Venezuela, la guerra prossima ventura
La concentrazione di forze americane nei Caraibi non può essere giustificata come "lotta al narcotraffico". Trump punta a rovesciare il regime di Maduro in Venezuela. In cambio chiude un occhio sull'Ucraina, ragionando per "sfere di influenza".
Lo storico militare Basil Liddel Hart così scriveva nel 1935, con riferimento allo scoppio della Prima guerra mondiale. «In tempo di pace la tecnica militare è così impotente da scatenare la guerra; in tempo di guerra è così impotente da non riuscire ad assicurarsi la vittoria». “Studiare” la guerra non significa amarla o apprezzarne i supposti benefici, non più di quanto un medico “studi” le epidemie. Non solo: permette di individuare gli errori del passato per cercare di impedirne la ripetizione. Nel mondo di oggi, tuttavia, tale studio sembra del tutto inutile perché la guerra non è “studiata” e non è perciò prevenuta.
La storia dell’ultimo secolo è molto affollata di guerre “brevi e facili” che si prolungano nel tempo, determinando anche la disfatta di chi le aveva iniziate, a partire dall’invasione dell’Urss del 1941 quando Adolf Hitler aveva detto: «basterà dare un calcio alla porta e tutta quella marcia impalcatura crollerà». Similmente ciò è avvenuto anche per le occupazioni dell’Afghanistan nel 1979 e nel 2001, per l’attacco alla Libia del 2011, per l’invasione dell’Iraq nel 2003 e anche per quella dell’Ucraina nel 2022. In particolare, questi ultimi due casi sono stati preceduti dal concentramento di truppe al confine a scopo intimidatorio, per fare pressione sui paesi obbiettivo dell’attacco, salvo poi accorgersi che i governi di tali paesi non cedevano a tale minaccia. A quel punto le potenze attaccanti (rispettivamente Usa e Russia) non potevano più ritirarsi senza perdere la reputazione ed era necessario procedere all’offensiva, anche se, nel 2022, quotati analisti e giornalisti negarono fino all’ultimo momento e persino dopo i primi bombardamenti che la Russia intendesse muovere guerra all’Ucraina.
Oggi, nei Caraibi, la situazione si sta ripetendo con la concentrazione di forze aeronavali americane nei confronti del Venezuela, descritto come Stato canaglia e centrale di traffico di stupefacenti. Identiche motivazioni furono fornite dalla presidenza Bush senior per procedere all’operazione “Giusta causa” e cioè all’attacco a Panama nel dicembre 1989 che, giustamente, fu condannato dall’assemblea generale dell’ONU.
In effetti il Venezuela è il “grande malato” dell’America Latina e diffonde disordine e illegalità in tutto il continente. Ad esempio, il Tren de Aragua (Aragua è uno Stato del Venezuela), è un’organizzazione mafiosa con circa cinquemila aderenti, particolarmente diffuso in Colombia, Perù, Brasile e, soprattutto in Cile. La ferocia di queste gang ha portato alla nascita di sentimenti xenofobi contro gli immigrati venezuelani. Il Tren de Aragua è presente anche nelle principali città americane, costituendo una minaccia a quella sicurezza interna che è obbiettivo primario della presidenza Trump. I legami tra la mafia e il governo di Maduro sono stati rilevati dalle autorità cilene che hanno accusato il ministro degli interni del Venezuela, Diosdado Cabello di essere il mandante dell’omicidio dell’oppositore Ronald Ojeda, assassinato dal Tren.
A fronte di tale situazione, Trump ha concentrato imponenti forze aeronavali, tra cui la grande portaerei Ford e circa 10mila soldati nell’area. Tali forze hanno più volte attaccato il traffico di naviglio leggero sulle coste venezuelane, distruggendo numerosi barchini sospetti di trasportare stupefacenti con la morte di quasi novanta persone. Va notato che tali uccisioni sono state compiute senza accertare se si trattasse di trafficanti di droga (che comunque andavano arrestati e processati) o di semplici pescatori. Se l’obbiettivo di Trump fosse quello della lotta al traffico di stupefacenti bisognerebbe anche ammettere che il Venezuela rappresenta solo il 5% di tale fenomeno e che la lotta finanziaria ai cartelli è molto più efficace e molto meno costosa dello spostamento, per mesi, di una task force delle citate dimensioni. Inoltre il Maritime Drug Law Enforcemente Act autorizza l’abbordaggio e la cattura, ma non la distruzione delle imbarcazioni: l’azione di Trump è, secondo le leggi americane, totalmente illegale e le dichiarazioni del presidente secondo cui ogni imbarcazione distrutta salva 25mila vite americane sono completamente prive di ogni fondamento, dato che non si sa nemmeno se quelle barche trasportavano tonni o cocaina. Non solo: se i morti di overdose negli Stati Uniti sono 73mila all’anno la distruzione di solo cinque barche comporterebbe la salvezza di 125mila americani.
In realtà l’obbiettivo di Trump è del tutto geopolitico. Da anni il Venezuela, il paese con le maggiori riserve di petrolio al mondo, è una testa di ponte per Russia e Cina e gli Stati Uniti non possono permettersi di avere una gigantesca Cuba nel cortile di casa. “Unendo i puntini” per così dire, si può ipotizzare anche un collegamento con il documento in 28 punti inizialmente sottoposto al governo ucraino come un “Vae victis” di romana memoria e oggi sottoposto a necessarie revisioni, a causa della sua formulazione estremamente confusa.
Con la divisione delle zone d’influenza nel mondo, nel disprezzo del diritto internazionale, la Russia non obbietterebbe a un’azione americana contro il Venezuela, le cui forze militari sarebbero sicuramente incenerite. Ma c’è un motto nella storia militare per cui “l’artiglieria conquista, la fanteria occupa”. Ebbene come possono 10mila marines controllare uno stato che è il doppio dell’Ucraina? E l’auspicato regime change non porterebbe soltanto a una guerra civile e a un maggior coinvolgimento americano con “stivali sul terreno”? Razionalmente e ragionevolmente, un attacco americano al Venezuela sarebbe non giustificabile ma, come si è visto, in questi anni, la ragione non abita più nel nostro mondo.

