Van Gogh e Chagall, due maestri che cercavano il bello
In Veneto si possono ammirare, a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra, due esposizioni di alto livello: Chagall a Rovigo (fino al 17 gennaio 2021) e Van Gogh a Padova (fino all’11 aprile). I quadri del primo sono infarciti di ricordi dell’infanzia. Il genio del secondo nasce non da follia ma da umiltà
Avere la possibilità di ammirare due maestri della pittura contemporanea a pochi chilometri di distanza nella stessa regione è davvero uno straordinario regalo (oltre che un notevole rischio per gli organizzatori, in tempi di Covid-19). Vincent Van Gogh (1853-1890) e Marc Chagall (1887-1985) sono due artisti molto diversi ma che parlano entrambi al nostro cuore attraverso opere di una bellezza commovente. Li incontriamo grazie anche alle loro stesse parole, che accompagnano le opere esposte e che ci aiutano a penetrare il mistero della creazione artistica, al di là di pregiudizi e luoghi comuni.
“Van Gogh non era pazzo”, afferma con sicurezza Marco Goldin, curatore della mostra padovana sul maestro olandese. “Ha camminato danzando sulla vita, come sul filo mai interrotto di un vulcano… ha creato il mondo di un eroe, colui che arriva a toccare il sole e poi riesce a raccontarne il fuoco e il calore, la luce che abbaglia. E quella luce la fa diventare colore. Un colore che nessuno mai aveva dipinto così prima. E mai nessuno ha dipinto poi”. Per ripercorrere la travagliata storia di Vincent, Goldin ne ha riletto per la terza volta e ritradotto tutto l’epistolario (ampiamente citato nel suo Van Gogh. L’autobiografia mai scritta, edito da La nave di Teseo), per sfatare il mito del pittore alcolizzato e fuori di senno e proponendo invece la figura di un “eroe mortale” che si avvicina agli dei e muore.
In realtà è il disegno il punto di partenza di Van Gogh, che da semplice dilettante impara dai cataloghi senza frequentare scuole. Copia artisti e figure della realtà: il senso della copia è proprio quello di “mettere qualcosa di nostro in qualcosa di qualcuno che è venuto prima di noi”. Un esempio clamoroso è il famosissimo Il seminatore proveniente dal Kröller-Müller Museum di Otterlo (Paesi Bassi), che Van Gogh dipinse nel 1888 ispirandosi all’omonimo quadro del pittore francese Jean-Francois Millet (1814-1875): le due opere in mostra sono accostate. Ma colpiscono anche i numerosi disegni degli anni della formazione in Olanda e in Belgio che ci mostrano, con un’attenzione scrupolosa alla realtà, zappatori e donne lavoratrici rappresentati con cura maniacale nelle diverse posizioni.
Il genio di Van Gogh nasce da una profonda umiltà. Così scrive al fratello nel famoso epistolario: “Cosa sono agli occhi dei più? Una cosa da niente, un eccentrico, un uomo sgradevole; uno che non ha status sociale e non ne avrà mai: in breve, nient’altro che un’assoluta nullità. Bene, ammettiamo che sia così. Vorrei dimostrare attraverso la mia opera che c’è tuttavia qualcosa nel cuore di quest’eccentrico, di questa assoluta nullità”.
La mostra, allestita nel Centro San Gaetano di Padova, lungo le sue 7 sezioni ripercorre la vita del tormentato artista come una sorta di sofferta autobiografia che si snoda in 82 opere, accompagnate da spunti tratti dall’epistolario, con alcune incursioni nella pittura della Parigi nel fervore dell’avanguardia (Seurat, Signac) e qualche esempio di stampe giapponesi che tanto affascinarono Vincent (Hiroshige). Lo spunto religioso non manca e si identifica nello splendido quadro Il buon Samaritano (1890) che Van Gogh riprende in modo personalissimo da un dipinto omonimo del 1849 di Eugéne Delacroix (1798-1863), interpretandolo con una partecipazione emotiva profonda e in qualche modo profetica del suo destino di sofferenza e di solidarietà con il mondo degli afflitti.
Marc Chagall ha saputo mostrarci con fascinosa originalità il valore inestimabile per ogni artista delle proprie radici. Scrive: “Pur partecipando a quella che fu una rivoluzione unica del linguaggio dell’arte in Francia, io sempre tornavo col pensiero, nella mia anima, al mio paese natale. Ho vissuto in qualche modo guardando indietro, voltando la schiena a ciò che avevo davanti a me”. Ciò che il grande pittore russo naturalizzato francese ha dovuto lasciare era un mondo fiabesco e profondissimo, quello di Vitebsk, paesino nell’odierna Bielorussia, allora sotto il dominio degli zar.
I quadri di Chagall sono infarciti di ricordi dell’infanzia vissuta tra gli ebrei russi chassidici (tesi al rinnovamento spirituale dell’ebraismo ortodosso), alla cui cultura appartiene totalmente. È un mondo variegato, ricco di suggestioni diverse, dall’arte sacra delle icone, vere e proprie “finestre sull’infinito”, alle immagini dell’universo chassidico, tipiche degli shtetl, i villaggi ebraici dell’Europa orientale, i cui simboli, come il gallo e la pendola, popolano le opere del pittore. Chagall lasciò la Russia due volte: la prima dal 1911 al 1914 per Parigi, dove conobbe le rivoluzionarie esposizioni del primo Novecento. La seconda, dopo le incomprensioni e le delusioni a seguito della Rivoluzione bolscevica, quando il partito, che pure lo aveva nominato commissario delle Belle Arti, non poté certo approvare i tipici soggetti chagalliani, perlopiù spesso “volanti”. Così nel 1922 lasciò definitivamente la patria tanto amata per trasferirsi in Francia.
La sua autobiografia è tradotta in francese dall’amatissima moglie Bella, segno di gioia assoluta in molti suoi quadri. In una pagina il pittore esclama convinto: “Anche la mia Russia mi amerà”, che è anche il titolo della mostra ospitata nell’austera sede di Palazzo Roverella a Rovigo. Siamo conquistati dalle opere dell’immaginifico maestro, che ci introducono in un mondo di sogni e di colori, con villaggi sospesi, personaggi e animali volanti, simboli di un mondo interiore profondo pieno di stupore. Così in Bonjour Paris (1939-1942) possiamo vedere un volto sereno su una rossa Tour Eiffel, sullo sfondo di un cielo blu, con accanto un enorme gallo sospeso. È una figura ricorrente nelle opere chagalliane, simbolo di annuncio di un nuovo giorno, ma anche di arditezza e virilità, e pure animale sacrificale nella cultura ebraica.
La visita della mostra è perciò un sogno ad occhi aperti che ci fa penetrare in un mondo che risuona nella nostra interiorità per la sua gioia, bellezza e speranza. Vorremmo anche noi saper vivere un amore come quello dolcissimo e forte che unì Chagall alla sua amata Bella. Resterà impresso nella nostra memoria il famosissimo quadro La passeggiata (1917) in cui una donna (appunto Bella) trascina il suo uomo verso l’infinito, dopo avergli fatto scoprire il profumo dei fiori. Esposte anche alcune splendide icone, a documentare la vicinanza di Chagall alla spiritualità del mondo cristiano-ortodosso.