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ADOZIONI

Vendola e l’arroganza Arcigay: ecco cosa ci aspetta

Il caso Vendola che ha ottenuto un figlio con l’utero in affitto e la decisione dell’associazionismo gay di scendere in piazza il 5 marzo dicono quanta arroganza e voglia di potere ci sia nel mondo arcobaleno. Che non s’accontenta della legge Cirinnà sulle unioni civili, ma reclama ancora di più.

Politica 01_03_2016
Manifestazione a favore del ddl Cirinnà

Chi pensa che il mondo omosessuale esulti di gioia per l’approvazione delle Unioni civili non conosce bene la psicologia e la strategia dei militanti gay. Ad esempio, l’Arcigay è arciarrabbiato per il fatto che nel testo dell’onorevole Cirinnà non compaia esplicitamente la facoltà per le coppie omosessuali di adottare un figlio con le stesse identiche modalità disponibili per le coppie etero (in realtà, come la Bussola ha già spiegato, tale opzione sarà percorribile per via giudiziaria). 

Per far sentire tutta la sua rabbia l’Arcigay ha indetto una manifestazione per il 5 marzo a Roma dal titolo “Ora basta. L’Italia laica alza la voce”. Interessante per più motivi il comunicato stampa emanato dall’associazione che dà notizia dell’evento. Riportiamo qui solo qualche stralcio: «Ora diciamo basta. Basta compromessi al ribasso sulle nostre vite. Basta discriminazioni, basta umiliazioni, basta giochi politici sulla nostra pelle e su quella delle nostre bambine e dei nostri bambini. Ora diciamo basta a chi non riconosce le nostre famiglie e non ci ha riconosciuto come genitori in grado di crescere i nostri figli al meglio, con tutto l’amore di cui siamo capaci. Ora diciamo basta a chi ha messo i nostri amori su un gradino più basso. Come amori meno forti, meno affidabili, meno bisognosi di essere tutelati». 

«Non abbiamo aspettato 30 anni», prosegue il comunicato, «per un testo di legge privo di diritti nei confronti della parte che più andava tutelata: le nostre figlie e i nostri figli. […] Ora basta, davvero. In questo Paese, per le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali è tempo di alzare la posta, puntare alto a tutto quello che ci spetta. È tempo di alzare la voce. […] Il 5 marzo alzerà la voce l’Italia che ama i diritti, pieni, certi. Un’Italia davvero laica, civile, libera ed egualitaria. Un’Italia in cui la sessualità sia consapevole e sposarsi non sia più un privilegio. Ma soprattutto, il 5 marzo alzeremo la voce per chi una voce ancora non ce l’ha: tutte quelle migliaia di figlie e figli che hanno il diritto di vivere una vita serena con le loro due mamme e i loro due papà. E tutti quei bambini e quelle bambine che una famiglia purtroppo non ce l’hanno e che avrebbero tutto il diritto di essere adottati da chi potrebbe dare loro amore e cura. Ora basta, alziamo la voce. Scendiamo in piazza per l’unica cosa che vogliamo davvero: uguaglianza».

Il comunicato è illuminante per diverse ragioni. Innanzitutto l’Arcigay – e sicuramente buona parte dell’associazionismo arcobaleno e molti liberi pensatori gay – non sono paghi della vittoria in Parlamento. A scenari ribaltati, i cattolici se, per pura ipotesi di fantasia, avessero ottenuto una vittoria simile a favore dei principi non negoziabili, il giorno dopo avrebbero chiesto scusa a tutti e si sarebbero affrettati a tranquillizzare l’opinione pubblica e i politici sul fatto che non era loro intenzione continuare la battaglia su altri fronti quali la famiglia, l’educazione, la vita. A tal proposito come non ricordare l’infelice uscita dell’allora presidente della Cei, il cardinal Camillo Ruini, quando nel 2005, all’indomani della vittoria referendaria sulla legge 40 concernente la fecondazione artificiale, affermò in televisione che non era intenzione dei cattolici cambiare una virgola della 194, legge che ha legittimato l’aborto in Italia? Gli attivisti gay, invece, hanno applicato benissimo una regola aurea degli scontri napoleonici: quando il nemico è stato sconfitto e, ormai allo sbando, batte in ritirata, quello è il momento migliore per inseguirlo con la cavalleria e sterminarlo definitivamente. Questo Parlamento può e deve essere spremuto fino in fondo.

