Venezia, il MoSe che non c'è e le alternative rifiutate
L'allagamento di Venezia ha fatto immediatamente riemergere la domanda sul MoSe, quel sistema di paratie concepito già 35 anni fa per frenare l'acqua alta e difendere la città, e che dovrebbe essere consegnato alla città a dicembre 2021. Ma intanto restano inascoltate gli avvertimenti e le proposte complementari. Parlano Panza e Gambolati.
«Se l’avessi chiamata qualche giorno fa per dirle che a Venezia c’è un problema, lei mi avrebbe detto “ne parliamo un’altra volta”. Ecco, il problema dell’Italia è qui». A parlare è il professore Giuliano Francesco Panza, già geofisico dell’Università di Trieste e accademico dei Lincei. Il problema, in altre parole, è quello di intervenire sempre il giorno dopo, nell’emergenza, mai pensare prima a ciò che si può fare per prevenire o ridurre i danni. «È novembre – ci dice al telefono -, piove e a Venezia c’è l’acqua alta, accade ogni anno». Però non ogni anno il livello del mare sale di 1.87 metri, l’ultima volta è stato nel 1966: «Certo, è un evento raro, ma questo non significa che non accada, e la prevenzione deve tenere conto di ciò che è possibile, non di ciò che è probabile».
In realtà a Venezia qualcosa si è provato a fare: nel 1984 è stato approvato il progetto del MoSe, un sistema composto di 78 paratoie che si dovrebbero alzare, e quindi proteggere la città, quando la marea monta oltre i 110 centimetri. Ma tra opposizioni, ricorsi, lentezza dei lavori, inchieste per corruzione e infine commissariamento, Venezia è ancora lì che aspetta. Ora la data prevista per la consegna definitiva della struttura è dicembre 2021, ma non è detto che sia la soluzione di tutti i problemi. Anzi… il professor Panza, che nel 2018 ha ricevuto il premio internazionale dell’American Geophysical Union, unico italiano in cento anni, già nel 2014 aveva presentato uno studio che rappresentava un possibile scenario e poneva un’inquietante domanda: cosa succederebbe in caso di evento sismico con conseguente maremoto se il MoSe fosse in azione? La risposta non è tranquillizzante: con le paratie alzate, l’acqua rimarrebbe intrappolata all’interno – ovvero tra le paratie e la terraferma – e lo sciacquamento causato dal terremoto sarebbe devastante per la laguna.
Non è per gufare, ma per sano realismo. Chiediamo: che frequenza hanno i terremoti in laguna? «Ecco, lei pone la domanda sbagliata che è indotta dalla mentalità dominante. Il punto è: di terremoti ce ne sono stati? Sì. E allora non importa quando, perché i terremoti non hanno periodi di ritorno. Arrivano quando arrivano. Guardi il caso dell’Umbria: ha subito tre terremoti devastanti nel giro di 35 anni, che non erano prevedibili stando alla serie storica precedente. E l’ultimo a Norcia, nel 2016, ha distrutto tantissimi edifici malgrado ci fosse stata la ricostruzione dopo quello del 1997 nel rispetto delle norme antisismiche. Perché? Semplice, la normativa si fa su calcoli probabilistici e così si sottostima il pericolo. Bisognerebbe invece valutare il pericolo sul concetto di massimo terremoto credibile, ricavabile sia dalla storia sismica del luogo sia dallo studio attuale del territorio».
Tornando a Venezia, in effetti nella storia si sono verificati terremoti importanti: negli annali della città si ricordano distruzioni nell’XI e XII secolo e anche nel XIV, con almeno due importanti maremoti: nel 1106, che inghiottì l’antica isola Malamocco, e nel 1348. Altri terremoti hanno interessato la città lagunare anche nei secoli seguenti, anche se di minore intensità, tanto che la protezione civile parla di “calma sismica”. Ma appunto, il terremoto se ne infischia delle statistiche e del calcolo delle probabilità. Quindi? Si deve dichiarare pericoloso il MoSe? «No, si deve prevenire – replica il professor Panza, autore (insieme ad Antonella Peresan) di un recente libro dal titolo eloquente “Difendersi dal terremoto si può” (Epc editore) –; probabilmente basterebbe un fusibile nel sistema MoSe per garantire che le paratie si abbassino in caso di terremoto. In ogni caso gli ingegneri possono trovare delle soluzioni, devono solo essere informati sulle esigenze». Cosa però di cui si può dubitare che accada.
Così come nessuno ha prestato ascolto a una proposta originale avanzata da un altro studioso italiano, il professor Giuseppe Gambolati, del Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’Università di Padova. Il progetto dettagliato è contenuto in un libretto intitolato “Venice shall rise again” (Elsevier Insights), scritto insieme a un suo allievo, Pietro Teatini, e pubblicato nel 2014. L’idea è all’apparenza semplice: iniezioni di acqua salata nelle formazioni rocciose a 600-1000 metri di profondità sotto la laguna: «È il contrario della subsidenza – dice alla NBQ il professor Gambolati -, vale a dire l’abbassamento del suolo dovuto all’estrazione di petrolio, gas, acqua». Gambolati, che di subsidenza è un esperto, suggerisce dunque di fare il procedimento inverso, perché l’acqua così iniettata farebbe espandere il terreno, anche in superficie. Risultato previsto? Venezia si eleverebbe di 25-30 centimetri in dieci anni. Ci sono precedenti? «Per sollevare una città, no, sarebbe la prima volta. Ma questa tecnologia, questo procedimento si usa già, per incentivare la produzione di gas e petrolio o anche per rimettere l’acqua nelle falde». Costo? «Il progetto per Venezia che abbiamo preparato stima 200 milioni di euro».
Una sciocchezza rispetto al MoSe che finora è già costato 5 miliardi e mezzo, non c’è da sorprendersi che non abbia avuto grande accoglienza: «All’estero di questo progetto si è discusso molto – afferma il professor Gambolati – ma in Italia abbiamo trovato un muro». È stato presentato al Consorzio Venezia Nuova, a cui già a metà degli anni ’80 dello scorso secolo era stata affidata la realizzazione del MoSe, lo stesso consorzio poi al centro dello scandalo mazzette che tra il 2013 e il 2014 ha provocato un cataclisma istituzionale e ha poi portato al commissariamento dell’opera. «Entrare nel Consorzio era impossibile, era blindato attorno alla lobby del MoSe. E malgrado abbiamo presentato il nostro progetto come complementare è stato comunque visto come proposta alternativa, così che avviare un dibattito è stato impossibile».
In effetti, trenta centimetri in dieci anni possono sembrare poca cosa rispetto a eventi come anche quello di questi giorni: «In realtà non è poco; anche considerando quello che è accaduto in questi giorni, una marea di 30 cm più bassa sarebbe già meno devastante, ma soprattutto permetterebbe di evitare quei micro-allagamenti che a Venezia sono molto comuni in questa stagione».