Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
EDITORIALE

Vaticano alla Biennale come farsi del male

La tanto sbandierata "prima volta" del Vaticano alla Biennale di Venezia lascia molto perplessi sia per il contesto sia per le stesse scelte artistiche nel padiglione vaticano, fortemente ambigue.

Editoriali 20_05_2013
Il padiglione vaticano alla Biennale

Da che è stata istituita la Biennale di Venezia, e cioè dal 1895, fino ad oggi non è certo possibile dire che abbia portato un grande incremento nell'espressione artistica mondiale. Per ciò che appare ai più la Biennale si riduce a una grande macchina di propaganda e di potere. Dall'orinatoio di Duchamp (1917) alla Merda d'artista di Piero Manzoni (1961) il filo conduttore è lo sconcerto e, non di rado, la celebrazione dell'opera di dissacrazione totale delle espressioni artistiche.

C'è da domandarsi, in un simile contesto, che cosa possa aver da dire la presenza vaticana, che per la prima volta avrà un padiglione alla Biennale. Si può capire le spinte positive date da Papa Francesco ad inoltrarsi nelle periferie dell'esistenza (e in senso cattolico la Biennale è certamente una estremissima periferia), ma la spinta verso tali confini non può e non deve dimenticare le virtù della prudenza e della sana convenienza.

Del resto la liturgia delle ore qualche giorno fa proponeva alla nostra meditazione una provocatoria lettura dell'Apostolo Giovanni: «Molti seduttori sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo! Fate attenzione a voi stessi perché non abbiate a perdere quello che avete conseguito, ma possiate ricevere una ricompensa piena. ... Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento (rimanere nella sana dottrina del Padre e del Figlio), non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse».

Sono parole oggi, politicamente scorrette e certamente contro corrente. E pensando alla scelta del Vaticano di essere presente alla Biennale con un tema tanto delicato e (oggi) controverso come la Creazione, non si può fare a meno di chiedersi cosa mai avrebbe detto o pensato il buon apostolo Giovanni. Gli ingredienti di cui è normalmente ricca la Biennale sono sufficienti a dichiararla laicamente contro la dottrina del Padre e del Figlio e dunque, addirittura indegna del saluto da parte dei cristiani.

I secoli che ci separano da san Giovanni, con il conseguente bagaglio di storia - potranno alcuni obiettare - sono motivo sufficiente per non prendere alla lettera quelle parole. Benissimo, possiamo certamente e caritatevolmente voler bene e rispettare e salutare anche tutti quelli che s'impegnano a realizzare l'evento veneziano, ma é proprio necessario prendervi parte? Non è questa un'implicita approvazione dei termini e dei mezzi messi in campo dalla Biennale? Non dovrebbe la Chiesa farsi promotrice di una esperienza artistica veramente nuova che ripeschi dentro al grande universo simbolico della tradizione medioevale e dell'umanesimo cristiano?

Francamente, da qualunque parte ci si ponga a guardare la questione, il giudizio resta invariato. La posizione è ambigua. Lo stesso titolo scelto dal vaticano è ambiguo, come gli stessi autori impegnati a svolgere il tema lo sono. Il titolo? "Creazione, De-Creazione e Nuova Umanità".
Tre titoli (due dei quali controversi ad esempio: cosa s'intende per De-Creazione? E di quale Nuova Umanità si vuole parlare?) che suppongono un tema scottante di fronte al quale la mentalità corrente sta assumendo delle posizioni assolutamente inaccettabili per un cattolico.
Peraltro gli autori che saranno presentati nel Padiglione del Vaticano - Studio Azzurro, Josef Koudelka, Lawrence Carroll - sono anch'essi discutibili: sarebbe sufficiente una veloce corsa nell'universo di google-immagini per capire di che ”arte" si tratta.

Nel tentativo di esprimere un giudizio sull'intricata vicenda torna alla mente un dipinto di Magritte del 1953, con il quale vorrei concludere lasciando a ciascun lettore il facile impegno di tirare le debite conclusioni.

Già il titolo consegnato all’opera da Magritte chiarisce il suo intento: The Song of the Sirens (Le Chant des Sirenes), Il canto delle sirene.

Delle sirene però non c’è traccia ma si racconta di un uomo in bombetta e soprabito scuro (il pittore stesso e, in lui, tutta la società contemporanea), colto di spalle in contemplazione del mare. Dietro di lui, su un modesto davanzale, una bugia con la candela accesa e un bicchier d'acqua.
Da un lato dunque l'attrattiva prepotente del mare (le sirene), con la sua immensità maestosa, dall’altro, alle spalle, il proprio vissuto semplice: luce e acqua dolce. L'uomo è colto fra queste due tensioni. Quale sceglierà?

E' un’immagine efficace per giudicare la presenza vaticana alla Biennale. I cattolici sembrano l'uomo distinto di Magritte, nell'attimo in cui sta per essere sedotto dalla potente grandiosità del mare. Sì, la Biennale rappresenta il canto delle sirene: un mondo che conta, che va per la maggiore, che apre strade di potere artistico... Ma quale acqua vende? Un'acqua amara, imbevibile. Dietro l'uomo ci sono i simboli semplici della sua esistenza: la luce di una candela e il bicchier d'acqua. Acqua e luce simbolo dei sacramenti della Chiesa, simbolo di quel battesimo che radicandoci in Cristo ci fa essere portatori verso quel possente mare dell'unica acqua che salva.

Del resto, come lascia intendere Magritte, star davanti a una massa d'acqua salata, può significare la condanna a morire di sete. Il mare con la sua possanza, non vale per la vita quanto un bicchiere d'acqua e il calore tremulo di una fiamma.
Abbiamo una preziosa eredità lì, alle nostre spalle, sul davanzale della Chiesa, e rischiamo di navigare in un mondo immenso per morir di sete.
Non me ne vorrà il non credente Magritte se ho trovato la sua opera così profondamente cristiana… Del resto lui stesso, un giorno, ebbe a dire che solo la vera arte può in certa misura dire Dio.