Venerdì Santo, il mistero di Giuda
San Pietro, il predicatore della Casa Pontificia padre Raniero Cantalamessa ha offerto un’impressionante riflessione sulla figura di Giuda. «Non era nato traditore e non lo era al momento di essere scelto da Gesù; lo divenne».
Il 18 aprile 2014, Venerdì Santo, Papa Francesco ha presieduto in San Pietro la celebrazione della Passione del Signore e ha quindi compiuto la tradizionale Via Crucis al Colosseo. Il Papa si è limitato a brevi saluti e ai gesti tanto significativi del Giorno della Passione, lasciando spazio alle meditazioni dell’arcivescovo di Campobasso mons. Giancarlo Bregantini al Colosseo e all’omelia del predicatore della Casa Pontificia padre Raniero Cantalamessa in San Pietro. Mentre mons. Bregantini ha proposto una meditazione sui drammi del mondo di oggi, le conseguenze della crisi economica, le problematiche e i mali del Sud dell’Italia, padre Cantalamessa ha offerto un’impressionante riflessione sulla figura di Giuda. «La primitiva comunità cristiana – ha detto il religioso – ha molto riflettuto sulla vicenda di Giuda e noi faremmo male a non fare altrettanto. Essa ha tanto da dirci».
«Giuda non era nato traditore e non lo era al momento di essere scelto da Gesù; lo divenne!». Ma perché lo divenne? Gli Augias di questo mondo ci hanno offerto il consueto sciocchezzaio anche su Giuda. «In anni non lontani – ha detto Cantalamessa –, quando era di moda la tesi del Gesù “rivoluzionario”, si è cercato di dare al suo gesto delle motivazioni ideali. Qualcuno ha visto nel suo soprannome di “Iscariota” una deformazione di “sicariota”, cioè appartenente al gruppo di zeloti estremisti che agivano da “sicari” contro i romani; altri hanno pensato che Giuda fosse deluso dal modo con cui Gesù portava avanti la sua idea del “regno di Dio” e che volesse forzargli la mano ad agire anche sul piano politico contro i pagani. È il Giuda del celebre musical “Jesus Christ Superstar” e di altri spettacoli e romanzi recenti». Queste teorie potranno avere talora, ha spiegato il religioso, «qualche dignità letteraria o artistica, ma non hanno alcun fondamento storico».
Dai Vangeli ricaviamo che Giuda, che «era un ladro» (Giovanni 12,6) e aveva già rubato dalla cassa comune degli apostoli, tradì per denaro. «Ma perché meravigliarsi di questa spiegazione e trovarla troppo banale? Non è stato forse quasi sempre così nella storia e non è ancora oggi così? Mammona, il denaro, non è uno dei tanti idoli; è l’idolo per antonomasia». Certo – Papa Francesco lo ricorda continuamente – il nemico dell’uomo è Satana. «Ma nessun uomo decide di servire, senza motivo, Satana. Se lo fa, è perché crede di ottenere da lui qualche potere o qualche beneficio temporale. Chi è, nei fatti, l’altro padrone, l’anti-Dio, ce lo dice chiaramente Gesù: “Nessuno può servire a due padroni: non potete servire a Dio e a Mammona” (Matteo, 6, 24). Il denaro è il “dio visibile” (W. Shakespeare, “Timone d’Atene”, atto iv, sc. 3.), a differenza del Dio vero che è invisibile».
Nella sua prefazione al libro del cardinale Müller «Povera per i poveri» Papa Francesco ha spiegato che il denaro non è cattivo in sé. È invece l’avidità, «l’attaccamento al denaro — afferma san Paolo — [che] è la radice di tutti i mali» (1 Timoteo, 6, 10). «Dietro ogni male della nostra società – commenta Padre Cantalamessa – c’è il denaro, o almeno c’è anche il denaro. Esso è il Moloch di biblica memoria, a cui venivano immolati giovani e fanciulle (cfr. Geremia, 32, 35), o il dio Azteco, cui bisognava offrire quotidianamente un certo numero di cuori umani. Cosa c’è dietro il commercio della droga che distrugge tante vite umane, lo sfruttamento della prostituzione, il fenomeno delle varie mafie, la corruzione politica, la fabbricazione e il commercio delle armi, e perfino — cosa orribile a dirsi — alla vendita di organi umani tolti a dei bambini? E la crisi finanziaria che il mondo ha attraversato e che questo Paese sta ancora attraversando, non è dovuta in buona parte all’“esecranda bramosia di denaro”, l’“auri sacra fames”, (Virgilio, “Eneide”, 3. 56-57) da parte di pochi? Giuda cominciò con sottrarre qualche denaro dalla cassa comune. Dice niente questo a certi amministratori del denaro pubblico?». O a coloro, ha aggiunto, che percepiscono stipendi o pensioni «d’oro», «cento volte superiori a quelli di chi lavora alle loro dipendenze», cui non vogliono rinunciare neppure in tempi di crisi economica?