Ecco quindi che, appena ottenuto il “matrimonio” gay, si rilancia e si chiede la possibilità di adottare non solo il figliastro del partner ma qualsiasi bambino, così come avviene per le coppie eterosessuali. Infatti, per la prima volta il comunicato dell’Arcigay non insiste più tanto sulle rivendicazioni delle persone omosessuali, bensì il baricentro si è spostato in modo strumentale sui bambini e i loro diritti. Il fronte dell’attacco è avanzato molto più in là e in tempi strettissimi. Stiamo assistendo in questi giorni ad un’accelerazione fortissima del processo di disgregazione della famiglia: la Cirinnà ha annunciato un disegno di legge sulla stepchild e il ministro Boschi ha fatto sapere che occorre rimettere mano addirittura a tutta la materia sulle adozioni affinché anche le persone omosessuali possano accedere pienamente a questo istituto. Le Unioni civili erano solo la prima crepa nella diga sul diritto di famiglia. Nello scontro per la rivoluzione antropologica giocano poi un ruolo fondamentale le cosiddette punte di lancia. Cioè fatti avvertiti dall’opinione pubblica come estremi, ma che in realtà preconizzano fenomeni che diventeranno di massa. Sono avvenimenti apripista. 

Uno di questi è la notizia, che cade a fagiolo in queste ore, che Nichi Vendola e il suo compagno Eddy Testa hanno stretto tra le loro braccia un bambino, di nome Tobia Antonio, avuto tramite maternità surrogata praticata in California: utero preso a prestito da una donna, ovocita di un’altra donna e gamete maschile del compagno Eddy. Insomma, questa bambino è figlio di tutti fuorché di Vendola. Il nonno Nichi – a 57 anni è dura diventare padri – afferma che la maternità surrogata non c’entra un bel nulla nella loro storia di genitori perché «questo bambino è figlio di una bellissima storia d’amore, la donna che lo ha portato in grembo e la sua famiglia sono parte della nostra vita. Quelli che insultano e bestemmiano nei bassifondi della politica e dei social network mi ricordano quel verso [di Dante] che dice: “ognuno dal proprio cuor l’altro misura”». 

Nichi si ricorderà di questo verso della Divina Commedia, ma forse si è scordato dell’intero Canto XV dell’Inferno in cui i sodomiti corrono nudi su un sabbione infuocato. Particolari. Al di là di questo, si nota un climax di rivendicazioni: il ddl Cirinnà fa entrare l’adozione di soppiatto, l’associazionismo gay lo rivendica come diritto pieno e illimitato, la realtà dei fatti ha già conquistato la possibilità di avere un bambino con l’utero in affitto e disegna un concetto volutamente sfuocato di “famiglia” utilizzando il lapis dei sentimenti. Anche la donna che ha fornito l’utero è mamma perché partecipe del progetto «d’amore» familiare. In questo senso il comunicato dell’Arcigay è un passo indietro rispetto alla vicenda di Vendola che apre alla “famiglia” senza frontiere, allargatissima.

Il comunicato poi rivela anche quale sia l’approccio da tenere in questa battaglia di idee: niente dialogo, nessun compromesso, chiedere cento per avere cento oggi e duecento domani. É il pragmatismo da rullo compressore di Renzi: nessun potere politico, nessuna legge, nessun giudice, nessuna piazza potranno mettersi di traverso nel raggiungimento dell’obiettivo. Il livore che permea il testo dell’Arcigay fa intuire inoltre quale sarà l’aria che tirerà una volta che la legge Cirinnà sarà approvata: i dissenzienti dovranno essere ridotti al silenzio (cosa che sta già avvenendo ampiamente da tempo). Ma oggi chi è il vero dissenziente? A dar retta al comunicato che con tanta insistenza parla di lotta laica, verrebbe da dire la Chiesa. Ma non tanto la Chiesa italiana. Infatti, da una parte questa è divisa in sé sul tema “omosessualità” e dall’altra la parte sana si è comportata in modo assai timido, per non dire pavido. 

I soggetti socialmente pericolosi temuti dal fronte gay sono altri. Sono i giornali, le associazioni, i siti, i movimenti, gli intellettuali cattolici che non hanno piegato la testa di fronte alle minacce subite, ma hanno invece dato filo da torcere. Però il nemico pubblico numero uno rimangono le centinaia di migliaia di famiglie – se non milioni – che continuano testardamente a credere che l’omosessualità sia contro natura e che solo un uomo e una donna possono formare una famiglia.