Venezia e quei vescovi che fanno il tifo per la moschea
Anche il patriarca di Venezia si accoda a molti altri vescovi italiani, da Firenze a Crema, e auspica presto una moschea nella sua città. Leggerezza? Ingenuità? Ignoranza? Strumentalità? Profetismo improvvisato? Si tratta di relativismo religioso e va respinto per molti motivi. Ecco quali.
Accade spesso che dalle diocesi e da singoli vescovi arrivino buoni auspici per la costruzione di moschee nelle nostre città. Nei giorni scorsi è stata la volta del Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che a seguito della sua visita al Centro islamico di preghiera di Marghera, ha detto che i tempi sono maturi per una moschea anche a Venezia. La mente di quanti hanno letto la notizia sarà forse andata al cardinale Betori, vescovo di Firenze, che ha venduto un terreno di proprietà diocesana nel comune di Sesto Fiorentino per la costruzione di una moschea. Anche il vescovo di Pisa, mons. Benotto, nel marzo dell’anno scorso, aveva chiesto alla giunta comunale un impegno per costruire una moschea. Nel recente passato ci avevano pensato i vescovi di Crema e tanti altri. Sembra che si sia aperta una gara.
Molti non capiscono queste prese di posizione e, se motivazioni ci sono, non le condividono. La Chiesa cattolica può essere interessata alla buona convivenza (da precisarsi) con le comunità islamiche, ma perché dovrebbe investire, in tutti i sensi, per la costruzione di moschee e favorire l’espansione di altre religioni?
La cosa potrebbe avere un senso se nelle altre religioni ci fosse qualche possibilità di salvezza cristiana. Così, però, non è. Il buono eventualmente presente in forma frammentaria nelle altre religioni dipende dagli spezzoni di legge naturale presenti in esse, ma nessun fondatore di religioni, compreso Maometto, può essere considerato un precursore di Cristo o un profeta. Dal punto di vista della legge naturale, siccome tutti siamo uomini con la presenza nella nostra coscienza delle leggi auree di questa legge non scritta, c’è del buono anche nelle altre religioni. Ma dal punto di vista strettamente religioso, la religio vera è una sola, e quindi essa sola è salvifica. Gli stessi elementi della legge naturale sono presenti nelle altre religioni, spesso sono da esse soffocati e stravolti, spesso sono come sepolti e non possono essere pienamente vissuti nemmeno essi al di fuori della religio vera.
Dopo la dichiarazione di Abu Dhabi molti pensano che Dio abbia voluto anche le altre religioni e quindi che anche in esse si potrebbe incontrarlo nella sua auto-comunicazione. Questo ha forse prodotto un nuovo clima che spinge qualche vescovo a premere per avere la moschea. Forse il principio liberale della libertà di religione a poco a poco ha convinto molti che l’obiettivo principale del cristianesimo sia appunto di costruire una società multi-religiosa. Ma in ambedue i casi bisogna rinunciare a delle verità importanti della religione cattolica, prima da tutti che solo Gesù Cristo è il Signore e che solo in Lui c’è salvezza.
Del resto si potrebbe anche chiedere ai vescovi che vogliono la moschea: dove vi fermerete nel chiedere luoghi di culto o di preghiera per le altre religioni? Perché fermarsi a chiedere solo la moschea per gli islamici? E gli altri? C’è un criterio per valutare religione e religione? Oppure è lecito chiedere la costruzione di luoghi di culto per ogni religione? Anche quelle di nuova generazione? Anche quelle usa e getta che si acquistano al supermercato delle religioni? Se non c’è un criterio, allora la richiesta è indifferente alla verità delle religioni e le mette tutte sullo stesso piano.
Questo si chiama però relativismo religioso, che i vescovi-richiedenti-moschea senz’altro escludono. Dato che i musulmani sono ormai di numero consistente, i tempi sono maturi per la moschea. E' forse dunque quantitativo l’unico criterio? Ma allora, se domani gli adepti di una qualsiasi setta religiosa aumentassero di numero, bisognerebbe che da parte cattolica si chiedesse anche per loro un luogo di culto? Questo relativismo quantitativo è uguale a quello qualitativo.
C’è poi un altro aspetto che stupisce nella richiesta di moschee da parte di vescovi. Forse si ritiene che la moschea sia solamente un luogo di preghiera, ossia un luogo religioso. Tutti gli studiosi dell’islam però ci dicono che le cose stanno diversamente. La moschea è sì luogo di preghiera, ma anche di solidarietà, di educazione e istruzione, di mantenimento e consolidamento della Umma, la comunità islamica … la moschea è un fatto territoriale, è occupazione di un territorio, essa appartiene alla “terra dell’islam”, ossia alla terra ove vige la legge islamica, ha quindi un significato anche politico e giuridico: la Carta di Medina stabilita da Maometto dice che “i musulmani sono una Umma unica, con l’esclusione di tutti gli altri”. Al di fuori della “terra dell’islam” c’è la “terra dell’infedeltà” e conquistarla è un dovere collettivo. Il filosofo Remi Brague diceva: pensiamo di importare una religione, invece importiamo una civiltà.
Da questo ultimo punto di vista, la richiesta di costruzione di moschee da parte di vescovi italiani si presta anche alla critica da parte dei principi della Dottrina sociale della Chiesa: la moschea è un luogo nel quale molti di quei principi sono annullati. Leggerezza? Ingenuità? Ignoranza? Strumentalità? Profetismo improvvisato?