La brama di denaro, il Denaro con la D maiuscola diventato idolo, è il principale strumento di Satana. «Negli anni Settanta e Ottanta, per spiegare, in Italia, gli improvvisi rovesciamenti politici, i giochi occulti di potere, il terrorismo e i misteri di ogni genere da cui era afflitta la convivenza civile, si andò affermando l’idea, quasi mitica, dell’esistenza di un “grande Vecchio”: un personaggio scaltrissimo e potente che da dietro le quinte avrebbe mosso le fila di tutto, per fini a lui solo noti. Questo “grande Vecchio” esiste davvero, non è un mito; si chiama Denaro!». Il denaro, come gli idoli e il Diavolo stesso, è «falso e bugiardo»: «promette la sicurezza e invece la toglie; promette libertà e invece la distrugge». Lo abbiamo visto, ha affermato il predicatore della Casa Pontificia, nella rovina di tanti grandi della politica e dell’economia, caduti a causa della corruzione e ultimamente della smania del denaro. «Per chi l’hanno fatto? Ne valeva la pena? Hanno fatto davvero il bene dei figli e della famiglia, o del partito, se è questo che cercavano? O non hanno piuttosto rovinato se stessi e gli altri? Il dio denaro si incarica di punire lui stesso i suoi adoratori».
«Il tradimento di Giuda continua nella storia e il tradito è sempre lui, Gesù». Attenzione, però: «il tradimento di Giuda non continua solo nei casi clamorosi che ho evocato. Sarebbe comodo per noi pensarlo, ma non è così». Continua in tutti noi. «Tradisce Gesù chiunque tradisce la propria coscienza. Posso tradirlo anch’io, in questo momento — e la cosa mi fa tremare — se mentre predico su Giuda mi preoccupo dell’approvazione dell’uditorio più che di partecipare all’immensa pena del Salvatore. Giuda aveva un’attenuante che noi non abbiamo. Egli non sapeva chi era Gesù, lo riteneva solo “un uomo giusto”; non sapeva che era il Figlio di Dio, noi sì».
Padre Cantalamessa ha evocato un brano musicale particolarmente caro a Benedetto XVI, la «Passione secondo San Matteo» di Johann Sebastian Bach (1685-1750). Qui, ha ricordato il religioso, «all’annuncio del tradimento di Giuda, lì tutti gli apostoli domandano a Gesù: “Sono forse io, Signore?”. Prima però di farci ascoltare la risposta di Cristo, annullando ogni distanza tra l’evento e la sua commemorazione, il compositore inserisce un corale che inizia così: “Sono io, sono io il traditore! Io devo fare penitenza!”». Sono io, siamo noi. Tutti in qualche momento della nostra vita siamo Giuda.
Quanto al Giuda nella storia, la sua fine è un mistero su cui «non diamo un giudizio affrettato. Gesù non ha mai abbandonato Giuda e nessuno sa dove egli è caduto nel momento in cui si è lanciato dall’albero con la corda al collo: se nelle mani di Satana o in quelle di Dio». Tra l’albero e la morte perfino Giuda potrebbe essersi ancora pentito. Certo, non ci rendono ottimisti sul destino di Giuda le parole di Gesù: «Nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione» (Giovanni, 17, 12), e «Meglio sarebbe per quell’uomo se non fosse mai nato» (Marco, 14, 21). E tuttavia «il destino eterno della creatura è un segreto inviolabile di Dio. La Chiesa ci assicura che un uomo o una donna proclamati santi sono nella beatitudine eterna; ma di nessuno essa stessa sa che è certamente all’inferno».
«La cosa più grande nella vicenda di Giuda – ha concluso padre Cantalamessa – non è il suo tradimento, ma la risposta che Gesù dà a esso. Egli sapeva bene cosa stava maturando nel cuore del suo discepolo; ma non lo espone, vuole dargli la possibilità fino all’ultimo di tornare indietro, quasi lo protegge», come protegge Pietro nel momento in cui lo rinnega. «Che faremo dunque noi? Chi seguiremo, Giuda o Pietro? Pietro ebbe rimorso di quello che aveva fatto, ma anche Giuda ebbe rimorso, tanto che gridò: “Ho tradito sangue innocente!” e restituì i trenta denari. Dov’è allora la differenza? In una cosa sola: Pietro ebbe fiducia nella misericordia di Cristo, Giuda no! Il più grande peccato di Giuda non fu aver tradito Gesù, ma aver dubitato della sua misericordia».
Dunque, mentre meditiamo sul mistero di Giuda, «se lo abbiamo imitato, chi più chi meno, nel tradimento, non lo imitiamo in questa sua mancanza di fiducia nel perdono. Esiste un sacramento nel quale è possibile fare una esperienza sicura della misericordia di Cristo: il sacramento della riconciliazione. Quanto è bello questo sacramento! È dolce sperimentare Gesù come maestro, come Signore, ma ancora più dolce sperimentarlo come Redentore: come colui che ti tira fuori dal baratro». Al cuore del Magistero di Papa Francesco sta l’invito alla Confessione. Ascoltiamolo, in questo tempo di Pasqua.
E ascoltiamo, seguendo l’invito di Padre Cantalamessa, la preghiera per la mattina di Pasqua di un grande scrittore convertito, Paul Claudel (1868-1955): «Mio Dio, sono risuscitato e sono ancora con Te! Dormivo ed ero steso come un morto nella notte. Hai detto: “Sia la luce!” E io mi sono svegliato come si getta un grido! [...] Padre mio che mi hai generato prima dell’Aurora, sono alla tua presenza. Il mio cuore è libero e la bocca mondata, corpo e spirito sono a digiuno. Sono assolto di tutti i peccati, che ho confessati uno ad uno. L’anello nuziale è al mio dito e il mio volto è pulito. Sono come un essere innocente nella grazia che mi hai concessa». «Questo può fare di noi la Pasqua di Cristo».