravvissuto ai dieci anni della guerra di Troia e alle disavventure per il Mediterraneo, comandante che non combatte per sé e per il proprio interesse, ma per il numen ossia la volontà degli dei, non si esalta per la sua virtù militare, ma mostra uno spirito di sacrificio e una capacità di abnegazione straordinari, non scevre di un’umanità sorprendente: la devozione per gli dei, l’amore per la patria, per il padre Anchise, per la moglie Creusa, per il figlio Ascanio.

Dall’altra parte, il forte Turno, orgoglioso e sicuro di sé, che ha appena deciso di affrontare a duello l’avversario, è preso dal furor, da una passionalità sfrenata, che rende la mente incapace di riflettere e di capire quale sia la strada migliore da percorrere. Certo, in Virgilio non compare la lotta tra furor e ratio, tra odium e amor, tra mala mens e bona mens tipica della tragedia senecana. Non c’è la lotta interiore dei personaggi tragici. Come Enea rappresenta l’eroe e il bene, Turno incarna invece una forza asservita ad una crudeltà efferata, priva di sensibilità umana.

Turno comunica la decisione del duello a re Latino, che si oppone non volendo che il giovane possa trovare la morte nello scontro. Anche la regina Amata non desidera che Turno combatta, perché non vuole avere per genero Enea. La figlia Lavinia, contesa tra Enea e Turno, accompagna col suo pianto le lacrime della madre. La reazione della ragazza non è segno certo del suo amore per Turno. Non c’è traccia nei versi virgiliani del suo amore per quel capo, mentre lo scrittore ci avverte del sentimento di lui. «L’amore turba lui» e lo sprona a combattere per lei sul campo di battaglia lanciando la sfida:

[…] dirimiamo la guerra col nostro sangue

noi due: e uno sul campo otterrà Lavinia in sposa.

Turno si compiace delle sue armi: i cavalli donati dall’ateniese Orizia, la spada, la lancia. Pure Enea può vantare un’armatura celestiale.

L’indomani i due eserciti si dispongono in modo da creare lo spazio in cui avverrà il duello finale. Si presentano Enea con Iulo da una parte, dall’altra Latino e Turno. Giunone sta però tramando perché si rompano i patti. Si reca dalla ninfa Giuturna, sorella di Turno, perché sobilli i Rutuli impedendo il duello. Sotto le sembianze di Camerte, la ninfa accende i Rutuli allo scontro:

            Non vi fa vergogna, Rutuli, esporre un’unica vita

            Per tanti e valenti che siamo? Non siamo pari di numero

            E di forze? […]

I giovani tra i Rutuli s’infiammano. Giuturna aggiunge poi un segno dal cielo: l’aquila di Giove caccia gli uccelli da riva e cattura «con gli artigli spietati un cigno stupendo». Allora, tutti gli uccelli invertono la rotta e incalzano il rapace finché non lascia la preda e non si dilegua. I Rutuli interpretano l’auspicio favorevole allo scontro. L’indovino Tolumnio accoglie il segnale del cielo e lancia per primo l’asta contro il nemico colpendo un giovane «di rara bellezza e d’armi fulgenti» e stendendolo «sulla sabbia rossiccia».

 Gli otto fratelli del giovane defunto sguainano la spada. Troiani ed Etruschi sono in breve pronti ad attaccare i Rutuli. Tutti vogliono di nuovo decidere la rivalità con le armi.

Solo Enea, pietoso fino all’ultimo libro, richiama all’ordine, al rispetto dei patti, convinto che le controversie debbano essere risolte senza lo spargimento di sangue dei popoli:

Dove correte? Cos’è questa improvvisa sommossa?

Sedate la rabbia! Il patto è concluso, concordate le clausole:

io solo ho diritto di scendere in campo; datemi modo

di farlo, e cacciate le vostre paure!  Garantirò io

gli accordi con mano fermissima. I riti mi assegnano Turno.

Mentre così parla, una freccia lo colpisce ad un braccio e lo costringe alla fuga.  Insuperbito, Turno chiede le armi e il cavallo e inizia la strage degli avversari. Virgilio ne descrive la furia omicida di chi non ha pietà, umanità, sensibilità di fronte al dolore e alla sofferenza. Turno schiaccia interi reparti col suo carro e scanna molti nemici. L’elenco dei morti è lungo e occupa una cinquantina di versi. Con queste descrizioni truculente, non accompagnate dalla retorica paludata e belligerante, il poeta trasmette ancor più il sentimento della precarietà dell’esistenza e della caducità di tutto.

La tregua è ormai del tutto infranta. La guerra è di nuovo accesa.

Se da un parte il comandante sparge sangue, dalla parte dei troiani il capo Enea è trasportato nella tenda e Iapige estrae la freccia, medicando la ferita con bende che sono state immerse in un catino ove Venere ha versato dittamo (una sorta di origano), ambrosia e una «panacea profumata». Subito la ferita è rimarginata.

Enea è pronto al combattimento. Prima, però, vuole lasciare un insegnamento al figlio Ascanio:

            Impara, figlioletto, da me il coraggio e il sacrificio,

            la fortuna da altri: ora sarà il mio braccio a proteggerti

            in guerra, e ti condurrà dove la gloria si merita.

            Tu, quando sarai maturato con gli anni, fa’ in modo

            Di ricordartene, e rievocando le gesta di casa,

            ti sproni l’esempio di Enea, tuo padre, e dello zio Ettore.